Chi è più a sinistra di chi? Un gioco mortifero

Al di là delle abiure degli uni contro gli altri, la domanda su che peso elettorale abbia oggi la sinistra italiana è pertinente oltre che inquietante
ALDO GARZIA
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Il primo febbraio, il grido di dolore, l’aveva lanciato Emanuele Macaluso, “comunista migliorista” di lungo corso, nella sua rubrica su facebook:

Ho ascoltato Pietro Grasso su Radio Radicale dire in un comizio a Palermo “la sinistra siamo solo noi”. Quindi in Italia la sinistra sarebbe al sei, sette o anche dieci per cento? Tutti quelli che, nonostante Renzi, sono nel Pd sono di destra?

L’ex direttore de l’Unità aggiungeva senza fronzoli:

Il rifiuto di Liberi e uguali di indicare come prospettiva un’alleanza di centrosinistra con una sinistra più forte è, a mio avviso, demenziale.

Siccome nell’arcipelago della sinistra c’è sempre qualcuno più a sinistra di un altro, ecco che l’amico e collega Andrea Colombo segnala di recente su facebook:

Un manifesto di Potere al popolo spiega che alle elezioni si presenta una lista di sinistra e poi una legione di liste di destra. Quella di Liberi e uguali va sotto la voce “destra trasformista”. Cosa li farà godere tanto nell’idea di vivere in un Paese dove l’1,5 per cento, se va molto di lusso, è di sinistra e tutti gli altri di destra non lo so.

Domanda azzeccata e drammatica quella di Colombo, che però andrebbe rivolta pure a Grasso, leader di Liberi e uguali, a meno di non pensarla come Viola Garofalo, portavoce della lista Potere al popolo, che argomenta in una conferenza stampa:

Il Movimento 5 Stelle è populista e non è di sinistra. Liberi e Uguali, invece, è un Pd 2.0: non c’è differenza, vengono tutti dal partito di Renzi e lì vogliono tornare.

 

Al di là delle abiure degli uni contro gli altri, la domanda su che peso elettorale abbia oggi la sinistra italiana è pertinente oltre che inquietante. In tempi gloriosi la sinistra (Pci, Psi, nuova sinistra) orientava oltre il quaranta per cento dell’elettorato. Quando si andava sotto quella soglia, ci si strappava i capelli.

Pure ai tempi dell’Ulivo, le percentuali di Pds e Rifondazione comunista erano di tutto rispetto: almeno un terzo dell’elettorato si collocava a sinistra. Ora invece, se avesse ragione Grasso, la sinistra potrebbe disporre – se va bene – di un sette-otto per cento (secondo i sondaggi). E se avesse ragione Potere al popolo potrebbe ripartire da un due-tre per cento (secondo gli ottimisti). Cifre da capogiro, tali da rendere impraticabile e da scoraggiare qualsiasi progetto politico nel breve-medio periodo di dimensioni non minoritarie.

Colpisce perciò la scarsa progettualità con cui ci si esercita sul futuro. Verrebbe da chiedere: senza Renzi o con Renzi qual è il destino della sinistra italiana? I problemi e le responsabilità della sinistra in tutte le sue componenti sono più grandi di una leadership destinata prima o poi a estinguersi.

Occorre inoltre annotare che Liberi e uguali ha sommato vari leader (Bersani, D’Alema, Fratoianni, Civati, Grasso, Boldrini, Speranza) e varie sigle (Sinistra italiana, Possibile, Articolo Uno) ma che il probabile risultato elettorale – secondo i sondaggi – sarebbe al di sotto di quello conseguito dalla sola Rifondazione comunista agli inizi degli anni Novanta (le due cifre sfiorate a Roma e Milano quando il Prc aveva il volto di Garavini, Cossutta, Magri, Libertini) e sotto la gestione di Bertinotti ai tempi dell’Ulivo (il massimo storico dell’8,5 per cento nel 1996).

 

Sergio Garavini, Armando Cossutta e Lucio Libertini

Come mai si è arrivati a tanto? Il renzismo non doveva aprire spazi enormi alla sua sinistra?

Regalare sic et simpliciter più o meno il venti per cento che voterà Pd (malgrado Renzi o per Renzi) alla destra è impresa spericolata e pericolosamente senza futuro. Uccidere politicamente Renzi è certo obiettivo legittimo, ma non differenziare nell’analisi renzismo, ruolo del Pd, sua rappresentanza sociale e sua presa elettorale non è convincente. Le scomuniche sono escamotage da campagna elettorale, pur se a pronunciarle sono Grasso e D’Alema.

Dopo il 5 marzo, in caso di vittoria della destra, bisognerà rimettere comunque insieme i cocci del centrosinistra e della sinistra pena rassegnarsi alla marginalità.

Come si legge nell’utile libro “La sinistra radicale in Europa” di Marco Damiani (editore Donzelli), il problema è europeo: o le due sinistre (moderata e radicale) tornano a contaminarsi e a cambiare entrambe o sarà assai difficile fare massa critica di fronte alla nuova destra sovranista e xenofoba che avanza a passi da leopardo.

In Germania, Spagna, Francia, Italia una sinistra – di origine socialdemocratica o più recentemente nata dalla crisi di quella stessa sinistra e dai nuovi movimenti – da sola non è sufficiente. Servono nuove culture politiche e inedite pratiche sociali.

Chi è più a sinistra di chi? Un gioco mortifero ultima modifica: 2018-02-10T17:17:09+01:00 da ALDO GARZIA
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1 commento

Roberto 12 Febbraio 2018 a 18:54

Mah, a me pare un articolo piuttosto confuso, contraddittorio, prigioniero di una visione politicista che non spiega perché oggi la sinistra sia così lontana da quei “tempi gloriosi” in cui, ricorda Garzia, “orientava oltre il quaranta per cento dell’elettorato”. Intanto, chi ha vissuto gli anni settanta e seguenti sa benissimo che a sinistra si litigava anche ai “tempi gloriosi”, anzi si litigava forse di più! La nuova sinistra scendeva in piazza e contestava al Pci il compromesso storico, Craxi aveva come primo obiettivo di distruggere il Pci, mentre il Pci, per parte sua, menava fendenti sia contro l'”anticomunista” Bettino che contro la nuova sinistra “gruppettara”. Non che dopo la caduta del muro di Berlino le cose a sinistra siano andate meglio. La maggior parte dei socialisti scappò in Forza Italia, se parliamo di Ulivo, tutti ancora rimproverano a Bertinotti la caduta del primo governo Prodi, ma nemmeno va dimenticata, sul versante opposto, la scelta suicida di Veltroni di non fare accordi con la sinistra alle elezioni del 2008, poi vinte da Berlusconi. Lo so, è una ricostruzione sommaria, ma dovrei dilungarmi e non mi sembra il caso. Veniamo all’oggi. Secondo me l’avanzata della destra a livello europeo – e anche in Italia – non è dovuta al fatto che, in Germania, Die Linke e Spd non si vogliono bene o che, in Francia, Melenchon e il candidato socialista Hamon si siano presentati alle elezioni l’un contro l’altro armati o che in Italia il Pd abbia subito una scissione che ha dato origine a una nuova forza di sinistra. Queste divisioni non sono le cause della crisi della sinistra, ma gli effetti del fallimento della sinistra moderata quando ha avuto l’occasione di governare. Ha fallito perché non ha avuto il coraggio di fare delle scelte coerenti con le aspettative del proprio elettorato, mentre la crisi impoveriva il ceto medio e le classi lavoratrici. Con Hollande presidente, i sindacati erano in piazza contro la loi du travail (il jobs act francese). La Spd paga per le larghe intese con Angela Merkel (e malgrado ciò, ancora insiste!). In Italia il Pd, con l’avvento di Renzi alla segreteria, ha governato insieme ai nemici del giorno prima (Alfano, Sacconi, Verdini ecc.) attuando diversi punti del programma politico di Berlusconi. Risultato: tante persone che prima erano di sinistra non sono andate più a votare e il voto di protesta non è andato a sinistra ma al Movimento Cinque Stelle. Ora, addebitare l’avanzata delle destre a chi – facendo tesoro degli errori commessi – vuole provare a ricostruire la sinistra in Italia a me pare ingeneroso. Così come mi pare ingeneroso attribuire alla sinistra il fatto che oggi non ci siano le condizioni per una alleanza con il Pd: il “buon” Pisapia ci ha provato fino all’ultimo a fare un accordo con Renzi, eppure manco lui c’è riuscito. E non si può certo dire che fosse “maldisposto” nei confronti del Pd… La porta del dialogo deve restare sempre aperta, ma Macaluso a mio avviso sbaglia quando contesta a Liberi e Uguali di non avere come prospettiva dichiarata “un’alleanza di centrosinistra con una sinistra più forte”. Una simile dichiarazione sarebbe un grave errore politico, perché se l’unico sbocco possibile per LeU è l’alleanza con il Pd allora ha ragione Viola Garofalo. Alleanze di governo o a livello territoriale si possono fare con chiunque, a patto però che ci sia una condivisione programmatica delle cose da fare, che si abbia una idea comune sulle cause della crisi e su come se ne esce, che si condivida una visione della società solidale con i più deboli, con le minoranze, con i migranti. Se non c’è questo, pensare che basti che “sinistra moderata” e “sinistra radicale” si uniscano, per “fare massa critica di fronte alla nuova destra sovranista e xenofoba che avanza a passi da leopardo” è una pura illusione. Al contrario, è un modo per offrire alla destra maggiori argomenti, tanto che oggi la destra, in Francia come in Italia, si presenta come quella che difende i poveri delle periferie dimenticati dalla sinistra in cachemire. Si sono ribaltati i ruoli! Noi sappiamo che non è vero, ma è difficile andarlo a spiegare se poi la sinistra appare sempre come quella che difende “il sistema”. La legge Fornero è stata votata anche dalla destra, ma tutti accusano la sinistra. Berlusconi voleva cancellare l’articolo 18, lo ha fatto Renzi. Questo è il messaggio che giunge all’opinione pubblica. Ed ecco perché la sinistra perde voti. Al di là delle abiure uni contro gli altri.

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