Le stagioni di Alexis Tsipras

I primi tre anni del governo presieduto dal leader di Syriza. Ma più che da un bilancio dell'esperienza, la discussione ad Atene è dominata dall'interrogativo se lui e il suo partito possano ancora dirsi di sinistra
DIMITRI DELIOLANES
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Mentre quest’estate la Grecia uscirà dal lungo e doloroso commissariamento, è forse interessante fare un primo bilancio dei tre anni di governo di Alexis Tsipras.

Chiariamo subito che tale bilancio non è l’argomento principe oggi ad Atene. Sorprendentemente, il tema della polemica continua invece a essere se Tsipras e il suo partito Syriza sono “di sinistra” o no. Per comprendere la dimensione tutta ideologica di tale vivacissimo dibattito bisogna riportare alcuni elementi della cultura politica del paese. Considerare quindi che per poco meno di un secolo dalle mie parti la sinistra era identificata con i comunisti, non essendoci mai stato, prima di Andreas Papandreou nel 1974, un partito socialista di qualche consistenza.

I comunisti stessi, poi, hanno provveduto a coltivare un’immagine del loro partito che sommariamente si condensa nell’icona del partigiano con la barba lunga e le bandoliere sul petto. Se, quindi, non sei comunista e ti presenti senza fucile e con il mento rasato, è evidente che la tua identità di sinistra non può che essere dubbia.

Lo stesso psicodramma collettivo aveva vissuto il paese nel 1981, quando Andreas Papandreou aveva vinto le elezioni. L’astutissimo Andreas era un principe ereditario dell’area Centrista, ma aveva provveduto fin dall’epoca della resistenza ai colonnelli a coltivare un profilo da “nuova sinistra”, anti-Nato e anti-Cee, in modo da cavalcare l’onda del ‘68 e saccheggiare i voti comunisti.

Anche allora però, non solo i comunisti (rimasti a pancia vuota), ma perfino i suoi stessi elettori, avevano grosse difficoltà ad attribuire al fondatore e leader carismatico del Movimento Socialista Panellenico (Pasok) un’identità di sinistra. L’ostacolo era evidente: non aveva la bandoliera incrociata sul petto.

Come era successo con Andreas, anche con Tsipras succede che, al momento stesso in cui il suo dna di sinistra è messo fortemente in dubbio, la destra scatena contro di lui un attacco feroce con l’accusa di essere uno “stalinista”, un “seguace di Kim Jong- Un” e anche un “fascista rosso”. Quest’ ultima accusa, che neanche Berlusconi aveva mai pensato, è stata riproposta qualche settimana fa dal famoso compositore Mikis Theodorakis, novantatré anni, una vita da militante comunista, ora cordiale interlocutore di Alba Dorata.

Riporto queste valutazioni perché sono convinto che, se effettivamente vogliamo comprendere la misura in cui Tsipras ha fatto qualcosa di sinistra, dobbiamo prima chiarire in che contesto il suo governo ha agito. La sfortunata storia del primo semestre del 2015 è ben nota e lo stesso premier greco ha riconosciuto con grande onestà i suoi errori e le sue ingenuità. È stata proprio questa autocritica a fargli vincere le elezioni del settembre 2015.

In questi tre anni, il governo ha dovuto subire i diktat dei creditori. Le casse pensionistiche erano fallite; la disoccupazione galoppava; l’economia andava a picco, e ha quindi dovuto ridurre ulteriormente le pensioni più alte. Ha anche dovuto tenere fede al saccheggio promesso alla Merkel dal precedente governo di coalizione tra destra e Pasok, come la scandalosa svendita dei quattordici aeroporti regionali. Non ha accettato di chiudere altri ospedali e scuole ma in compenso ha innalzato ancora il carico fiscale.

Proprio come avevano fatto Pasok e Nuova Democrazia prima di lui, dice qualcuno. Non proprio. Se uno guarda attentamente, le differenze ci sono. E sono dovute al fatto che i creditori hanno dovuto negoziare con un governo ostile e non ideologicamente affine.

Sul piano della politica interna, per la prima volta l’evasione fiscale e la corruzione diffusa venivano represse e non incoraggiate. Anche quando i procuratori e i giudici non collaboravano, il governo ha tolto dai cassetti clamorosi casi di tangenti e di evasori, costringendo buona parte degli oligarchi a mettersi in fila per sanare la loro posizione. Esemplare è il caso delle televisioni private che per quasi trent’anni trasmettevano senza pagare un soldo all’erario pubblico. Dopo una durissima lotta, sono ora in fila per ottenere, a pagamento, un permesso per usare le frequenze pubbliche.

Aggiungo anche che questi obiettivi sono stati raggiunti con la totale ostilità del sistema informativo. Il quale non esita a falsificare statistiche, sondaggi, dichiarazioni, perfino fatti di cronaca, pur di colpire l’odiato governo “populista”. Ogni giorno più volte al giorno, in un bombardamento mediatico che non ha eguali in Europa.

È vero, la Grecia è ancora un paese devastato, che in pochi anni ha perso il 25 per cento del suo Pil: i disoccupati continuano a essere tantissimi e ancor di più sono i giovani laureati che scappano all’estero, mentre chi rimane in patria lavora per 370 euro al mese, spesso in nero. Però gli ispettori del lavoro (pochi e mal pagati) sono riapparsi dopo molti anni di inerzia; si inaugurano di nuovo ospedali e ambulatori, perfino nelle isole; si assumono medici e infermieri e per due anni una parte dell’avanzo primario nelle entrate dello stato è andata ai pensionati più poveri.

Alexis Tsipras e la direttrice del FMI Christine Lagarde

In sostanza, Tsipras ha fatto un lavoro di rimessa in ordine dell’amministrazione pubblica, nel tentativo di sganciarla dagli antichi vincoli del clientelismo, della corruzione e del saccheggio oligarchico delle risorse. È questo un bilancio degno di un governo di sinistra? Sicuramente no. Avrebbe potuto benissimo farlo un governo moderato ma onesto. Avrebbe potuto creare un sistema ferroviario e non aspettare le Ferrovie dello Stato; ammodernare il porto del Pireo senza aspettare i cinesi. Ma non lo ha fatto. Ci voleva, evidentemente, la sinistra, anche senza portare le bandoliere sul petto.

È vero, non è riuscito a cacciare l’odiata troika e buona parte della politica economica ha continuato a essere dettata dai creditori. I quali però hanno apprezzato l’efficacia delle misure antievasione, come, per esempio, la diffusione dei pagamenti elettronici. Anche in questo caso, chissà perché nessuno ci aveva pensato prima. Come nessuno aveva pensato di introdurre la clausola della golden share nelle privatizzazioni. E mentre la destra e i socialisti discutevano con la Cosco se applicare la legislazione del lavoro cinese al porto del Pireo, a Natale è stato firmato il primo contratto collettivo post crisi, con tredicesime, quattordicesime e aumenti salariali.

Con Emmanuel Macron

È vero, Tsipras perde consensi. Non così tanti come dicono i sondaggi farlocchi greci, ma sicuramente c’è un logoramento. A nessuno piace stare in miseria e la promessa di un’uscita miracolosa dalla crisi continua a sedurre la parte meno accorta dell’elettorato. Ma ci sono anche intellettuali che si comportano con Tsipras come con l’amante infedele: si sentono traditi e non possono perdonare.

Difficilmente però la delusione si tradurrà in voto per una destra sempre più estremista. Ci sarà un’estesa area di astensionisti che Tsipras dovrà recuperare prima delle elezioni, previste nel settembre del 2019.

A voler essere sinceri, bisogna alla fine aggiungere che anche l’atteggiamento dei creditori è cambiato. È passata molta acqua da quel fatidico luglio del 2015, quando il terribile Wolfgang Schäuble aveva scioccato tutti proponendo ufficialmente l’espulsione della Grecia dall’eurozona. In questi tre anni si è formato un altro governo di sinistra in Portogallo; sono cresciuti dappertutto movimenti antieuropei; la Spagna rischia la frammentazione; a Berlino ci vogliono sei mesi di negoziati per fare il governo; i paesi dell’est hanno sfidato Bruxelles sui rifugiati; Londra è uscita sbattendo la porta.

Forse anche il martirio dei greci in una certa misura ha contribuito a far suonare l’allarme: l’Europa deve cambiare rotta, perché nessuno vuole un impero tedesco. Non ho elementi, ma mi piace pensarlo: questi dolorosi otto anni di crudele austerità neoliberista imposta alla Grecia sono serviti almeno a porre sul tavolo il problema: come può governare la sinistra all’interno dell’eurozona?

Bruxelles dicembre 2017, Summit dei socialisti europei

Quest’estate il terzo programma di “sostegno” verso la Grecia finisce e il paese esce dal commissariamento. Probabilmente l’uscita non sarà così netta, come spera il governo greco. Sono state già trasformate in legge ulteriori misure di austerità da prendere nei prossimi due anni, mentre fino al 2022 l’avanzo primario dovrà segnare un iperbolico 3,5 per cento.
Ma il governo guarda alla scadenza con ottimismo.

Le stagioni di Alexis Tsipras ultima modifica: 2018-02-11T19:49:14+01:00 da DIMITRI DELIOLANES
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