Mediterraneo orientale, l’Eldorado energetico che fa gola a tanti. Troppi, per giunta divisi e in armi. E tra i più attivi, e aggressivi, si distingue Erdoğan. Nei suoi incontri del 5 febbraio a Roma con il presidente Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni il presidente turco aveva espresso “le nostre (di Ankara, ndr) preoccupazioni riguardo all’Eni” per “le iniziative nel Mediterraneo orientale” su licenza del governo di Cipro:
I lavori (di ricerca) del gas naturale in quella regione rappresentano una minaccia per Cipro nord e per noi.
Quello di Erdoğan aveva il sapore, acre, dell’avvertimento. Ora si è passati all’azione intimidatoria. E questo tra due paesi membri della stessa alleanza, la Nato. La Farnesina ha detto di seguire al più alto livello, in raccordo con le proprie rappresentanze diplomatiche a Nicosia e Ankara, la vicenda della nave Saipem 12000, cui le autorità turche non consentono ormai da giorni di proseguire la navigazione verso l’area di destinazione.
Ho parlato con il presidente cipriota e gli ho espresso la solidarietà della Ue. La Turchia viola le regole del diritto internazionale con una provocazione inutile,
dichiara il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani riferendosi alla vicenda della Saipem 12000. A scendere in campo è anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: “Chiedo alla Turchia di evitare minacce o azioni contro qualsiasi membro dell’Ue”, dice. “Le azioni della Grecia e della parte greca di Cipro stanno mettendo alla prova la nostra pazienza”, ribatte l’ex vice ammiraglio della Marina Cem Gürdeniz in un’intervista a Milliyet.
Il presidente turco sta andando verso la guerra del gas con la Ue? Per il momento mostra i muscoli: la Turchia ritiene che Cipro non possa rappresentare gli interessi della Repubblica del Cipro del Nord, che però è riconosciuta solo da Ankara. Per l’Italia e l’Europa è una partita difficilissima: la Turchia, infatti, non solo è un paese candidato dal 1999 a entrare nell’Unione, ma è anche un importante corridoio per gli approvvigionamenti energetici. È vicina a paesi (ex repubbliche sovietiche e Medio Oriente) che detengono il settanta per cento delle riserve energetiche primarie del mondo e ha anche un piede in Europa, che è uno dei principali consumatori di energia nel pianeta. Da lì, ad esempio, passano i tubi che si collegano al Tap, il gasdotto che dovrebbe portare il gas azero in Italia.

Recep Tayyip Erdoğan
La crisi diplomatica è a un passo. Il ministero degli Esteri sta cercando in ogni modo di risolvere il problema, ma fuori dall’ufficialità fonti della Farnesina non nascondono le difficoltà:
Erdoğan, nella sua visita a Roma, non è stato conciliante, soprattutto di fronte alle osservazioni critiche di Mattarella e Gentiloni sui giornalisti arrestati e sull’offensiva militare in Siria. Ora, però, sta esagerando e noi non possiamo farci prendere a schiaffi in faccia…
Il governo di Nicosia, da parte sua, ha definito quello che è avvenuto come una nuova “provocazione” turca nella sua Zona economica esclusiva (Zee), mentre il ministero degli Esteri greco ha bollato in una nota ufficiale il comportamento di Ankara come “provocatorio” e “non consono” a un Paese che reclama di entrare nell’Unione europea. Ma la determinazione turca è ferrea. “Avvisiamo coloro che su Cipro e nell’Egeo stanno facendo male i conti e si stanno comportando in maniera impertinente: distruggeremo i vostri piani”, ha affermato Erdoğan prima di fare un riferimento alle attività Eni nell’area.
Consiglio alle compagnie straniere che operano nelle acque di Cipro, fidandosi di Nicosia, di non superare i limiti e non piazzare i propri apparati. Le spacconerie di costoro sono sotto osservazione dei nostri aerei, delle nostre navi e dei nostri uomini.
L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si è detto sorpreso perché la piattaforma è all’interno delle acque di Cipro, ma probabilmente
la tensione è salita per altri motivi e quindi la nave è stata bloccata. Stiamo aspettando, ma chiaramente non possiamo aspettare per sempre.
Roma spera in una soluzione indolore, ma se così non fosse tutte le strade sono aperte, compreso il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore ad Ankara.
Geopolitica e diplomazia del gas s’intrecciano indissolubilmente e rischiano di trasformarsi in una miscela esplosiva se nella partita entrano le cannoniere. Il core business del contenzioso riguarda i diritti di sfruttamento delle riserve di gas scoperte dall’Eni. Per Ankara, che dal 1974 occupa militarmente la zona nord di Cipro, qualsiasi nuovo giacimento va condiviso con il governo filo-turco al potere nella parte settentrionale dell’isola. Ma in realtà Erdoğan punta a quel gas per porre fine alla dipendenza energetica della Turchia.
Il 10 luglio scorso, intervenendo al World Petroleum Congress a Istanbul, Erdoğan dice al pubblico formato da amministratori di grandi gruppi petroliferi di non firmare accordi con Nicosia, la parte greco-cipriota internazionalmente riconosciuta, per ricerche offshore nei giacimenti che secondo il presidente turco dovrebbero essere condivise anche con Cipro Nord. Tre giorni dopo, il 13 luglio, la Turchia invia al largo di Cipro due fregate e un sottomarino a sorvegliare le attività della nave da trivellazione West Capella, battente bandiera panamense ma noleggiata da Total e da Eni.
In quel frangente, non proprio amichevole, l’Eni conferma di essere impegnata a Cipro
in attività di esplorazione e produzione di gas naturale e greggio e di operare tramite la società Eni Cyprus Limited […] Le società energetiche che si trovano coinvolte in passi irresponsabili intrapresi dalla parte greco-cipriota non troveranno comprensione [e potrebbero] perdere l’amicizia della Turchia,
avverte Erdoğan, ormai uso a far “parlare” navi da guerra e bombardieri.
E la partita del gas sta infiammando anche il fronte, già caldo, israelo-libanese. Venerdì 9 febbraio il governo di Beirut firma il contratto con il consorzio italo-franco-russo (Eni, Total, Novatek) per le prime esplorazioni d’idrocarburi nel Mediterraneo. Due blocchi sono coinvolti nei lavori di esplorazione, uno dei quali, il 9, è situato in una zona marittima contesa da Israele e Libano. “Quella libanese è una grave provocazione” tuona il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman in una conferenza all’università di Tel Aviv.
Le imprese rispettabili che presentano un’offerta commettono un grave errore in quanto la gara d’appalto indetta dal Libano è fuori da ogni contesto di Diritto internazionale. Esorto quindi le aziende a non commettere questo errore,
avverte il ministro israeliano, uno dei super falchi nel governo guidato da Benjamin Netanyahu.
Pubblicare una gara d’appalto su un giacimento di gas, compreso il Blocco 9, che secondo qualsiasi norma è nostro, rappresenta una condotta molto, molto provocatoria
insistite Lieberman. Un messaggio indirizzato anche all’Italia.
Il giacimento Leviathan è il più grande mai scoperto nel Mediterraneo, nella zona definita bacino del levante. È situato a 130 chilometri dalla città portuale israeliana di Haifa, a una profondità marina di 1.500 metri. Insieme alle risorse dell’altro giacimento vicino, il Tamar, Israele potrebbe godere di cent’anni di energia a basso costo. In tutto si stima che i due giacimenti nascondano tre miliardi e mezzo di metri cubi di metano. Il problema è che si trovano nelle acque territoriali che dalla Striscia di Gaza si allungano al confine con il Libano.
D’altro canto, la storia insegna che le guerre che hanno segnato il Vicino Oriente negli ultimi sessant’anni hanno avuto tra i fattori scatenanti il controllo delle risorse energetiche e di quelle idriche. Scordare questa lezione potrebbe rivelarsi una tragedia dalle dimensioni incalcolabili in un futuro che si fa presente.

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