Venezia. Per una nuova stagione del riformismo

C’è bisogno come non mai di una forza democratica davvero, a partire dalla propria organizzazione interna, organizzata sul territorio su base federale
MASSIMO CACCIARI
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Pubblichiamo l’intervento di Massimo Cacciari in occasione della presentazione a Mestre del volume “Il riformismo a Venezia e in Italia”. Al dibattito hanno partecipato Nicola Pellicani, Piero Fassino e Cesare De Michelis. Cacciari non è potuto intervenire e ha inviato il testo segue.

Mi scuso per quest’assenza, certo non voluta, con Nicola e soprattutto con Piero e Cesare. Avrei davvero desiderato discutere con loro sui materiali raccolti nel bel volume pubblicato da Marsilio dedicato a ricordare l’amico carissimo mio, e credo di tutti voi, Gianni Pellicani. Fu proprio attraverso Gianni, tra l’altro, che conobbi per la prima volta Piero Fassino. Alla fine dell’89, e si preparavano le elezioni amministrative dell’anno successivo.

Pellicani appoggiava la mia candidatura a sindaco (non c’era ancora l’elezione diretta, ma la proposta era esplicita e ufficiale) a capo di una lista che fosse composta per metà di esponenti della vita culturale e professionale della città non iscritti al Pci. La lista si chiamerà Pci/Il Ponte, con il simbolo del Pci “sotto il Ponte”, come poi nel simbolo del nuovo partito falce-e-martello saranno “ai piedi” della Quercia.

Erano scelte che venivano dall’intera esperienza di Pellicani, una lunga lotta per l’unità delle forze riformistiche, scevra da ogni settarismo ideologico, consapevole delle immense responsabilità che per le sorti del nostro Paese avrebbe comportato il fallimento di questo obbiettivo.

E noi siamo ancora qui a ragionare sulle ragioni che ci hanno impedito di conseguirlo, e forse addirittura di perseguirlo con un minimo di coerenza. Siamo qui in un momento, anzi, in cui esso ci appare addirittura ormai impossibile, in cui sembrano mancare addirittura i soggetti che aspirino a realizzarlo. Solo da uno spietato giudizio storico può nascere un progetto per il domani. Un giudizio che non può certo ridursi alla misurazione di singoli o personali errori.

Da trent’anni a questa parte sono cambiate composizione sociale, forme e organizzazione del lavoro, equilibri politici internazionali. Nulla poteva restare com’era. E quindi neppure il riformismo intorno a cui avevano invano cercato un rapporto i più consapevoli esponenti del Pci e del Psi – ma con quanti elementi di contatto anche in area democristiana – poteva essere semplicemente ripreso. Il grande periodo socialdemocratico segnato da nomi come quelli di Brandt, di Schmidt, di Mitterrand, della nuova Spagna di González, si era compiuto anch’esso.

Piero Fassino, Nicola Pellicani e Cesare De Michelis

Il crollo del Muro a livello internazionale segnava anche la crisi di quella strategia, poiché ne mutava radicalmente le condizioni “all’intorno”. E la rivoluzione tecnologica e economica degli anni Novanta ne trasformava la base sociale. Occorreva guardare alle nuove forme del lavoro autonomo, promuoverne e favorirne la crescita, combatterne la congenita precarietà, assicurare per esso le garanzie del welfare. Coniugare la difesa dovunque ragionevolmente possibile delle vecchie posizioni del lavoro dipendente alla rappresentazione sindacale e politica di chi era chiamato a sostenere il confronto diretto con la potenza scatenata del capitalismo finanziario, le disuguaglianze che esso fisiologicamente provoca, la precarietà indifesa che produce. E, insieme, riformismo avrebbe dovuto significare grandi idee di riorganizzazione dell’intero nostro apparato burocratico-amministrativo, via via fino a una coerente e complessiva revisione costituzionale.

Sul primo punto Gianni Pellicani fu maestro; sul secondo non c’è dubbio che soltanto alcuni settori del Psi ne capirono l’urgenza e promossero la discussione, mentre nel Pci la sordità rimase pressoché totale. Le cose sembrarono mutare con l’Ulivo e il primo governo Prodi – ma l’apertura di una fase davvero costituente mori col fallimento della Commissione D’Alema – e mori anche per la contraddittorietà e la debolezza delle posizioni che vi erano rappresentate.

D’allora i Pellicani – diciamo cosi – sono andati a caccia di una forza democratica e riformista all’altezza dei tempi. Il Pd rappresentò il momento culminante di questa recherche (forse davvero di un mondo perduto). È evidente a chiunque voglia tentare un discorso di realtà che il Pd non è quella forza riformistica che alcuni di quelli che hanno lavorato per farlo nascere credevano potesse diventare. Tra questi in primis Fassino. Direi che nulla ha fatto per esserlo, se non nei suoi primi vagiti.

Da una fase di impossibile e comunque vana composizione di vecchie sigle e vecchi nomi (la cosiddetta fusione a freddo), si è passati – spesso avviene cosi: dal timore conservatore all’estremismo arruffone – a un’infantile ansia di novitas, alla retorica nuovistica della rottamazione, che hanno generato un affannoso inseguimento delle posizioni “moderate” in materia economica e sociale, dilettanteschi riformismi costituzionali e l’esasperata personalizzazione della leadership, con la conseguente distruzione della “rete” territoriale del partito, quella “rete” che aveva retto per prima, e bene, l’urto del berlusconismo, e la sua sostituzione con una corte di mediocri e plaudenti fedeli, rappresentanti del quasi-nulla.

Si è compresa la lezione? Ha insegnato qualcosa la storia di questi ultimi anni? Lo chiedo a Piero anzitutto. Chiedo a lui se pensa che vi siano le condizioni, comunque vada il voto, di riprendere quella strada del Pd che fin qui è fallita, o abbiamo intrapreso in modo fallimentare. Ma la strada la facciamo noi andando, diceva il poeta… Io so soltanto che essa è necessaria se vogliamo non consegnare integralmente il nostro futuro alle grandi potenze dell’economia, della finanza, del mercato, se non vogliamo finire commissariati in tutte le nostre scelte.

C’è bisogno come non mai di una forza democratica davvero, a partire dalla propria organizzazione interna, organizzata sul territorio su base federale (ricordi Piero la discussione intorno a questa idea, che doveva essere del Pd? Come si è potuto giungere al suo più completo rovesciamento?), unitaria nella sua leadership, ma non monocratica (nessun organismo che oggi possa funzionare è strutturato piramidalmente). Una forza dove la selezione dell’élite dirigente avvenga sulla base delle capacità organizzative provate sul campo, del reale consenso, della competenza. Così si selezionavano i Pellicani!

Non so se sia ancora possibile dopo i disastri commessi. So che è necessario. Accade un po’ come per l’unità politica europea. Necessaria – ma anche possibile?

E so che oggi, qui a Venezia, i suoi cittadini hanno l’opportunità di portare nel Parlamento nazionale uno di loro che vuole fermamente che la forza politica democratica e riformatrice che ho detto si realizzi, e questo per il bene della democrazia in Italia e dell’intero paese. Una persona che ha dimostrato da molti anni di essere capace di analizzare la realtà, dotato di realismo quanto di passione civile e politica, competente come forse oggi nessun’altro sulle questioni amministrative, territoriali, economiche della città. Una persona che ha realizzato a Mestre iniziative culturali di prestigio nazionale, come mai prima.

Permettetemi che mi rivolga a tutti quelli che per tre volte, con un consenso assai più largo dell’area del centro-sinistra, mi hanno eletto sindaco. Abbiate piena fiducia nelle mie parole, sapete che mai ho agito pro domo mea: Pellicani è il miglior rappresentante di Mestre e di Venezia, dell’intera città metropolitana di Venezia che noi tutti si possa desiderare.

 

Venezia. Per una nuova stagione del riformismo ultima modifica: 2018-02-17T17:59:34+01:00 da MASSIMO CACCIARI
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