Il ministro dell’economia del governo spagnolo, Luis de Guindos, sarà il vice presidente della Banca centrale europea. Prende il posto del portoghese Vítor Constâncio e il mandato durerà otto anni.
Ieri si sarebbe dovuta tenere la votazione tra i due candidati, l’altro era il governatore della Banca di Irlanda, Philip Lane, ma, dopo la salva di appoggi espliciti giunti negli ultimi giorni da parte di Portogallo, Austria, Slovacchia e Malta – che si aggiungevano a quelli già sicuri e pesanti di Francia e Germania – l’irlandese ha ritirato la candidatura e la scelta dell’eurogruppo è arrivata per consenso.
L’europarlamento non riteneva questa la scelta migliore ma il suo parere è solo consultivo. Una dialettica consueta tra l’assemblea, organo che viene eletto dai cittadini europei, e l’eurogruppo, formato da rappresentanti dei governi nazionali. La commissione degli affari economici dell’europarlamento aveva audito i due candidati la scorsa settimana e espresso la sua preferenza per Lane, soprattutto per la sua esperienza nella politica monetaria.
Mercoledì scorso il presidente della commissione, l’italiano Roberto Gualtieri del Partito democratico, aveva consegnato le sue conclusioni al presidente dell’eurogruppo, il portoghese Mário Centeno, e al ministro delle finanze bulgaro, Vladislav Goranov, che regge la presidenza di turno dell’Ecofin.
Entrambi hanno fatto una buona presentazione, la maggioranza dei gruppi politici considera più convincente la performance di Lane e alcuni gruppi hanno riserve su de Guindos,
aveva spiegato alla stampa.
In prima fila, il gruppo dei Socialisti e democratici (Pse), che temeva la politicizzazione dell’incarico. In effetti l’elezione di de Guindos rompe un tabù, molto sentito nella sede della Bce a Francoforte, cioè il passaggio per un periodo di disimpegno dalla politica e, soprattutto, dagli esecutivi per i dirigenti politici che arrivano a posti di rilievo nella Banca centrale. Non a caso de Guindos, che verrà nominato ufficialmente il primo giugno, non appena resa pubblica la deliberazione ha dichiarato:
Nei prossimi giorni presenterò le mie dimissioni.
Una scelta che non mitiga la novità che la nomina comporta.
Come leggere la decisione? Molti parlano di trionfo dell’asse franco-tedesco, ed è indubbio che i due paesi abbiano puntato sullo spagnolo. Sullo sfondo ci sono le manovre per la nomina del successore di Mario Draghi. I tedeschi vogliono portare all’eurotorre Jens Weidmann, il presidente della Deutsche Bundesbank, e l’appoggio spagnolo così conquistato avrà il suo peso nelle trattative con i francesi. Il governo manifesta la sua soddisfazione e la rinnovata autorevolezza spagnola in sede europea, che suggella il recupero di credibilità – dopo la crisi bancaria che ha portato all’aiuto europeo e all’intervento di salvataggio con la presenza degli “uomini in nero” della Troika a Madrid. Ma, secondo diverse indicazioni, anche altri meccanismi sono entrati in gioco, meno legati a contingenze quanto alle necessità degli equilibri europei.
La Spagna, infatti, non ricopre posti di rilievo nella Bce, nel Meccanismo europeo di stabilita (Mes, conosciuto anche come Fondo salva-stati) o nella Banca europea per gli investimenti (Bei). Madrid è fuori dal Consiglio direttivo della Bce da sei anni, quando nel 2012 alcune banche ed entità finanziare sono state salvate con oltre 54 miliardi di fondi europei, intervento in cui de Guindos ha avuto un ruolo importante. Poi, nel 2015, allora appoggiata da Berlino, Madrid dovette incassare la bocciatura dello stesso de Guindos alla presidenza dell’eurogruppo. Tutti questi motivi – tra i quali figura anche l’affinità di de Guindos con le filosofie d’intervento anti crisi basate sul contenimento dell’inflazione, l’austerità e la socializzazione dei debiti privati che hanno sempre guidato la Germania e soprattutto la Bundesbank – hanno avuto ragione della pur legittima volontà irlandese di occupare posti di rilievo nel cuore delle strutture economiche europee.
Luis de Guindos, 58 anni, laureato in scienze economiche, diventa socio nella seconda metà degli anni Ottanta di AB Asesores, società di consulenza finanziaria e legale che s’impone sviluppando una ramificata rete che offre ai clienti privati attenzioni e servizi che le banche dedicavano alle grandi società. Sono gli anni in cui si preparano le condizioni per il boom della rendita immobiliare e si forma quel tessuto economico e imprenditoriale che, cavalcando l’onda della crescita internazionale, sarà il motore del lungo balzo del Pil spagnolo a cavallo tra i due secoli. La società fondata da Salvador García-Atance – economista brillante che ha abbandonato il mestiere per occuparsi di patronato sociale, produzioni cinematografiche e alpinismo – è un enorme successo imprenditoriale di quell’epoca, tanto da essere acquistata da Morgan Stanley, con grande ritorno economico per i soci.
Nel 1996 è José Maria Aznar, diventato capo del governo, a introdurre de Guindos nell’esecutivo spagnolo come tecnico indipendente, una figura di cui ha grande bisogno nel primo esecutivo del dopo-Felipe González che governa solo con la maggioranza relativa. Ma il suo vero protettore e mentore nel Partido popular (Pp) è Rodrigo Rato, madrileno di ascendenze aristocratiche, molto vicino alla Casa reale, vicepresidente e ministro dell’economia nei due governi di Aznar. De Guindos ricopre diversi incarichi nell’esecutivo e in società controllate – dalla Renfe, le ferrovie spagnole, alla Sociedad Estatal de Participaciones Industriales – fino a diventare segretario di Stato all’Economia dal 2002 al 2004, al culmine della bolla immobiliare spagnola. Ad Aznar rimane legato quando José Luis Rodríguez Zapatero vince le elezioni nel 2004.
Mentre i socialisti sono al governo, de Guindos partecipa con assiduità agli appuntamenti della Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales (Faes, il think tank dell’ex capo del governo), con la quale pubblica anche diversi testi di economia. Durante i due governi Zapatero sarà presidente per Spagna e Portogallo della società-simbolo del disastro finanziario del 2006, Lehman Brothers, poi della filiale europea della holding finanziaria giapponese Nomura, diventa responsabile dei servizi finanziari della britannica PricewaterhouseCoopers – una delle Big Four delle aziende di revisione, con Deloitte & Touche, Ernst & Young e KPMG – e membro di diversi consigli d’amministrazione, da Endesa Chile a Logista fino a Ben, una delle società finanziarie poi salvate con i fondi europei. De Guindos attraversa indenne lo scoppio della bolla immobiliare e gli scandali finanziari che accompagnano la grande crisi economica.
Con l’arrivo alla presidenza nel 2011, Mariano Rajoy lo richiama al governo dalla porta principale del ministero dell’economia. È soprannominato “l’Ingaggio” dai colleghi del consiglio dei ministri, per il suo rifiuto di iscriversi al Pp per salvaguardare il ruolo di tecnico indipendente dalla politica. Guida il complicato periodo del salvataggio del sistema bancario spagnolo. È lui stesso, accogliendo la volontà di Bruxelles e di Berlino, a renderlo possibile e a rompere le resistenze spagnole sollecitando pubblicamente nel giugno 2012 l’intervento di salvataggio, in aperto scontro coll’allora governatore del Banco di Spagna, Miguel Ángel Fernández Ordóñez.
Diventa in qualche modo la garanzia che Rajoy presenta all’Ue e all’Fmi. Grazie agli ottimi rapporti col contesto finanziario internazionale gestisce il difficile compito, anche abbandonando al suo destino il mentore Rato. Rato, dopo aver abbandonato a sorpresa la guida del Fondo monetario internazionale nel 2007, era allora presidente di Bankia, banca travolta dagli scandali. Ora è in carcere, per una vicenda di carte di credito in nero, e sotto giudizio per altri reati, diversi dei quali legati allo sbarco in borsa della banca, protagonista della crisi bancaria spagnola e poi, divenuta insolvente, comprata per un euro dal Banco di Santander. Un caso giudiziario, quello di Bankia, nato da un’iniziativa politica e giudiziaria del movimento degli Indignados, che formò una piattaforma che presentò diverse denunce alla magistratura: sommate a iniziative successive, portarono all’apertura di procedimenti a catena tutt’ora in corso.
La nomina di de Guindos dà a Mariano Rajoy ossigeno dal punto di vista comunicativo, il ritorno della Spagna nelle istituzioni che contano. Anche se non mancano voci critiche che invitano al realismo. L’ultimo Forum economico di Davos ha evidenziato il vuoto di rappresentanti spagnoli nelle istituzioni internazionali, con l’unica presenza di Arancha González Laya, direttrice esecutiva del Centro de Comercio Internacional (Itc). La nomina di de Guindos rappresenta solo marginalmente un’inversione di rotta, in un’istituzione la cui guida è saldamente nelle mani della presidenza come la Bce. Ci vorrà tutta la sua abilità, poi, per gestire l’eventuale ascesa di Jens Weidmann, un falco che vuole chiudere del tutto la politica degli stimoli economici portata avanti da Draghi, che tanto ha aiutato la Spagna nella crisi e la cui fine porterebbe a un aumento dei tassi d’interesse potenzialmente molto rischioso per un’economia indebitata come quella spagnola.
L’arrivo di de Guindos a Francoforte costituisce per Rajoy anche un’opportunità per affrontare importanti questioni nel partito e nell’esecutivo.
Molti esponenti di punta dei popolari mal digerivano il potere slegato dalle dinamiche politiche di de Guindos, che aveva anche l’interim dello Sviluppo, sempre pronto a mettersi di traverso alle politiche di altri ministeri, a partire da quello delle Finanze. Ma la necessità di compattare il partito e il governo va ben oltre le dinamiche personali e di sottogoverno. Dopo i risultati elettorali catalani, con la vittoria degli indipendentisti, il crollo dei popolari e l’esplosione di Ciudadanos (C’s), che inizia a tallonare il Pp anche nei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto, i popolari possono fare solo un bilancio preoccupato della situazione attuale.
Malgrado il deciso appoggio europeo nella crisi catalana l’immagine internazionale del paese è ai livelli più bassi. La questione catalana sembra lungi dall’essere risolta e le misure eccezionali e l’offensiva giudiziaria viaggiano sul limite, secondo molti oltrepassandolo, del rispetto delle convenzioni internazionali, dei parametri delle libertà politiche e degli standard giuridici dell’Ue. Ma è il nuovo protagonismo di Ciudadanos, in grado di proporsi come alternativa appetibile a un Pp colpito da gravissimi scandali di corruzione, la sfida che il partito deve affrontare.

Jean Claude Junker abbraccia de Guindos
Molti dirigenti politici richiedono da tempo a Rajoy un maggiore profilo politico del governo. La prossima apertura dello scontro per la supremazia a destra richiede più compattezza nel governo e il coordinamento con un partito che già è in riorganizzazione in vista di questa cruciale battaglia in cui potrebbe essere in gioco il futuro del Partido popular. Ciudadanos, infatti, si sta consolidando pericolosamente, ottenendo l’appoggio di settori imprenditoriali finora legati ai popolari. Si registrano le prime defezioni da parte di amministratori e dirigenti politici locali che fiutando il cambio del vento vanno verso gli arancioni, che cominciano ad attrarre classe dirigente.
Nel 2020 la Spagna tornerà al voto ma non è detto che non ci si arrivi prima. E altri importanti appuntamenti elettorali sono alle porte, da elezioni amministrative con un indubbio valore nazionale, a cominciare dalla Catalogna – dove un ritorno a breve alle urne potrebbe essere possibile se gli indipendentisti non riescono a risolvere le divisioni e superare lo scoglio della elezione del presidente autonomico – alle Europee del 2019. Sulla nomina di Puigdemont si sta consumando un durissimo scontro, non solo tra indipendentisti e “costituzionalisti”. I prossimi mesi della politica spagnola saranno segnati da due lotte feroci, quella tra popolari e arancioni per l’egemonia nella destra e nel nazionalismo centralista e quella nel fronte indipendentista, tra Junts per Cat, la lista di Puigdemont, Esquerra republicana de Catalunya e quello che resta del fu catalanismo moderato.
Scontri basati su agende di destra, quelle dei nazionalismi contrapposti, che trionfano in Catalogna e in Spagna. Mentre le sinistre, spagnole e catalane, stentano a trovare almeno una bussola che indichi una possibile uscita dalla nebbia che le avvolge.

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