Emma, Piero, Pierluigi, Massimo. La corsa dei candidati vintage

GUIDO MOLTEDO
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Se sarà eletta alla camera, come appare probabile, sarà la sua ottava legislatura a Montecitorio. Se sarà eletta al senato, dove pure è candidata, sarà la sua seconda volta a palazzo Madama, dove fu anche vicepresidente. Parlamentare di lunghissimo corso, sia con il centrodestra sia con il centrosinistra, Emma Bonino, è stata anche quattro volte eurodeputata. È stata ministro un paio di volte, con Prodi, ed è stata commissaria europea, con Berlusconi. Si è autocandidata alla presidenza della repubblica un paio di volte. Ha corso per la presidenza della Regione Lazio mentre contemporaneamente era in lista per la Regione Lombardia. Sconfitta, non è rimasta nell’assemblea regionale a fare opposizione, ma è tornata sui banchi del senato. Non ha mai smesso di essere presente nel dibattito politico.

Classe 1948, Bonino è una di quella pattuglia di candidati di peso nel centrosinistra e nella sinistra, in gran parte sessantenni-settantenni, che per notorietà e per capacità comunicativa danno un po’ di sapore mediatico a questa campagna elettorale. Senza di loro, il concentrato di attenzione sui capi, su Renzi, Berlusconi, Salvini e Di Maio, Gentiloni, stucchevole, sarebbe insopportabile in un confronto che brilla per assenza di discussioni reali su temi reali.

Bonino, con D’Alema, Bersani, Tabacci, Casini, Fassino, e un po’ Epifani e Cofferati, danno quel senso di vintage che non guasta a una politica che non riesce a proporre nuovi attori altrettanto capaci di comunicare qualcosa.

Di tutti loro, ma anche rispetto a tanti volti nuovi, Emma – a dispetto del numero ragguardevole di legislature e d’incarichi, a dispetto delle diverse casacche indossate – è considerata una candidata che si può votare – specie da parte di chi voterebbe Pd ma non Renzi e LeU ma non Grasso – perché le si riconosce coerenza e coraggio. Nel suo caso, gli innumerevoli ruoli ricoperti, in opposti schieramenti, non l’hanno logorata, sono ininfluenti ai fini della formazione dell’opinione sulla sua candidatura. Così, come non fa notizia, e non influisce, il fatto che la sua candidatura sia l’esito di una spaccatura dolorosa nel Partito radicale, con l’ala a lei ostile che predica l’astensionismo attivo. L’eredità radicale non si capisce di chi sia, ma per i media mainstream è lei la continuatrice di Pannella, negando l’evidenza che Marco farebbe il contrario se fosse ancora in vita, a sentire personaggi come Rita Bernardini e Maurizio Turco che di Pannella si considerano gli unici veri eredi.

Sul lato opposto, c’è il vituperato Pierferdinando Casini, presidente della camera, otto legislature alla camera, della quale è stato presidente dal 2001 al 2006, e poi senatore, ricoprendo la carica di presidente della commissione esteri e, da ultimo, quella di presidente della commissione d’indagine sulle banche. Il cocco di Arnaldo Forlani ha tenuto una traiettoria coerente, di moderato, dalla Dc via Udc fino al Cd. Oggi, ostentando la sciarpa del Bologna – il calcio è un grande coagulante trasversale e bipartisan e conta molto più della politica – si presenta con la massima disinvoltura nella casa del popolo di Bologna con Renzi. I militanti l’accolgono con calore. La notorietà, e l’indiscutibile capacità comunicativa, la fede bolognista del personaggio, fanno premio su tutto il resto.

Un altro diccì d’antan, Bruno Tabacci (1946), è un’altra delle star, anche se non di primo piano, di questo circo elettorale. Anch’egli comunicativo e affabile, decisamente simpatico, ha fatto lo slalom tra destra e sinistra, dopo la fine della Dc, dov’era uno dei cosiddetti colonnelli demitiani. Che adesso si sia associato a Bonino, agli antipodi della sua storia politica, non fa problema, certamente a lui è perdonato quel che è imputato a Casini.

Se Casini si presenta nella sua Bologna, Pier Luigi Bersani (1951) deve stare lontano dalla sua Piacenza. E trova rifugio nel più rassicurante perimetro Bologna-Imola, nella quota proporzionale, e in Veneto accetta la sfida impossibile in un collegio uninominale. Ex-presidente della Regione Emilia Romagna, tre volte ministro e quattro volte deputato, Bersani non se la sente di affrontare il voto dei suoi concittadini. Eppure è stato anche segretario del Pd, una carica che dovrebbe contare qualcosa nella sua città.

Segretario (dei Ds), lo è stato pure Piero Fassino (1949), anch’egli alla larga dalla sua città, Torino, che ha guidato come sindaco, per essere battuto nella corsa per il secondo mandato dalla sconosciuta Appendino. Cinque volte deputato, non cerca la rivincita nella sua città, come sarebbe stato legittimo attendersi da un politico della sua vaglia, questa volta si candida anche lui in Emilia Romagna: “A Torino è finito un ciclo. Sarò più utile al partito in Emilia”, ha detto alla Repubblica.

Più dura per un altro ex segretario del Pd, Guglielmo Epifani (1950) segretario generale della Cgil, succeduto al mitico Sergio Cofferati (anche lui in lista, in Liguria, con LeU, perché il seggio di eurodeputato evidentemente lo considera di serie b: viva l’Europa!) è candidato per la camera nei tre collegi proporzionali della circoscrizione della Sicilia orientale.

Dei quattro ex-segretari dei partiti eredi del Pci (Pds, Ds, Pd) – tre contro Renzi e uno con Renzi – l’unico che si metta davvero in gioco è Massimo D’Alema (1949), correndo in un difficile collegio uninominale senza il paracadute della proporzionale. Se batterà la temibile Teresa Bellanova nel collegio senatoriale del sud Leccese sarà la sua ottava legislatura alla camera. Lontano dalle dieci legislature di un De Mita o dalle nove di un Forlani, ma un traguardo ragguardevole.

Di questa pattuglia di politici navigati, chi vedremo a Montecitorio e a palazzo Madama? Probabilmente quasi tutti. Sul lato opposto ci saranno altri volti vintage – Brunetta, Vito, Schifani. Che ruolo avranno, che peso avrà la loro esperienza? O non accadrà che si ritroveranno spaesati in un parlamento che, rispetto agli anni della loro gloria, è totalmente cambiato, anagraficamente e culturalmente?

Una domanda che ne produce un’altra. Perché non considerano concluso il loro ciclo politico, pur onusto di cariche di prestigio e di potere, e si mettono in gioco? Perché ben quattro ex-segretari del più importante partito italiano si rimettono in corsa, anche col rischio di perdere la faccia?

Emma, Piero, Pierluigi, Massimo. La corsa dei candidati vintage ultima modifica: 2018-02-24T18:22:29+01:00 da GUIDO MOLTEDO
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