[LISBONA]
Si quaeris miracula / mors, error, calamitas, / demon, lepra fugiunt / aegri surgunt sani. / Cedunt mare, vincula, / membra resque perditas / petunt et accipiunt / juvenes et cani…*
Non è più diffuso come un tempo, il “Sequeri”. Eppure le parole di Fra’ Giuliano da Spira che accompagnano il canto di preghiera con cui s’invoca Sant’Antonio per recuperare le cose perdute, sono in quest’inizio di 2018 più che mai attuali dalle parti di Lisbona.
Ripresa dell’economia, boom dell’export, calo della disoccupazione: un miracolo portoghese, titola qualche giornale. “Ma che miracolo e miracolo, quelli lasciamoli al Santo. Per chi ci crede”, sentenzia invece dentro una risata il tassista che ci accompagna a fare una scorpacciata di cozido à portuguesa. Ma come, chiediamo, le politiche del governo di sinistra diretto da António Costa non stanno portando il Paese lontano dalla crisi
Per carità, stanno facendo meglio di tanti altri, stiamo correndo tutti come dei pazzi ma mi creda – dice indicando la statua del Santo che spunta da una curva – lasciamo le parole così imponenti a un passato fatto di credenze popolari.

Il primo ministro António Costa impegnato nella road map dell’innovazione portoghese
Sazi di costeletas, farinheira e di tutto il resto, ci abbiamo ripensato, qualche ora dopo, alle poche parole del tassista a cui non abbiamo chiesto nemmeno il nome. Il Bengodi, così come ce lo raccontò Boccaccio e come ora viene evocato da alcune testate europee (nessuna delle quali portoghese, a voler guardar bene) non ha forse lo skyline di Lisbona e di Porto. Perché se è vero che si tratta di un Paese che sta correndo, è altrettanto sicuro il fatto che per il momento, non sembra aver conquistato chissà cosa, a parte un Europeo di calcio, come non smettono di ricordare le sciarpe appese alle bancarelle.
È il momento di trasferirsi qui, di investire, di provarci – ci dice Alessandro, un amico italiano che insegna da anni all’università di Lisbona -, ma bisogna farlo adesso, perché tra un po’ il treno correrà troppo veloce e salirci sarà impossibile.
Ecco, quest’altra conversazione riassunta in una frase ci ha fatto comprendere ancora più in profondità il mood attuale del Portogallo: un hic et nunc in cui tutto può succedere ma la cui essenza sembra essere una dimensione di fragilità.
Te lo posso confermare – ci argomenta Mário, navigato architetto che fa da spola tra la capitale e Porto – la società e l’economia qui stanno correndo anche se non sanno bene dove, l’importante sembra essere la corsa in sé. Quando costruttori e colleghi presentano un progetto a un ipotetico acquirente immobiliare – prosegue – per quest’ultimo non c’è quasi il tempo per ragionarci su. Col tono sembrano dirti: se vuoi è così, altrimenti ho la fila di persone pronte a prendere il tuo posto. E arrivederci e grazie.
D’altra parte quella immobiliare – soprattutto legata al boom turistico – è la prima economia del Paese che ha preso il volo dall’abisso della recessione del 2009. In un anno il prezzo degli affitti a Lisbona, Porto, Sintra, Cascais e Amadora è cresciuto del ventisei per cento mentre le vendite sono salite del dodici per cento (1.895 euro al metro quadro per un appartamento medio a Lisbona, addirittura 2.410 a Cascais). Un fenomeno che se da una parte dà linfa all’economia, dall’altra mette in pericolo gli equilibri sociali di giovani coppie e famiglie, tanto che qualcuno ha già coniato per loro lo slogan del “nem-nem” (né-né): non sono in grado né di prendere in affitto, né di comprare.
Sul tema del lavoro e dello sviluppo economico del Paese si stanno concentrando le politiche governative dell’esecutivo di sinistra guidato dal socialista António Costa con l’appoggio esterno della Coalizione democratica unitaria (comunisti e verdi) e del Bloco de Esquerda.
I risultati per il governo ci sono (ristabilita la tredicesima e gli scatti d’anzianità per i dipendenti pubblici, niente più sovrattassa sui redditi personali, Iva al tredici per cento per molti prodotti alimentari, salario minimo da 557 a 580 euro al mese – ecco uno dei motivi del boom dell’export -, Pil in crescita al 2,4 per cento e disoccupazione mai così bassa: 8,9 per cento) ma sono risultati che per il momento non fanno di certo volare il Paese.
Prendiamo l’andamento del prodotto interno lordo, che da sempre rappresenta un po’ la cartina di tornasole dello stato di salute dell’economia di uno Stato.
Secondo le recenti previsioni della Commissione europea, il quadro non lascia molto spazio ai miracoli lusitani. A partire dal 2008, prima cioè del collasso dell’economia europea, il Pil portoghese alla fine dell’attuale legislatura – cioè l’anno prossimo – sarà cresciuto del 2,7 per cento. Ottimo risultato, scrive più di un analista. Certo, se paragonato all’andamento della Grecia che nel 2019 sarà in negativo del 21,1 per cento ma non se lo si mette a confronto con quello della quasi totalità degli stati membri dell’Unione.
Il Portogallo infatti in questa classifica occupa il venticinquesimo posto su ventotto (dietro ha solo Grecia, appunto, Italia e Croazia). Che cosa significano questi numeri? Per molti economisti portoghesi una cosa semplice semplice: l’economia portoghese non riesce a spingere di più sull’acceleratore perché ha già raggiunto il massimo del suo potenziale. Tesi che la politica ovviamente rifiuta – soprattutto a un anno da nuove elezioni – ma che inizia a lavorare come un tarlo. E se il meglio fosse già questo?
Per un Paese inchiodato sui dieci milioni di abitanti (erano nove nel 1960) la domanda potrebbe non essere completamente fuori luogo. Anche prendendo in considerazione un altro aspetto: provate a pensare un marchio, quindi una grande società portoghese famosa nel mondo. Non c’è. E non è questione di popolazione perché gli olandesi con diciassette milioni ne hanno ad esempio otto nella classifica delle top cinquecento (da Philips a Unilever), gli svizzeri quattordici (con 8,4 milioni di abitanti) e addirittura il Belgio è presente con un brand.
Il potenziale portoghese potrebbe dunque aver toccato il suo apice ma i segnali – non solo politici – che arrivano da Lisbona e dintorni non sembrano dire la stessa cosa.
Se parliamo di innovazione il quadro ad esempio è di una grandissima vivacità e fiducia nel futuro. Il Consumer Electronic Show di Las Vegas nell’ultima edizione dello scorso gennaio ha inserito il Portogallo tra i tredici champion mondiali di innovazione assieme a colossi come Stati Uniti e storiche realtà come Danimarca e Svezia; in un quartiere a Est di Lisbona sta nascendo “Hub Criativo do Beato”, il più grande incubatore europeo di startup con trentacinquemila metri quadri (Station F di Parigi ne ha trentaquattromila); Mercedes e altri brand dell’economia mondiale stanno rispondendo all’appello del premier Costa che ha messo sul piatto duecento milioni per convincere le aziende ad aprire e investire in Portogallo.
Insomma, nonostante tutto, molto si muove e si continuerà a muovere nel futuro prossimo. Ed è difficile, se non impossibile, al di là de numeri e delle analisi (secondo il documento “Ageing Report” della Commissione europea la crescita del Paese continuerà a essere la terza più lenta d’Europa fino al 2070) prevedere con certezza il futuro economico del Portogallo.
Nemmeno quello politico, ad essere sinceri. Con António Costa che ha gettato di recente più di un ponte verso il neo presidente del centrista Psd Rui Rio agitando non poco gli animi a sinistra (“non si può stare con Dio e con il diavolo allo stesso tempo!”, ha già tuonato il leader comunista Jerónimo de Sousa) e facendo spuntare l’ombra di un “nuovo ciclo”. La certezza è che i miracoli, per chi ci crede, vanno lasciati dalle parti dei santi. Anche se, come dicevano già i latini, “caput est, ut quaeramus”. E “si quaeris miracula…”**.
*Se miracoli tu brami / fugge error calamità / lebbra morte spiriti infami / e qualunque infermità / Cede il mare e le catene / trova ognun ciò che smarrì / han conforto nelle pene / vecchi e giovani ogni dì.
**L’essenziale è cercare… e se cerchi i miracoli

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