Il tema della difesa non è spesso al centro del dibattito politico. E nelle rare occasioni in cui lo è, lo scontro è davvero poco costruttivo. Nonostante ciò, i partiti ne parlano nei loro programmi. È bene ricordare che l’Italia è tra i quindici paesi che spendono di più nel settore della difesa e Finmeccanica-Leonardo è tra le prime dieci aziende mondiale del settore bellico. Dovrebbe quindi essere un tema rilevante della campagna elettorale.
Abbiamo considerato questi temi:
- Bilancio della difesa
- Basi militari
- Patrimonio immobiliare della difesa
- Industria bellica
- Disarmo
- Nato
- Missioni all’estero
Bilancio della difesa
L’Italia, come gli altri paesi membri della Nato, è vincolata alla cosiddetta “due per cento guideline”. Per evitare la continua erosione dei bilanci della difesa in seguito alla scomparsa dell’Unione sovietica e poi alla crisi economica, i paesi Nato avevano deciso di incrementare le spese per la difesa tendenzialmente verso il due per cento del Pil nell’arco di un decennio. Negli ultimi anni le tensioni con la Russia sono state considerate all’origine del recente aumento della spesa militare dei paesi europei (dal 2007, la Russia ha aumentato dell’87 per cento le proprie spese militari).
La Nato considera inoltre una suddivisione equilibrata della spesa il rispetto del principio 50 – 25 – 25: in sostanza una spesa militare auspicabile dovrebbe prevedere il cinquanta per cento di essa per il personale, venticinque per la manutenzione e l’altro venticinque per investimenti. In Italia circa il sessanta per cento della spesa per la difesa è destinata al personale, organizzato in una struttura elefantiaca e squilibrata.
Nel 2016 le spese italiane per la difesa sono state di circa 25 miliardi.
Ridurre la spesa per la difesa
Movimento Cinque Stelle, Liberi e Uguali e Potere al Popolo sono a favore. Con qualche differenza di approccio.
Potere al Popolo punta ad un taglio drastico alla spesa militare.
Il Movimento Cinque Stelle invece vuole ridurre gli sprechi nel settore della difesa: dall’uso improprio di auto-blu, aerei di stato e alloggi di servizio al pagamento di affitti per accogliere presidi nel territorio, dalle unità navali utilizzate a scopi promozionali e non prettamente di Difesa alle strutture parallele agli ordinamenti civili (i tribunali militari, gli ospedali militari o i cappellani militari). I Cinque Stelle vogliono anche concedere al personale militare il riconoscimento di alcuni importanti diritti alla pari del personale della pubblica amministrazione.
Soluzione Europea
Partito Democratico e Più Europa attribuiscono centralità alla difesa europea.
Più Europa sostiene la necessità di forze armate dell’Unione addestrate ed equipaggiate al meglio, dotate di elevata prontezza operativa e capacità di proiezione ma prive di armi nucleari.
Il Partito democratico punta alla creazione di un fondo europeo della difesa che possa gradualmente portare all’istituzione di una guardia costiera e di frontiera comune.
Ambiguo
Il centrodestra punta all’adeguamento ai parametri medi occidentali degli stanziamenti per la difesa. E sostiene l’aumento degli stipendi per le forze dell’ordine e le forze armate.

F-35
Basi militari
Sul territorio italiano sono presenti cinquantanove basi ed installazioni militari statunitensi (e circa tredicimila militari). Le basi esistono grazie ad un accordo di collaborazione militare tra Italia e Stati Uniti (siglato nel 1951 e poi modificato più volte). L’Italia è inoltre sede di alcune delle più importanti basi americane al di fuori degli Stati Uniti (Vicenza, Aviano, Livorno). Alcune di queste sono anche deposito nucleare.
Le basi sono state spesso oggetto di polemica politica: tra le più recenti è sufficiente ricordare la vicenda del Muos. Il Muos è un sistema di comunicazioni satellitari militari ed è gestito dal dipartimento della difesa americana: una delle stazioni a terra di questo sistema si trova a Niscemi, in Sicilia, dove è stata installata nel 2014. Da allora è cominciata la protesta del comune e di molte associazioni che ne hanno sottolineato la pericolosità per la salute. Dopo innumerevoli passaggi attraverso la giustizia italiana i ricorsi presentati contro il Muos sono stati tutti cassati.
A favore dello smantellamento delle basi militari
Potere al Popolo è il solo partito che ne parla e sostiene la cancellazione del Muos in Sicilia, la rimozione delle bombe nucleari presenti sul territorio e la restituzione a fini civili dell’uso del territorio, problema particolarmente grave in realtà come la Sardegna.
I programmi degli altri partiti non ne parlano. Tuttavia nessuno di loro ha avanzato proposte simili a quelle di Potere al Popolo. Il Movimento Cinque Stelle ha sostenuto la protesta contro il Muos ma nel tempo il tema è sparito dalle dichiarazioni dei suoi rappresentanti a livello regionale.
Patrimonio immobiliare della difesa
Il patrimonio immobiliare della difesa italiano comprende una vastissima tipologia di siti: depositi, caserme, forti, arsenali, ecc. In parte questi siti sono ancora utilizzati dalle forze armate. In moltissimi altri casi no.
Del tema ne parla solo il Movimento Cinque Stelle che punta ad aiutare gli enti locali nella riconversione di tali strutture. Per farlo il M5S vuole intraprendere iniziative di democrazia partecipata che diano voce alla cittadinanza che vive in simbiosi con le aree a maggior concentrazione di strutture militari.
Industria bellica
I temi sono essenzialmente due: gli F35 e l’esportazione di armi. Come molti ricorderanno, attorno agli F35 vi era stata una grande polemica sui costi. Inizialmente ne erano stati prenotati cento e trentuno (per una cifra iniziale di tredici miliardi di euro) poi ridotti a novanta.
Per quanto riguarda le esportazioni di armi (Finmeccanica-Leonardo è nella top ten delle imprese che producono armi), il dibattito politico si è concentrato sulla vendita di armi all’Arabia Saudita. La legge 185 del 1990 stabilisce che “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i paesi in stato di conflitto armato” in contrasto con le direttive Onu, “verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”, verso i Paesi “responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”.
Come si sa, l’Arabia Saudita è intervenuta nella guerra civile yemenita, in appoggio ai sunniti e contro gli Huthi, d’ispirazione sciita e sostenuti dall’Iran. Secondo vari rapporti, le bombe dell’aviazione saudita hanno provocato più di diecimila vittime.
Un’inchiesta del New York Times ha poi messo in evidenza che le bombe saudite erano di fabbricazione italiana, prodotte dalla Rwm in Sardegna e poi spedite ai sauditi.
Il parlamento europeo aveva chiesto l’interruzione della vendita di queste armi e il Parlamento italiano aveva affrontato la questione nel settembre scorso. Senza tuttavia aver arrestato l’esportazione del materiale bellico.
Contro gli F-35
Potere al popolo è il solo partito che ne parla. Potere al popolo chiede la cancellazione di tutti i programmi militari e la riconversione civile dell’industria bellica.
Non pervenuto
Movimento Cinque Stelle, Pd, Più Europa, centrodestra e Liberi e Uguali non ne parlano nei loro programmi. Il Pd ha diminuito il numero di caccia da acquistare però resta favorevole. Così pure il centrodestra (anche se la Lega Nord non è così favorevole). Il Movimento Cinque Stelle non ne parla nel programma ma i suoi iscritti avevano votato in un referendum on line per tagliare i finanziamenti agli F35 e dirigerli verso la cybersecurity.
Contro le esportazioni armi
Liberi e Uguali e Movimento Cinque Stelle avevano presentato delle mozioni per interrompere la vendita di armi all’Arabia Saudita. Liberi e Uguali ne parla anche nel proprio programma. Secondo Leu, l’industria italiana degli armamenti deve rispettare le norme internazionali, europee e sulle limitazioni all’export bellico. Potere al popolo vuole la riconversione dell’industria bellica in industria civile.
Non pervenuto
Il Partito Democratico nulla dice sull’esportazione delle armi. Tuttavia il Pd sostiene la creazione del mercato unico europeo della difesa, per ottenere risparmi sul bilancio nazionale.
Nemmeno il centrodestra e Più Europa si sono espressi sul punto. Forza Italia e Partito Democratico in occasione del dibattito parlamentare avevano presentato due mozioni in cui non si chiedeva la sospensione dell’esportazione delle armi.
Disarmo
Negli ultimi anni si è dibattuto a livello internazionale del cosiddetto Trattato sulla proibizione della armi nucleari. Approvato nel 2017, il trattato ha bisogno di almeno cinquanta ratifiche per entrare in vigore. A favore del trattato si sono espressi in sede Onu centoventi due stati (un voto contrario e un astenuto). Sessantanove paesi non hanno partecipato al voto: si tratta delle potenze nucleari e dei paesi legati ad alleanze che detengono armi nucleari (la Nato).
A favore della ratifica
Liberi e Uguali e Potere al Popolo sostengono la ratifica da parte dell’Italia del trattato.
Ambiguo
Più Europa sostiene il ritiro delle armi nucleari tattiche statunitensi schierate in Belgio, Germania, Italia e Paesi Bassi, in parte assegnate per un eventuale uso alle aeronautiche nazionali di questi quattro paesi. Non dice nulla però sul trattato.
Non pervenuto
Centrodestra, Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle non ne parlano.
Nato
L’appartenenza all’Alleanza Atlantica è uno dei pilastri della politica estera e di difesa italiane.
Uscita dalla Nato
Potere al Popolo è il solo partito che parla della Nato nel suo programma e sostiene “la rottura del vincolo di subalternità che ci lega alla Nato e la rescissione di tutti i trattati militari”.
Non pervenuti
Più Europa, Partito Democratico, centrodestra, Liberi e Uguali e Movimento Cinque Stelle non ne parlano.
I primi tre non mettono tuttavia in dubbio l’adesione italiana alla Nato mentre di Liberi e Uguali è difficile capirlo.
I Cinque Stelle hanno cambiato posizione sul tema e c’è stata una fase di grande confusione: oggi non sembrano contrari all’adesione italiana alla Nato.
Missioni all’estero
Attualmente l’Italia è impegnata in trentacinque missioni di militari e sono quasi quattordicimila i soldati impiegati. Di questi circa la metà è impiegata all’estero.
La missione più importante rimane l’operazione “Prima Parthica”, avviata nel 2014 in Iraq, a seguito dell’espansione dell’ISIS in Iraq e Siria. Qui l’Italia svolge una funzione di training e di assistenza alle forze armate e di polizia irachene, con circa mille e quattrocento militari.
Sono invece poco più di mille e cento i militari italiani impegnati nell’operazione “Leonte”, parte della missione Unifil in Libano. I soldati italiani sono presenti poi in Afghanistan, Kosovo, Somalia, Libia. Dal 2018 militari italiani saranno presenti anche nel Sahara occidentale, in Tunisia, nella Repubblica centrafricana. E nel Niger, presenza che è stata oggetto di forti polemiche e che fa parte della strategia avviata dal ministro dell’interno Marco Minniti per contrastare l’immigrazione nei punti di partenza.
A favore delle missioni italiane all’estero
Il Partito democratico è l’unico che ne parla apertamente nel suo programma. Propone tra l’altro questo progetto dei “Caschi Blu della Cultura”.
Il centrodestra non ne parla. Tuttavia l’ultimo voto della Camera sul rifinanziamento delle missioni internazionali fornisce qualche indicazione in più. Forza Italia e Fratelli d’Italia avevano infatti votato col Partito democratico a favore del decreto di rifinanziamento. La Lega Nord si è astenuta.
Contro le missioni militari all’estero
Potere al popolo è l’unico partito che si esprime per il ritiro delle missioni militari all’estero. Liberi e Uguali aveva votato contro il decreto di rifinanziamento ma non ne parla nel proprio programma.
Non pervenuto
Il Movimento Cinque Stelle aveva votato contro il rifinanziamento delle missioni ma per ragioni generali di opposizione al governo. Di Più Europa non si conosce la posizione al riguardo.

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