Risultato impietoso. Quel tre virgola qualcosa, che serve a entrare in parlamento con una manciata di deputati e senatori, non lo prevedeva nessuno dalle parti di Liberi e uguali. Anzi, si è finanche temuto lunedì mattina che l’asticella posta al tre per cento potesse abbassarsi come una tagliola nel corso del riconteggio finale e dell’afflusso dei voti dalle circoscrizioni estere.
I più pessimisti alla vigilia pensavano a un sei-sette per cento, non alla metà di quella percentuale. Ora si è molto lontani dalle percentuali della sinistra radicale in altri paesi europei (il nove per cento della Linke in Germania, il risultato a due cifre di Podemos e Mélenchon in Spagna e Francia). La conferenza stampa di Grasso, Fratoianni e Speranza (bocciati nei collegi uninominali come Grasso e Boldrini) ha ammesso la delusione, pur cercando di non demordere dall’idea di costruire “un partito della sinistra” senza chiarire – c’era da aspettarselo, ci vorrà tempo – come e su che: effetto doccia fredda, difficile da smaltire in fretta.
Che si fosse lontani dal risultato a due cifre di cui aveva parlato tempo fa Massimo D’Alema (umiliato nel suo collegio uninominale in Puglia) lo si era compreso, ma il tre per cento virgola qualcosa è un ceffone senza appello (come nei collegi uninominali di Bersani, Errani & company). A nulla è servita la leadership dei presidenti di senato e camera (Grasso e Boldrini) insieme al mix tra vecchi e nuovi leader (D’Alema, Bersani, Fratoianni, Civati, Speranza) per dare un’immagine convincente a Liberi e uguali. Né è servito separare la scelta anti Gori in Lombardia (dove si raccoglie un misero due-tre per cento) da quella filo Zingaretti nel Lazio.
L’amalgama improvvisato intorno a Grasso candidato premier si è rivelato mal riuscito. Non si è aperto inoltre un grande spazio politico a sinistra, come ci si attendeva, a fronte della crisi del Pd che è stata capitalizzata (soprattutto al sud) dai grillini.
È fallita contemporaneamente l’illusione di capitalizzare parte del “no” al referendum costituzionale renziano di oltre un anno fa: quel voto era in realtà più una miscela magmatica tra destra, sinistra e 5 Stelle che una scelta politicamente univoca.
Liberi e uguali – come il Pd – non ha fatto infine i conti con la nuova realtà sociale italiana ricca di rancori, nuove divisioni tra nord e sud, invecchiamento anagrafico, perdita di speranze, perdurante crisi economica, nausea per i giochi politici. Solo sociologi come Giuseppe De Rita, e il suo Censis, avevano provato a schizzare un quadro realistico della società italiana che la politica non ha voluto vedere.
Ce n’è dunque quanto basta per prevedere una implosione di Liberi e uguali, che già in campagna elettorale conviveva tra opzioni diverse (nuovo centrosinistra senza Renzi o rapporto preferenziale con i grillini?)
Le contraddizioni potrebbero ulteriormente aumentare, qualora nelle prossime settimane prendesse quota l’idea di un governo 5 Stelle-Pd o di un “governo di scopo”. Una parte di Liberi e uguali potrebbe non volere stare fuori dai giochi e dividersi dall’altra.
Delusione anche dalle parti di Potere al popolo, seppure realisticamente più contenuta. Nei dintorni di Rifondazione e Centri sociali si sperava nella “sorpresa” che alcuni sondaggisti avevano previsto per +Europa e Potere al popolo con il raggiungimento del quorum del tre per cento. Quell’uno virgola qualcosa è davvero sconsolante pure per chi ha una vocazione testimoniale e minoritaria.
La sconfitta delle sinistre travolge dunque tutte le componenti. Quelle più grandi e quelle più piccole, quelle più moderate e quelle più radicali. Le sinistre italiane sono al loro minimo storico. Servono idee, cultura e tempi lunghi per ricostruirle.

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1 commento
L’analisi registra i fatti e dunque corrisponde. Ma un elemento mi pare riveli una lente di lettura falsata: quando parli di differenti prospettive in liberi e uguali contrapponi il centrosinistra senza renzi al rapporto preferenziale con i 5 stelle.
non mi convince per due motivi: il primo è che resta dentro uno scenario già proposto dal Pd per cui l’alternativa sarebbe tra “responsabili e populisti” e dunque chi non guarda al PD sarebbe oggettivamente o soggettivamente filo 5 stelle. Uno spauracchio che mi pare sia servito a poco. Il secondo è che riduce il centrosinistra al PD: qui è un po’ più complicato ma credo che la ricerca anche di alleanze più larghe a sinistra non corrisponda al guardare al PD derenzizzato. Questa lettura, di nuovo, semplifica una posizione che non è la mia ma di chi è uscito dal PD e che lo avrebbe fatto solo per ostilità a Renzi. Mi pare che D’alema, che non è mai stato un mio riferimento, faccia una riflessione critica sulle esperienze di centrosinistra e sulla compromissione dei partiti socialisti con le politiche di austerity interessante. Questa analisi, insomma, mi sembra tutta dentro lo scenario un po’ politicista e un po’ semplificato della guerra tra personalità e dello scontro tra responsabili-europeisti e populisti-sovranisti. Continuare a agitare lo spettro dei barbari non è servito. Riconoscere che nel PD il problema non sia solo Renzi ma più profondo (le politiche di minniti, la fornero, le politiche europee,) e provare a non liquidare a macchietta la necessità di una sinistra autonoma, molto diversa da quella esistente e che non si limiti a scegliere a chi essere subalterna è il primo passo per una riflessione di cui nessuno ha la soluzione in tasca. grazie 🙂