Di Maio. Quel giorno, la prima volta di Gigino a Montecitorio

L'esordio del futuro leader pentastellato, l'apprendistato e poi il grande volo verso i vertici della politica nel ricordo personale di un cronista parlamentare.
ALDO GARZIA
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Scusi, dove si firmano i documenti di verifica dell’avvenuta elezione e dove si fanno le foto per il tesserino da deputato? Mi sono perso…

Me lo chiede un giovanissimo parlamentare, timido e spaurito, che mi incrocia mentre sto rientrando nella sala stampa di Montecitorio. Per lui è il primo giorno di scuola. Siamo nel marzo 2013. La camera è invasa da ragazzi e ragazze che si guardano intorno come fossero in un museo. Sono i neoparlamentari grillini che si aggirano con il naso all’insù in cerca di commessi che possano spiegare loro come sbrigare le pratiche d’occasione. Hanno un atteggiamento che è un miscuglio tra curiosità e sfida per il luogo che hanno conquistato.

Quel giovane che mi ha fermato è Luigi Di Maio, nato ad Avellino nel 1986, eletto a Napoli. Ci presentiamo. Mi propongo di accompagnarlo negli appositi uffici, lui accetta e passiamo la mattinata insieme. Nell’attesa e in fila parlottiamo del più e del meno. Rimango colpito dal suo fare gentile, dal vestire elegante – abito scuro, cravatta anonima ma intonata come fa anche cinque anni dopo – e dall’affabilità.

Mi racconta che è un militante grillino fin dagli albori del movimento, che risiede a Pomigliano e che è tuttora studente. Si crea tra noi una certa simpatia. Io del resto sono curioso di scoprire chi sono questi grillini sconosciuti. Nei giorni seguenti torniamo a parlottare e diventiamo quasi amici pur dandoci del “lei”Mi capita di confidare in quel periodo ad alcuni colleghi:

Questo Di Maio non è affatto male, bisogna tenerlo d’occhio. È un ragazzo meno sprovveduto di altri grillini. 

Quello che accade il 21 marzo 2013 mi dà ragione. Di Maio è eletto a sorpresa vicepresidente della Camera. Diventa il volto istituzionale del grillismo. Nonostante un certo fiuto che mi deriva dal frequentare Montecitorio fin dal 1976, non avrei immaginato che cinque anni dopo quel ragazzo sprovveduto che si aggirava alla Camera sarebbe diventato il capo politico del Movimento 5 Stelle e il candidato più quotato alla poltrona di premier. 

Nei mesi successivi al marzo 2013, ho assistito al suo apprendistato: studio del regolamento, letture per farsi un background, frequentazione dei colleghi esperti, prime presidenze delle sedute gestite con imprevedibile talento, sempre cortese e mai un “vaffa” o una indiscrezione sulle riunioni dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio, mai una parola fuori posto quando vestiva i panni del vicepresidente, amico stimato del renziano Roberto Giachetti, pure lui vicepresidenteDi Maio si è dimostrato freddo e calcolatore, con la stoffa del politico di professione. Proprio il contrario del gigione e istrionico Alessandro Di Battista con cui ha sempre evitato di entrare in competizione. Gigino, come lo chiamano gli amici, ha imparato da autodidatta come si diventa leader e come di tiene un discorso, a seconda che sia una piazza o una sede istituzionale.

Padre dirigente del Movimento sociale italiano e di Alleanza nazionalemadre insegnante di italiano e latino, studi al liceo classico di Pomigliano dove muove i primi passi politici facendosi eleggere come rappresentante degli studenti nel comitato d’istituto, Di Maio si iscrive prima alla facoltà di ingegneria all’Università degli studi di Napoli Federico II e poi alla facoltà di giurisprudenza senza terminare gli studi. È eletto presidente del consiglio degli studenti, poi s’avvicina al Movimento 5 Stelle e ne diventa un militante. I suoi amici di allora dicono che si vantasse di non essere né di destra e né di sinistra. Nel 2010 si candida alle elezioni comunali a Pomigliano D’Arco (si racconta che ottenne solo 59 preferenze). Nelle elezioni del 2013 si candida alla Camera: è eletto con il 25,56 per cento nella circoscrizione Campania 1 (è il secondo candidato più votato tra i grillini)La leggenda vuole che Dario Fo lo abbia identificato come un leader di sicuro avvenire, dopo averlo incontrato qualche volta. Tra i suoi hobby, il tifo per la Ferrari in Formula 1.

Il discorso che Di Maio ha tenuto lunedì scorso all’hotel Parco dei principi a Roma per commentare i risultati elettorali era tecnicamente e politicamente perfetto: gioia contenuta, giusto orgoglio, piglio da possibile premier, disponibilità al dialogo con tutti per trovare una maggioranza di governo stabile e individuare gli identikit dei presidenti di Camera e Senato, parole di stima verso il presidente della Repubblica. Di strada Di Maio ne ha fatta tanta.  È andato perfino all’estero per tranquillizzare diplomazie e mercati. Chissà se arriverà a insediarsi a Palazzo Chigi.

Di Maio. Quel giorno, la prima volta di Gigino a Montecitorio ultima modifica: 2018-03-06T16:46:32+01:00 da ALDO GARZIA
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