L’inciso di Mattarella e il dettato costituzionale

Il richiamo del presidente all'eccezionale delicatezza della situazione suggerisce di consultare qualche sacro testo costituzionale e di rievocare qualche episodio del passato che può fornire indicazioni anche per il futuro.
GIORGIO FRASCA POLARA
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L’inciso con cui, in occasione della celebrazione della Festa della donna, Sergio Mattarella ha voluto richiamare le forze politiche alla eccezionale delicatezza della situazione (“Serve senso di responsabilità, saper collocare sempre al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini”) suggerisce di consultare qualche sacro testo costituzionale e di rievocare qualche episodio del passato che può fornire indicazioni anche per il futuro.

Gli uni e gli altri concorrono, infatti, nel ritenere che

la sommarietà della disciplina costituzionale relativa alla formazione del governo e principalmente alla nomina del presidente del Consiglio [notava lo scomparso Livio Paladin, illustre costituzionalista che fu anche presidente della Consulta, nella voce “Presidente della Repubblica” dell’Enciclopedia del diritto, Giuffrè ed., 1986] ha consentito e consente l’emergenza e l’applicazione di un vasto complesso di regole non scritte ma per certi aspetti così consolidate da tradursi in vere e proprie consuetudini il cui effetto è in molti sensi quello di lasciare al capo dello stato “una ampia libertà di manovra”.

Paladin aveva tratto quest’annotazione sull’ampia libertà di manovra da un altro illustre giurista e a suo tempo giudice della Corte costituzionale, Enzo Cheli, che ne aveva ampiamente scritto nel “Commentario alla Costituzione” (a cura di Giuseppe Branca), Zanichelli ed. 1983. Subito prima di entrare nel merito della questione che qui ci interessa, il prof. Cheli aveva notato, con notevole lungimiranza (e oggi con impressionante attualità), che

le difficoltà della scelta [per l’incarico ad un presidente del Consiglio, ndr] si siano accresciute nel tempo, oltre che per l’accentuarsi della frammentazione manifestata dal nostro sistema politico, anche in conseguenza del fatto che le funzioni presidenziali hanno progressivamente aumentato il proprio spessore e la propria incidenza.

Poco dopo spiegherà in che cosa consista “l’arricchimento delle funzioni presidenziali”: in primo luogo “nella evoluzione dei poteri connessi alla formazione dei governi”.

Il Presidente Mattarella alla cerimonia di insediamento del Presidente della Corte dei conti e Inaugurazione anno giudiziario 2018, 13 febbraio

Già, la progressiva espansione dell’intervento presidenziale è stata ampiamente favorita dalla presenza di vari fattori sia d’ordine formale che sostanziale.

Si pensi sul piano formale – nota intanto Cheli – alla particolare stringatezza della disciplina relativa alla nomina del presidente del Consiglio [“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.”, art. 92, secondo comma] che la Costituzione subordina solo al fine della formazione di un governo in grado di ottenere la fiducia delle Camere: l’assenza di ogni ulteriore indicazione in ordine alla alle modalità della scelta ha consentito, nei fatti, al Capo dello Stato, un’ampia libertà di manovra sia sul piano delle procedure di consultazione (anche attraverso la creazione di figure nuove, quali quelle del “reincarico” o del “mandato esplorativo”) sia sul piano dell’individuazione della persona dell’incaricato.

Ma il prof. Cheli pensa anche al rilievo assunto da alcuni fattori sostanziali, quali quelli connessi alla struttura frammentata del nostro sistema politico:

Tale struttura […] ha naturalmente ampliato il potere di influenza del Capo dello Stato nella scelta e nel dosaggio preliminare delle varie possibili formule di coalizione dal momento che il potere di designazione del Capo dello Stato è inversamente proporzionale al grado di coesione e compattezza dei partiti della maggioranza”. Insomma, “quanto più la situazione politica resta fluida e incerta – quanto più, cioè, il sistema dei partiti non è in grado di esprimere scelte univoche in ordine a un determinato candidato – tanto più il Capo dello Stato aumenta gli spazi di libertà connessi alla propria scelta, orientando autonomamente la formazione di determinate maggioranze.

Tale tendenza è accentuata fino al punto di sfociare nell’adozione di formule decisamente “anomale” quale quella dell’incarico “condizionato” alla formazione di determinate maggioranze [un altro costituzionalista, Pietro Capotosti, aveva richiamato a questo proposito i precedenti, davvero anomali, verificatisi sotto la presidenza di Giuseppe Saragat, a cavallo degli anni Sessanta-Settanta, ndr] o quella dell’incarico conferito cumulativamente ad una terna, comprensiva del Presidente del Consiglio e di due Vice Presidenti”: è il precedente instaurato da Sandro Pertini nel marzo 1979 con il conferimento simultaneo dell’incarico ad Andreotti e ai vice La Malfa e Saragat, esperimento comunque fallito sul nascere. “E anche se tali formule hanno incontrato comprensibili difficoltà ad assumere il valore di precedenti stante il loro carattere liminare rispetto al modello tracciato in Costituzione [cioè incarico unitario, ndr], resta il fatto  [ribadisce Cheli] che la formazione di governi a vocazione “presidenziale’” è divenuta, nella storia recente della nostra Repubblica, evenienza sempre meno infrequente.

Il presidente Mattarella al Tearo La Fenice di Venezia per l’inaugurazione dell’Anno accademico dell’Università Ca’ Foscari, 20 febbraio

Lo stesso Cheli colloca, a margine delle considerazioni appena citate, due note molto significative per la loro attualità. La prima spiega quella sua definizione di governi a vocazione presidenziale:

L’espressione è da intendersi, ovviamente, nel senso di governi dove la scelta da parte del Capo dello Stato del presidente incaricato viene in tutto o in parte a prescindere dalle indicazioni offerte dalle forze politiche della potenziale maggioranza.

Classici esempi gl’incarichi di Pertini a Ugo La Malfa e a Craxi nel 1979 e a Spadolini nel 1981, dopo l’esplosione dello scandalo della P2. La seconda nota, anche se è strettamente connessa a quella della scelta del presidente incaricato,

pone il problema, diverso, della ‘influenza’ che il Capo dello Stato è in grado di esercitare nella definizione della composizione del governo, suggerendo scelte o esclusioni di persone determinate: anche su questo secondo piano le tendenze più recenti sembrano registrare – pur con forti contrasti – un ampliamento del ruolo presidenziale.

Il precedente più recente e noto? Il secco, intransigente “no” di Oscar Luigi Scalfaro alla designazione nientemeno che a ministro della giustizia, nella prima compagine governativa di Silvio Berlusconi, di quel Cesare Previti, che era avvocato di punta dell’ex cavaliere e personaggio tanto discusso da esser più tardi condannato in via definitiva a sei anni di carcere per lo scandalo Imi-Sir. Prima di scomparire, dovette “contentarsi” del ministero della difesa.

L’inciso di Mattarella e il dettato costituzionale ultima modifica: 2018-03-08T17:35:11+01:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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