Alla fine potrebbe esserci addirittura una stretta di mano tra Donald Trump e Kim Jong-Un. Ebbene sì, dopo mesi di minacce e di insulti, di virili manifestazioni muscolari da parte dei due leader, si profila la possibilità che gli stessi si parlino direttamente (“di persona personalmente”, direbbe il Catarella dei romanzi di Camilleri), in un incontro bilaterale da tenersi entro il prossimo mese di maggio.
Beninteso, anche nel recente passato ci sono stati incontri ai massimi livelli tra Usa e Corea del Nord (nel 2000 ci fu la storica visita di Madeleine Albright, allora segretario di stato, a Pyongyang), ma adesso è diverso. Per tante ragioni.
La prima. Alla Casa Bianca c’è un signore che in campagna elettorale aveva promesso di “regolare definitivamente” i conti con i nordcoreani, senza escludere il ricorso all’arma atomica.
La seconda. L’incontro avverrebbe al culmine di una pericolosa escalation tra i due paesi, nella quale si sono visti, tra l’altro, i progressi di Pyongyang sul versante dei missili balistici.
La terza. Di mezzo c’è un ruolo attivo, distensivo e propositivo della Corea del Sud. La quarta. Non si esclude che la sede possa essere proprio Washington, con tutto il valore simbolico che il fatto assumerebbe.
Insomma, la Corea del Nord, al massimo della sua potenza militare, sia in chiave difensiva che offensiva, dopo un lungo e pericoloso braccio di ferro, si siederebbe alla pari con gli Usa ad un tavolo di trattative, per giunta alla Casa Bianca (se così sarà).
Perché Pyongyang sarà pure un “paese canaglia”, un’espressione conclamata del cosiddetto “Asse del Male”, ma non della specie di un Iraq, di una Libia, di un Afghanistan o di una Siria qualsiasi. A parte il suo arsenale militare (che conta), è la posizione geografica che mette questo paese in una botte di ferro: Cina e Russia non permetterebbero mai agli americani di piazzare i loro missili a ridosso dei propri confini meridionali.
Chiarissima Pechino:
Il prossimo passo da parte di tutte le parti è di sostenere questo slancio e forgiare sinergie, lavorando assieme per restaurare la stabilità nella penisola coreana.
Altrettanto chiara Mosca:
Un passo nella giusta direzione. Ora piena soluzione politica.
Sicuramente, si è in presenza di un successo della politica estera nordcoreana, che ha saputo dosare finora prove di forza e diplomazia, fino al capolavoro di Pyongyang, che ha visto gli Stati Uniti isolati di fronte all’asse, anche mediatico, tra le due Coree, e all’incontro, dopo undici anni, tra una delegazione di alti funzionari sudcoreani ed il “Brillante compagno” (così è chiamato in patria) Kim Jong-Un.
Ma che succede all’interno del paese? Nonostante le sanzioni, peraltro inasprite recentemente, la società nordcoreana è in gran fermento. Continua l’opera di svecchiamento dell’apparato economico e produttivo, si espande il settore privato, sebbene all’ombra di piccoli e grandi conglomerati di stato.
Alcuni esempi. La compagnia aerea statale, la Air Koryo, sta da tempo diversificando le sue attività, dando vita (o copertura) a nuove compagnie di taxi, a distributori di benzina, a grandi magazzini, specializzandosi anche nella produzione di cibi in scatola, bevande alcoliche ed energetiche. Allo stesso modo, la Gold Cup Company, nata nel 2009 nel settore ittico, oggi produce mobili, gestisce ristoranti e caffè, anche una fabbrica per la trasformazione di alimenti, considerata un fiore all’occhiello dalle autorità. Come la Naegohyang, storica fabbrica di sigarette, che recentemente ha iniziato a produrre carte da gioco, articoli elettronici e abbigliamento sportivo, e la Masikryong, azienda che gestisce l’omonima stazione sciistica, che adesso imbottiglia acqua minerale e gestisce una compagnia di autobus.
Comunque, si tratta nella maggior parte dei casi di iniziative che nascono nel seno dell’apparato pubblico (compreso quello militare-industriale), da cui possono trarre vantaggi (finanziamenti, carburante, relazioni sottobanco con l’esterno, ecc.) in regime di sanzioni internazionali. Questa circostanza ha portato alcuni osservatori a fare un parallelo con la Birmania degli anni Novanta, quando le sanzioni portarono i militari a smantellare una serie di aziende di stato, favorendo soggetti vicini e allineati al regime.
Certamente, si può parlare di un “nuovo corso” in economia, che vede investimenti di privati in settori strategici e meccanismi di mercato volti a favorire un ammodernamento ed una diversificazione dell’economia e della produzione industriale, con conseguente alleggerimento della mano statale anche nella fissazione dei prezzi e nell’allocazione delle risorse.
Ma le sanzioni pesano, eccome se pesano. In questo nuovo clima, però, non è da escludere che la Cina possa fare un primo passo, dopo la prova di distensione offerta da Pyongyang. Le ultime mosse di Kim Jong-Un (compreso l’incontro con Trump), insomma, potrebbero spingere Pechino a presentare una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere la revoca di alcune sanzioni, in particolare quelle che limitano l’interscambio con l’estero.
Sicuramente, questa richiesta incontrerebbe il veto di Stati Uniti e Gran Bretagna (quasi sicuramente anche della Francia), ma consentirebbe alla Cina di rompere unilateralmente il blocco, ristabilendo relazioni commerciali e finanziarie ufficiali con il vicino di casa. Un passo che, successivamente, potrebbe fare anche Mosca.
E Seul cosa farebbe in questo caso? A questo punto, non sarebbe scontato un suo allineamento alla posizione di Washington. A parte la distensione con i fratelli del nord, avrebbe molto da guadagnare da un rapporto per così dire “amichevole” con Pechino, che nel futuro sarà sempre più determinante per le sorti dell’economia di quell’area, quindi anche per quelle delle principali aziende sudcoreane.

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