Proviamo a mettere in fila quanto è successo.
Innanzi tutto la valutazione su chi ha perso e chi ha vinto non va fatta sulla base delle sigle politiche, ma sulla base della corrispondenza delle idee che sono state messe in campo ai desideri, ai bisogni, alle aspettative del corpo sociale italiano.
Ragionando così hanno certamente perso le idee conservative più interne al mainstream ideologico che ha portato ai disastri nell’economia, nella democrazia, nei diritti dei lavoratori.
Hanno perso le idee di chi confondeva, per stupidità o per interesse, la parte vincente della società con la società tout court.
Hanno perso il partito di Renzi e il partito di Berlusconi.
Due ottime notizie.
Al contrario hanno vinto coloro che si sono proposti di modificare radicalmente lo stato di cose esistenti; e anche questa è un’ottima notizia per chi pensa che solo in questa prospettiva ci possa essere un’uscita strategica e strutturale dalla spirale negativa che sta distruggendo l’ambiente in cui viviamo, le forze produttive e il novantanove per cento della società.
Le idee politiche che hanno vinto e le forze che in questo momento le rappresentano sono tuttavia molto distanti tra di loro e sono molto bene rappresentate dalla cartina d’Italia che circola sui giornali.
L’exploit della Lega sovranista e che tresca con il razzismo dà risposta alle paure di una parte d’Italia che ritiene di avere ancora qualche cosa da difendere e che quel qualche cosa sia minacciato dalle aperture al mondo. Non è questa la sede per fare un’analisi dei corpi sociali che incarnano questa posizione, ma è un’analisi molto facile.
Questa parte d’Italia non è attualmente convertibile a posizioni di sinistra anche perché la Lega è un partito strutturato che ha una ormai lunga tradizione e che esprime una visione abbastanza compiuta di società difficile da sradicare nel breve periodo. Si tratta di una visione profondamente alternativa alle prospettive, sempre internazionaliste e egualitarie della sinistra.
L’exploit dei 5 stelle, che tra l’altro doppia la Lega in termini di voti, si propone in modo del tutto differente. Al di là del ridicolo slogan acchiappa voti (di destra) “né di destra, né di sinistra” , l’amalgama 5 stelle afferma di rappresentare quella parte di Italia che non tollera la corruzione, che ha a cuore l’interesse dei dieci milioni di poveri, che si oppone alla disoccupazione, che pretende sicurezza, che invoca partecipazione e democrazia. Si tratta tutti di valori di sinistra anche se il modo di declinarli è spesso rozzo e poco rassicurante.
A ciò va aggiunto che con l’ultimo travaso di voti dalla sinistra ai 5 stelle, questi sono ormai un raggruppamento fortemente connotato, o per lo meno contaminato, da questa nuova base sia sociale che ideale. Infine, il movimento 5 stelle incarna dei bisogni e non una nuova visione di società: se questo è il suo limite più forte, è anche l’aspetto che rende la nuova situazione più fertile di futuro perché è sulla visione di società che si costruiranno le opzioni di lungo periodo.
Se questa è più o meno la situazione, le forze che si richiamano alla sinistra e che ancora ne ricordano non solo i valori, ma anche la capacità di rappresentare gli interessi sociali della propria parte e, da quel punto di vista, dell’intera società, dovrebbero avere una sola strada davanti a sé.
Il dibattito in corso sull’apertura di un confronto in vista di un’alleanza con i 5 stelle è profondamente viziato dalle posizioni politiche che hanno portato all’attuale “disastro”. Tutta la stampa, chiamiamola così, democratico/borghese che ha in questi anni sostenuto il Pd renziano, insieme a Renzi stesso e alla sua fazione, si stanno dichiarando fortemente contrari a questo tipo di apertura. Oltre a motivi secondari, che pure fanno presa sul popolo Pd (cinque anni di offese, lo streaming con Bersani, le goffaggini e l’arroganza di Raggi e compagnia) e oltre al richiamo all’orgoglio di partito che impedirebbe di sostenere un governo grillino in posizione subalterna, il motivo principale e più serio è che la rinascita della sinistra (intesa come Pd) passerebbe da una fase di opposizione e di ricostruzione paziente dei propri rapporti con la società italiana.
La prospettiva è quella di impedire la formazione di un governo, di fare un governo del presidente con il compito di predisporre una nuova legge elettorale maggioritaria con premio di maggioranza e andare a nuove elezioni. Risultato prevedibile fra alcuni mesi: movimento 5 stelle quaranta per cento, Lega trenta per cento, sinistra scomparsa.
In realtà il vero motivo che spinge l’attuale gruppo dirigente del Pd e la stampa di sostegno a rifiutare preventivamente ogni accordo con i 5 stelle è la paura che questo accordo obblighi ad un cambiamento strutturale di linea politica. L’incompatibilità dei 5 stelle e del partito di Renzi deriva da una inconciliabilità di prospettiva di classe (Parioli versus Garbatella?). Solo un cambiamento radicale della linea seguita dal Pd fino ad oggi (e dunque dei suoi ceti di riferimento) consentirebbe questo incontro. Ed è esattamente questo che la sinistra dovrebbe augurarsi.
La vittoria dei 5 stelle apre delle prospettive enormi a una sinistra che sappia tornare ad esprimere, non solo delle esigenze per l’immediato, ma una visione di società.
Per questo un accordo di governo con una sinistra la cui parte maggioritaria non fosse più a guida renziana costituisce lo sbocco più gravido di prospettive positive per la sinistra, e dovrebbe essere la sinistra stessa a richiedere questo confronto e incontro.
Una sinistra capace di fare politica e di vedere lungo dovrebbe assumere l’iniziativa politica e porre lei stessa le condizioni di un accordo al movimento 5 stelle.
Condizioni non arroganti di richiesta alla rinuncia di una identità e delle promesse elettorali fatte, ma che rendano identificabile, autonoma e finalizzata la presenza di sinistra all’interno della nuova coalizione governativa. E che obblighi i 5 stelle a iniziare a darsi una connotazione: che non può che essere di destra o di sinistra.
Naturalmente per fare tutto ciò occorrono alcune condizioni.
1 La prima è senza dubbio l’abbandono netto da parte del Pd della politica, ma soprattutto della cultura, renziana. Cosa assai difficile al punto in cui è giunta la mutazione genetica (oltre che la composizione dell’organico) di quel partito, ma non impossibile visto che si tratta pur sempre di un partito che intende richiamarsi a valori di sinistra e, forse, una buona parte dei suoi componenti ha finalmente imparato la lezione dopo anni di sconfitte e di smottamento della sua base sociale.
2 La seconda è che LeU e le formazioni di sinistra non rappresentate, smettano di accontentarsi di dichiarazioni condivisibili, ma rimanendo pur sempre una costola riottosa del corpo principale, abbandonino la sindrome della ricerca delle cause individuali della sconfitta, lavorino per strategie, progetti e programmi, che finora non si sono visti, e comincino a porre il problema di una riaggregazione della sinistra.
3 La terza che questa grande crisi induca ad una grande riflessione politico/culturale della parte più avanzata della nostra società, volta a riconquistare quell’egemonia culturale da tempo perduta in favore del mainstream ideologico che domina da decenni e ha devastato la società italiana.
Tutto questo nel tempo breve che ci sta davanti prima di decisioni gravide di conseguenze?
Le grandi svolte avvengono sempre con grande velocità, nel fuoco della storia.

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