La Russia che domenica 18 marzo s’appresta a sanzionare il quarto mandato di Vladimir Putin alla presidenza presenta un quadro che riflette sicurezza e stabilità. Da una parte i successi in politica estera. Dall’altra l’aumento del prezzo del petrolio a settanta dollari al barile sta stimolando una ripresa economica che le sanzioni economiche di fatto non ostacolono.
La crisi però non è finita: nel 2017 il reddito reale della popolazione è sceso dell’1,7 per cento, afferma l’ufficio statistico statale, Rosstat. Altrettanto problematici sono i risultati di un’indagine condotta durante tutto il 2017 dal gruppo per le prognosi sociale ed economiche, Insap Rankh&GS.
Secondo il centro, il quaranta per cento della popolazione è ancora colpita dalla crisi e teme di non aver le risorse per farvi fronte. Il responsabile della ricerca, Dimitrij Loginov, sottolinea che, se la situazione economica non migliorerà, la povertà crescerà in Russia. In questo caso a esserne colpiti saranno gli anziani, i residenti nei villaggi e piccole città, le persone a bassa scolarizzazione, i lavoratori poco qualificati attualmente impiegati nel commercio e nei settori pubblici oltre, naturalmente, i senza lavoro. La metà delle persone occupate in queste categorie hanno visto peggioramenti del livello di vita e solo un decimo di loro ha registrato dei miglioramenti.
Come ovunque ormai in Europa, la campagna elettorale russa è stata noiosa e ripetitiva battendo su un solo argomento: il mantenimento di Putin al potere è sintomo di continuità e stabilità. I media più legati al sistema hanno insistito soprattutto sulla crisi europea. Basta guardare all’Europa dove l’immigrazione islamista diffonde il terrore, l’UE, incapace di agire, è in crisi profonda, per essere contenti di vivere nella sicura ed equilibrata Russia di Putin. L’altro lato di questa medaglia sono i diciott’anni di potere del presidente uscente. Al punto che ormai è sempre più difficile associare il nome di Putin a politiche di svolta o cambiamento.
L’impasse di fronte alle élite federali è stato rivelato da un sondaggio condotto dal centro di ricerca Vizom, istituto non sospettato di atteggiamento critico verso il sistema attuale. L’inchiesta condotta in città con popolazione superiore al milione, dove vive un quarto del corpo elettorale, riguardava il rating di approvazione di Vladimir Putin. Pubblicata ai primi di marzo la ricerca ha dato risultati sorprendenti.
A Mosca e San Pietroburgo, il capo dello stato in carica in un mese ha perso dodici punti di popolarità, passando dal 69,7 per cento del 10 gennaio al 57,1 per cento del 18 febbraio. All’inizio dell’anno un trend simile era stato registrato in altre città piccole e medie della Federazione, dove il rating presidenziale è sceso di altri due punti. Stesso l’umore nelle città con popolazione compresa tra le centomila e cinquecentomila persone. Solo nei villaggi e nelle metropoli dove il numero di abitanti oscilla tra più di cinquecentomila e meno di un milione il livello di approvazione di Putin si è mantenuto stabile.
Chi sarà il vincitore delle elezioni presidenziali è noto da tempo. Ciò nonostante lo scrutinio rappresenta un test strategico per le differenti anime del “sistema Putin”. A questo scopo può essere utile approfondire alcune anomalie avvenute durante la campagna elettore. Soprattutto quella riguardante il messaggio sullo stato della nazione che ogni anno il presidente rivolge all’intera Assemblea federale. A differenza di quanto successo in precedenza, quando la manifestazione si svolgeva a novembre, quest’anno la sua presentazione è avvenuta quattro mesi dopo, in un luogo diverso dal parlamento russo, diventando parte integrante della campagna elettorale.
Inizialmente previsto per lo scorso novembre il discorso presidenziale è stato prima rinviato prima all’8 febbraio, poi spostato al 27 dello stesso mese, per svolgersi infine il primo marzo. Altrettanto sorprendente è stato il luogo dove la manifestazione si è svolta: non al Cremlino come era sempre avvenuto ma nella piazza del Maneggio, uno dei luoghi più spaziosi del centro di Mosca.
Qui l’intervento di Putin, invece dei classici quaranta minuti, è durato circa due ore. La relazione divisa in due parti, anche questa una novità, ha affrontato prima questioni di politica interna, sociale ed economica, poi gli avvenimenti internazionali. La prima fase dell’intervento, un discorso compassato e tradizionale, era rivolto alle due camere del parlamento. La seconda, dedicata alla posizione della Russia nel mondo, è stata invece quella più innovativa e spettacolare.
Davanti a uno grande schermo su cui scorrevano immagini ed elaborati in PowerPoint, il presidente ha annunciato l’operatività di un nuovo sistema di “armi stupefacenti” capace di violare lo scudo anti missili Usa. La spettacolarità puntava certo a soddisfare l’orgoglio nazionale con la presentazione delle rinnovate capacità militari del paese. Ma il vero bersaglio delle parole di Putin era la platea internazionale, in particolare la dirigenza statunitense: Mosca vuole essere riconosciuta superpotenza nucleare alla pari di Washington.
La sorpresa di chi in vari modi ha assistito all’intervento presidenziale è stata grande anche perché nulla di tutto ciò era trapelato in precedenza sui media russi. Si può dunque pensare che questa seconda parte del discorso di Putin sia stata oggetto di dibattito interno alla dirigenza russa. E che la discussione abbia riguardato l’opportunità o meno di inviare al mondo un messaggio con cui si esaltavano riarmo e potenza bellica del paese. Stallo che potrebbe spiegare i ripetuti rinvii dell’intervento. La battaglia alla fine ha visto la sconfitta di tutti coloro, persone e istituzioni, che preferivano mantenere il baricentro dell’intervento di Putin sulle questioni economiche.
Si può perciò affermare che, rispetto agli scorsi anni, i fautori della forza militare come base dello sviluppo economico e della sicurezza russa abbiano ormai definitivamente prevalso? Quanto avvenuto a Londra col caso Skripal può essere letto in questa chiave? Dopotutto è stato il direttore della radio Echo di Mosca, Alexej Venikdtov a sostenere, il 10 marzo, che la storia della famiglia Skripal è una “storia di tradimenti”. Lo stesso giornalista, affermando di voler “separare i fatti dall’analisi”, ha poi rivolto al proprio pubblico la domanda retorica, “c’è qualcosa che contraddice che questa sia una vendetta dei servizi speciali russi, dello stato russo?”
Il messaggio presidenziale è dunque molto interessante. Dopo un’introduzione generale in cui s’afferma che la Russia si trova a “punto di svolta”, in quanto ogni passo intrapreso deciderà “il destino del paese per decenni”, Putin ha sottolineato come il cammino futuro dovrà avvenire sulla base di un “amalgama di tradizione e valori” in modo da garantire la “continuità della vita millenaria” russa. La Russia è “una grande potenza anche se a livello sociale bisogna ancora fare dei passi avanti”. Parole su cui non vi è nulla da dire. Il sistema politico del paese è stabile e non si vede chi al momento potrebbe metterlo in discussione.
La rielezione di Putin è assicurata. Le proteste che quattro anni fa avevano invaso le strade delle maggiori città russe sono state spente. Gran parte della popolazione accetta questa realtà sia pure con qualche mugugno soprattutto tra i giovani. L’amministrazione è riuscita a bloccare le forze di opposizione e a reprimere le personalità che cercavano di organizzare il dissenso. Dopo le due ondate di crisi legate alla caduta dei prezzi del petrolio, 2008/2009 e 2014/2015, l’economia è sul punto di ripartire.
Nonostante che dal 2014 il reddito pro capite sia in sostanziale calo la situazione sociale è ritenuta ancora sopportabile da gran parte della popolazione. La durata media della vita, almeno nelle zone urbane del paese, è cresciuta dai 65 anni del 2000 fino ai 73 attuali. L’agricoltura ha retto bene al regime delle sanzioni sviluppando settori fino ad ora poco avviati.
Certo occorre, e Putin l’ha sottolineato, innalzare la produzione economica pro capite che vede la Russia al 55° posto dietro Romania, Kazakhstan e Croazia. Altrettanto le città soffrono di carenze abitative e le classe medie urbane non sono sostenute. Perciò vanno potenziate le infrastrutture federali e l’inquinamento va combattuto maggiormente. Allo stesso modo i settori dell’istruzione, cultura ed economia digitale devono essere maggiormente stimolati. Cosi come la capacità delle imprese di reggere la concorrenza internazionale.
Si tratta di affermazioni non molto lontane da quanto nel 2009 aveva sostenuto Medvedev. Problemi che allora presidente russo in un articolo “Avanti Russia”, pensava di risolvere modernizzando le “quattro I”, Istituzioni, Infrastrutture, Investimenti, Innovazione. Solo così poteva avvenire il salto istituzionale ed economico russo. Nove anni dopo quei falliti impulsi riformisti sono ripresi da Putin con l’aggiunta del ruolo di grande potenza nucleare strategica. Un pensiero preceduto dal rimpianto per la fine dell’Urss e la perdita della parità militare con gli Stati Uniti. Nostalgia condivisa da gran parte dell’élite federale.
Ora, a differenza di quanto si potrebbe credere, il declassamento di Mosca non coincide col crollo sovietico ma ha una data ben precisa, il 2002.
Quell’anno Washington denunciando il trattato anti missili balistici diretto a impedire la proliferazione delle armi nucleari offensive, ABM, aveva violato il principio dell’assicurazione della distruzione reciproca. La mutual assured destruction, MAD, cui posava l’equilibrio tra le due superpotenze . Gli Usa si dotavano di uno scudo nucleare in grado di bloccare la risposta di Mosca a un eventuale attacco americano. Ma era soprattutto dal punto di vista dello status, la subalternità agli Usa, che la nuova situazione era respinta da Mosca. Un’esperienza traumatica, un’umiliazione cui, almeno dal punto di vista propagandistico, lo scorso 4 marzo Putin ha messo fine. Precisamente il capo dello stato ha informato il mondo che le forze armate federali a breve avranno a disposizione un nuovo missile intercontinentale, Sarmazia il suo nome, un nuovo tipo di missile da crociera a trazione nucleare e di gittata maggiore, un drone subacqueo, anche questo a trazione nucleare e due nuovi sistemi missilistici a velocità ipersonica, Kinzhal (Pugnale) e Avangard.
Così verrà annullato il sistema americano e la Federazione potrà trattare con gli Usa a pari livelli e condizioni. Questo è però tutto quanto Putin ha detto sulle relazioni internazionali. Medio Oriente, Ucraina, sistema di sicurezza europeo, futuro dello spazio post sovietico, politica di controllo degli armamenti o di revisione dei controlli sui trattati esistenti. Su tutto ciò il presidente non si è espresso. La dirigenza russa è incapace, o non vuole, presentare soluzioni ai problemi esistenti? A venticinque anni dal crollo sovietico la politica estera di Mosca è ancora prigioniera di quella perdita? E come questo si rifletterà sulla politica interna, economica e sociale della Russia?

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