“In gioco la sovranità del mio Libano”. Parla Walid Joumblatt

Le imminenti elezioni nel paese dei cedri sotto la minaccia di un coinvolgimento nella guerra siriana. Un'intervista con il leader del Partito socialista progressista libanese e capo indiscusso della comunità drusa
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Nel 2000 vincemmo le elezioni tra le più difficili nella storia del mio Paese, con la presenza siriana in Libano. Oggi, lo scenario è per certi versi ancor più insidioso, con il regime di Bashar al Assad rilegittimato per interposte persone. Ecco perché le prossime elezioni legislative hanno come posta in gioco la sovranità nazionale del Libano.

A sostenerlo è una delle figure storiche della politica libanese: Walid Joumblatt, 69 anni, leader del Partito socialista progressista libanese e capo indiscusso della comunità drusa.

Le elezioni parlamentari in Libano, in programma a maggio, e l’imminente inizio della campagna elettorale avvengono in uno scenario segnato dalla guerra in Siria, entrata nel suo ottavo anno. Una guerra che ha pesanti ricadute per il Paese dei Cedri.
È così. In Europa vi sono politici che parlano di “invasione” di rifugiati, ma allora cosa dovrebbe gridare il Libano, un Paese di cinque milioni di abitanti si sta facendo carico, da anni, di quasi 1,4 milioni di profughi provenienti dalla Siria. Sono orgoglioso di questa solidarietà ma quella che viviamo è una situazione potenzialmente esplosiva, alla quale si aggiunge il rischio che il Libano divenga di nuovo un campo di battaglia…

A cosa e a chi si riferisce?
Penso a Israele che vuole chiudere i conti con Hezbollah, e anche ad altri attori regionali che pensano di poter estendere anche al Libano lo scenario siriano…

Quale sarebbe questo scenario?
La spartizione del Paese, del suo territorio nazionale, con la creazione di aree etnicamente omogenee governate per procura, mantenendo magari in vita un regime-fantoccio.

La guerra in Siria è entrata nel suo ottavo anno. Chi ha perso e chi ha vinto?
Ha perso il popolo siriano, ridotto a una moltitudine di sfollati, più di dieci milioni, sottoposto a una violenza senza fine. E di questo la comunità internazionale porta una responsabilità incancellabile. Ad aver vinto, in uno Stato che non esiste più e in un Paese ridotto ad un cumulo di macerie, sono quelli che hanno scelto di intervenire: i russi, gli iraniani e i loro alleati Hezbollah. Ma questa vittoria è effimera, perché nessuna delle cause, interne e regionali, che sono state alla base della guerra sono state risolte. Pasdaran e lealisti potranno riconquistare territori ma la guerra non finirà. Senza una soluzione politica, quella siriana sarà una guerra infinita.

Esiste il rischio che possa estendersi anche al Libano?
I segnali ci sono tutti e l’unico modo per contrastare questa prospettiva è uscire fuori dalla Siria per evitare che altri entrino in Libano.

Lei si batte per la piena sovranità del Libano ma, anche recentemente, ha affermato di considerare la Siria un Paese amico. Non è una contraddizione?
Niente affatto. Perché il popolo siriano è un popolo amico, che merita di poter vivere in pace e in libertà. Altra cosa è il regime al potere che è parte attiva della tragedia in atto.

Con l’ambasciatore cinese in Libano Wang Kejian

È ancora convinto che il disegno dei russi sia quello di dividere in tre la Siria?
Certo che sì. Il disegno dei russi è questo e nel portarlo avanti il presidente Putin sa di poter avere il sostegno dell’America. In questo, Putin e Trump sono sulla stessa lunghezza d’onda. Troveranno il modo di indorare la pillola, magari parlando di uno Stato federale, ma la realtà è ben altra, e si chiama spartizione.

Vorrei restare sulla Siria e sulla distinzione da Lei fatta tra popolo e regime. Come giudica Bashar al-Assad e quale opinione ha sul suo futuro politico?
Bashar al Assad ha preso in ostaggio il popolo e oggi continua a governare grazie al sostegno dei suo alleati esterni. Ed è grazie a questo sostegno che ha riconquistato terreno e che è ancora al potere. Oggi assistiamo ad un genocidio nella Ghouta orientale, e a compierlo sono le forze fedeli ad Assad. È lui ad averlo ordinato, è lui il mandante. E questo genocidio si consuma nell’indifferenza della comunità internazionale. Una vergogna nella vergogna. Ma che potere è quello che si regge sulla forza peraltro garantita dall’esterno? Quanto al suo futuro, esso sarà deciso a Mosca, a Teheran, ovunque ma non certo a Damasco.

Nelle elezioni parlamentari di maggio, il suo partito sarà alleato di Mustaqbal (Futuro), la forza politica guidata dal primo ministro Saad Hariri. Cosa c’è alla base di questa alleanza?
Una comune visione sul futuro del Libano, la volontà di difenderne l’indipendenza e la sovranità nazionale. È un’alleanza aperta, plurale, come è il Libano per il quale continuo a battermi.

Lei parla di indipendenza, di coesione nazionale, ma come capo indiscusso dei drusi cosa significa in rapporto ad Hezbollah?
Sopravvivere significa avere buoni rapporti con tutte le componenti del paese, e dunque anche e per certi versi soprattutto con Hezbollah. Questo è il modo più sicuro per i drusi di sopravvivere e mantenere ciò che hanno ancora politicamente e demograficamente.

Con il socialdemocratico Thomas Oppermann, vice presidente del Bundestag

Lei ha parlato di quello siriano come un popolo amico. E per quanto riguarda Israele?
Non si può considerare amico, un Paese che opprime un altro popolo, quello palestinese, occupandone i territori, mortificandone i diritti. Israele si vanta di essere l’unica democrazia in Medio Oriente, ma che democrazia è quella che risolve ogni contenzioso con l’uso della forza, che fa spregio della legalità internazionale, che a Gaza si è macchiata di crimini di guerra che avrebbero dovuto portare i responsabili sul banco degli imputati alla Corte penale de l’Aja. No, un Paese che si comporta in questo modo può essere definito in un unico modo: “nemico”.

Con l’assistente segretario di stato Usa David M. Satterfield

Restando al conflitto israelo-palestinese, quale suggerimento si sentirebbe di dare, sulla base della sua esperienza e dal suo osservatorio, alla dirigenza palestinese?
Un suggerimento? Lavorare per l’unità nel proprio campo, perché le divisioni rafforzano il nemico. E questa unità è oggi più necessaria che mai, perché in Israele al governo ci sono dei falchi che conoscono solo la pratica della forza, e alla Casa Bianca c’è un presidente che ha sfidato non solo i palestinesi ma tutto il mondo arabo e musulmano con la storia dell’ambasciata a Gerusalemme. Si è trattato di un atto di arroganza senza pari che disconosce la storia di Gerusalemme, ciò che significa per musulmani e cristiani. Il signor Trump ha voluto riscrivere la Storia, ipotecando il futuro.

Un attore cruciale sullo scenario mediorientale è indubbiamente l’Arabia Saudita. Alla guida del Regno è stato designato il giovane principe Mohammed bin Salman…
Le sfide sono enormi e la modernizzazione del Regno è una necessità islamica e araba, ma questa missione non può avere successo mentre la guerra nello Yemen continua. E per porvi fine è necessario che Arabia Saudita e Iran tornino a dialogare. Ciò vale per la guerra in Yemen ma anche per la Siria.

Taymour Joumblatt

Per ultimo vorrei tornare alle elezioni di maggio. Una delle novità la riguarda direttamente. Lei ha deciso di cedere il posto in Parlamento a suo figlio maggiore, Taymour.
È giusto così. Il futuro è dei giovani ed è compito di chi ha trascorso una vita a combattere per i propri ideali e per il bene della propria comunità e del proprio paese, saper fare un passo di lato. Taymour deve mettersi alla prova e mostrare di cosa sia capace. Ho molta fiducia in lui. Ma non andrò in pensione. Chi lo spera, commette un grave errore.

“In gioco la sovranità del mio Libano”. Parla Walid Joumblatt ultima modifica: 2018-03-24T14:33:33+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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