Matteo Salvini e Lugi Di Maio si sono confermati ottimi giocatori al tavolo verde della politica. Sono loro i vincitori del primo round post elettorale. Il primo ha imposto a Berlusconi il ritiro della candidatura di Paolo Romani alla presidenza del Senato in nome del buon rapporto con i 5 Stelle, il secondo – dopo una manovra diversiva – è tornato con successo alla prima scelta di Roberto Fico.
Ottimo il discorso del neo presidente della Camera, che ha citato la Resistenza, le Fosse ardeatine e ha parlato di centralità del parlamento e della necessità di soddisfare innanzitutto i bisogni dei cittadini per ridare credibilità alla politica. Buono il discorso di Elisabetta Alberti Casellati, rispettoso delle istituzioni e delle opposizioni.
Adempiuta la formalità delle presidenze delle assemblee elettive, ora l’interrogativo si sposta sulla qualità e la durata dell’intesa Salvini-Di Maio. I due vincitori del primo round post voto daranno vita a un governo insieme? Berlusconi tollererà altri sgarbi da parte del leader leghista? Si preparano scenari inediti, mentre il Quirinale vuole avviare le consultazioni già prima di Pasqua? Si possono scartare elezioni anticipate?
Un patto duraturo Lega-5 Stelle-Forza Italia resta ipotesi difficile. Quello che può accadere è un prosieguo del feeling leghisti-grillini sul modo di procedere per fare tabula rasa dei residui di altre fasi politiche e della cosiddetta Seconda Repubblica. Per esempio: niente veti di vecchi leader e partiti, niente arabeschi di antiche formule per procedere a passi felpati al vero inizio della legislatura, legittimazione piena nel gestire le prossime settimane delle due forze vincitrici delle elezioni a cui spettano le maggiori decisioni, tempi rapidi nelle decisioni che riguardano le regole istituzionali.
Quindi, altro esempio, accordo sui criteri di nomina del nuovo Cda della Rai e del nuovo Consiglio della magistratura, oltre che dei vertici delle commissioni parlamentari che spettano al Pd e a Liberi e uguali come forze di opposizione (quella sui servizi segreti innanzitutto).
Quanto al governo, o la coabitazione Salvini-Di Maio accetta – ipotesi anch’essa molto difficile – due vicepresidenze a Palazzo Chigi (le loro) lasciando la poltrona principale a un “presidente del presidente” indicato da Mattarella (impossibile allo stato attuale ipotizzarne l’identikit) o l’accordo può essere di breve durata per concordare un ritorno alle urne (come fu fatto in Spagna), abbinando la nuova scadenza alle elezioni europee del 2019.
In tale eventualità, il taccuino di un’intesa di un anno è già pronto: nuova legge elettorale con premio di maggioranza, reddito di cittadinanza da ricalibrare rispetto alle velleità pentastellari, riduzione della tasse (un po’ di flat tax), respingimento inflessibile dei migranti, ricontrattazione di qualche clausola con l’Unione europea.
Alla fine di questo percorso, l’obiettivo comune di leghisti e grillini potrebbe essere un nuovo bipolarismo imperniato su loro stessi con Berlusconi e Pd che fanno da contorno. Feeling Salvini-Di Maio fino allo spareggio è perciò eventualità plausibile.
E l’opposizione, che per ora non tocca palla? Si vocifera che Renzi fermo nella decisione dell’opposizione sia tentato di “superare” il Pd dando vita a una nuova forza alla Macron che possa intercettare l’eclissi definitiva del berlusconismo e il suo elettorato moderato (il piano è stato illustrato dal sottosegretario Sandro Gozi a il Foglio del 22 marzo).
Ciò presupporrebbe un’ennesima scomposizione di ciò che resta del Pd, dove una parte vorrebbe inseguire i grillini pure al governo, un’altra ha nostalgia di ricomposizione unitaria con Bersani & company e un’altra ancora invoca un nuovo segretario (Zingaretti o Richetti?). Confusione analoga in Liberi e uguali tra risucchi filogrillini e tentazioni di ritorno nella casa madre senza Renzi. L’elaborazione del lutto a sinistra sarà lunga.

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