Paolo Natale. “I 5S? Devono innanzitutto negoziare con se stessi”

Secondo l’autore di “Politica a 5 stelle” i grillini “passando dall’opposizione al governo, dovranno costruire un’ipotesi di società a cui dovrebbero fare riferimento”. “Significa anche chiarire punti-chiave su cui quali finora sono stati un po’ ondivaghi”.
MATTEO ANGELI
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Alla vigilia delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, il Movimento cinque stelle si trova in pole position, forte di un risultato elettorale che lo ha consacrato primo partito italiano. Ma ciò non vuole necessariamente dire che i pentastellati la spunteranno nella gara per la formazione del nuovo esecutivo.

L’assenza di una maggioranza netta obbliga i contendenti a navigare a vista. Qual è la posta in gioco per i cinque stelle? Come l’ormai ex partito del vaffa potrà trovare un’identità più consona al ruolo istituzionale che ormai ricopre? Ne abbiamo discusso con Paolo Natale, professore associato presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Milano, dove insegna Metodologia della ricerca, Analisi dei sondaggi e Tecniche della ricerca sociale, e coautore del libro “Politica a 5 stelle. Idee, storia e strategie del movimento di Grillo”.

Paolo Natale

Professor Natale, il patto tra M5S e centrodestra per le presidenze di Camera e Senato indica che ora i cinque stelle sono pronti ad allearsi con altri soggetti politici?
I presidenti di Camera e Senato sono due figure di garanzia: l’accordo tra cinque stelle e centrodestra è stato chiaramente finalizzato alla nomina di queste due figure istituzionali. Non mi sembra si sia trattato di un’apertura di credito, con l’idea di stipulare successivamente un’alleanza legata al governo del paese, ma soltanto di una mossa corretta dal punto di vista istituzionale, finalizzata a garantire il normale funzionamento del parlamento.

Il dialogo della scorsa settimana tra Di Maio e Salvini è quindi solo di facciata?
Questo è un altro discorso. Adesso si entra nella battaglia per la formazione del governo. Tutti si rendono conto che non è uscita una chiara maggioranza dalle urne e dovranno in qualche modo intendersi per capire se c’è o meno la possibilità di governare.
La situazione dei cinque stelle somiglia a quella del Pd nel 2013. Dicono di essere disposti a fare alleanze con chiunque sulla base delle loro proposte, proprio come fece Pierluigi Bersani.

Crede che sulle proposte sia possibile una convergenza tra cinque stelle e Lega?
Mi sembra molto difficile. Per formare un governo serve una maggioranza dotata di un programma comune. L’idea che si voti di volta in volta a favore o contro una proposta di legge non mi pare possa essere molto praticabile. Un governo si forma attraverso la fiducia delle due camere, che devono votare una maggioranza dotata di un programma articolato e unitario e, da questo punto di vista, le convergenze politiche o programmatiche tra Lega e cinque stelle sono poche. Ci sono magari alcuni temi sui quali la vedono allo stesso modo, come la riforma della legge Fornero, ma, ripeto, non si può formare una maggioranza di governo solo sulla base di ipotesi future di proposte di legge.

Vede una maggiore convergenza tra Pd e cinque stelle?
Rimane sempre il punto di fondo che ho sottolineato poco fa: per governare bisogna presentare un programma di governo. Un programma di governo che punti solo su alcune proposte di legge mi sembra abbastanza difficile da sostenere, a meno che non si stringa un accordo per la formazione di un governo pro tempore, una specie di “governo di scopo”. In quel caso, si fanno una o più riforme, come quella sulla legge elettorale o quella sulle pensioni, e poi si torna a votare.
In ogni caso, una parte significativa dell’elettorato Pd e di quello dei cinque stelle non vedrebbe di buon occhio un’alleanza tra questi due soggetti politici. Anche perché la natura dei cinque stelle è stata sempre improntata sulla corsa politica solitaria.

Quindi pensa che i cinque stelle continueranno a stare soli?
Direi di sì, anche se si possono formulare due ipotesi alternative.
La prima: si va di nuovo a votare. Immagino che, al di là delle dichiarazioni, questo sia il percorso preferito dai cinque stelle. È ovvio che se si torna a votare a breve, diciamo entro un anno, il boom che hanno avuto il 4 marzo sarà ancora maggiore: è il cosiddetto effetto bandwagon (ovvero la considerazione secondo cui le persone spesso compiono alcuni atti solo perché la maggioranza della gente fa quelle stesse cose, ndr), che dopo il successo delle ultime elezioni spingerà l’elettorato a incrementare le scelte a favore dei cinque stelle, oltreché di Salvini. In questo senso, suppongo che con una legge elettorale un po’ diversa, dotata di un impianto più partitico e meno coalizionale, e con la restaurazione di una sorta di premio di maggioranza, il M5S potrebbe avvicinarsi alla maggioranza assoluta, e quindi a un governo solitario del paese.

E la seconda ipotesi?
I cinque stelle si misurano con la prova del governo. In questo caso avrebbero bisogno di un appoggio da qualche parte. I rischi per loro sarebbero decisamente più alti. Pubblicamente non possono dire di non voler governare. Non potendo contare su una maggioranza pura, potrebbero trovarsi in una situazione simile a quella del Pd nella passata legislatura, che era sì la forza maggiore di governo, ma non aveva le mani libere su tutto e che per far passare alcune leggi, per le quali non disponeva di una maggioranza parlamentare autonoma, ha dovuto allearsi prima con Berlusconi e poi con Alfano, con l’appoggio talvolta dello stesso Verdini.

C’è chi dice che il M5S voglia riposizionarsi verso il centro, sul modello di En Marche, del presidente francese Emmanuel Macron. Cosa ne pensa?
Questo è il periodo più difficile per i cinque stelle. Devono trasformarsi da partito di protesta a partito di governo. È ovvio che per fare ciò devono avere anche una linea specifica rispetto a tutto ciò che riguarda il rapporto con l’Unione europea. In tal senso, poiché sanno benissimo che paventare oggi un’uscita dalla Ue o dall’euro sarebbe tutt’altro che una passeggiata, devono condurre un dialogo con le forze più europeiste.
Oltretutto, i cinque stelle non hanno un vero e proprio programma, ma propongono una sorta di “sommatoria” di issues, ovvero di questioni singole che devono essere risolte, ma senza una visione del mondo specifica, come hanno al contrario i partiti più tradizionali, come il Pd o la Lega.

Se andranno al governo sarà difficile mantenere questa posizione…
Passando dall’opposizione al governo dovranno costruire un’ipotesi di società a cui dovrebbero fare riferimento. Questo significa anche chiarire alcune posizioni sulle quali finora sono stati un po’ ondivaghi, come il rapporto con il fenomeno della migrazione, il rapporto con l’Europa, quello con l’euro, i ruoli di stato e mercato, ovvero tutti quegli elementi che caratterizzano una specifica azione di governo.

L’essere anti-austerità non è un ostacolo insormontabile per dialogare con Macron e gli altri europeisti?
Questo è uno dei temi rilevanti sui quali devono fare chiarezza. Come ho detto, è mancata finora una visione complessiva di quello a cui vorrebbero che la società tendesse. C’è stata in passato una tentazione, un’idea di pauperismo, di rifiuto del denaro, ma queste sono cose politicamente complicate da mettere in pratica. Lo stesso reddito di cittadinanza proposto in campagna elettorale è già di per sé complesso, se non quasi impossibile, da realizzare.
È certo che i cinque stelle dovranno cambiare la loro natura. Finché erano all’opposizione avevano buon gioco a puntare su questioni specifiche. Se diventeranno un partito di governo una linea dovranno darsela, e allora si tratterà di perseguire una politica chiara e coerente, su cui non sarà possibile consultare costantemente gli iscritti attraverso la piattaforma Rousseau, metodo che applicano oggi rispetto a tematiche specifiche. È probabile che verrà istituito una specie di nuovo direttorio, un “centro di elaborazione” di un programma un po’ più complesso di quello attuale.

Il M5S potrà puntare ancora sulla logica del “tutti a casa”?
Sta proprio qui il loro vero problema da risolvere. Le anime dei cinque stelle non sono tra loro del tutto conciliabili. Se sei al governo, è ovvio che facendo, ad esempio, una legge molto dura contro l’immigrazione, la parte di elettorato che arriva da sinistra sarà scontenta, e lo stesso accadrà per chi proviene invece da destra, se la legge sull’immigrazione sarà troppo morbida. Il fatto che il movimento affermi di non essere né di destra né di sinistra ha dei vantaggi, può attrarre voti provenienti da tutte le aree politiche, ma ha anche i suoi svantaggi. Questo perché la gente ha comunque delle sensibilità specifiche ed è possibile che alcune scelte politiche possano scontentare una parte dell’elettorato, producendo in alcuni casi anche una contrazione del consenso generale, com’è già successo in alcune delle città dove i cinque stelle sono al governo.

Paolo Natale. “I 5S? Devono innanzitutto negoziare con se stessi” ultima modifica: 2018-04-03T17:39:12+02:00 da MATTEO ANGELI
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