LA SOCIETA’ IDEALE
Due ragioni, entrambe generalissime, collocano i pensieri e i disegni leonardeschi (Codice Atlantico; Manoscritto B) al di fuori della storia della “città ideale” con la quale invece vengono confusi. Pesa l’indole della persona e contano le condizioni al contorno. In Leonardo da Vinci l’urgenza della sperimentazione scientifica ha sempre agio sulla pulsione estetica. Gli artisti del Quattrocento tendono a sublimare nell’arte problemi geometrici e matematici ((Brunelleschi, Paolo Uccello, Piero). Leonardo al contrario sperimenta tecniche a danno della pittura.
I suoi disegni di città, benchè redatti a Milano, non muovono da Sforzinda. Invece si dispiegano a partire dal 1486, dopo anni nei quali la peste ha sterminato quasi metà della popolazione cittadina. Leonardo non disegna piante stellari, riflesso di simmetrie geometriche e filosofiche, ma si esprime nelle forme tecniche della sezione, o meglio dello spaccato prospettico. Lo ispirano una generale istanza di razionalità funzionale, l’igiene, l’organizzazione della mobilità e dei servizi, le esigenze della vita civile. Del manufatto urbano gli interessa l’esplorazione delle viscere, non l’astrazione planimetrica né la vista a volo d’uccello. Le città ideali, dall’idea di Filarete alla concretezza di Palmanova, sono fioriture orizzontali di geometria euclidea. Quella leonardesca viceversa si definisce nella dimensione verticale. Più urbanistica che architettura, i suoi frammenti di citta sono decritti e appaiono organizzati su due livelli, ai quali corrispondono rispettivamente le sostruzioni e l’alzato dei palazzi. In quello inferiore corrono sia i canali destinati alle barche da trasporto merci e alla raccolta delle acque di rifiuto, che la rete delle strade carrabili e dei ponti. Quaggiù le basi degli edifici accolgono i magazzini, i locali delle attività di servizio, le officine e le botteghe.
Nel livello alto si dispiega il sistema dei palazzi di abitazione e degli edifici istituzionali, tutti connessi dalla rete aerea delle vie eleganti e di passeggio. L’ipotesi progettuale è verosimile. Leonardo disegna per realizzare. Le parole e i grafici sono destinati all’attenzione di Ludovico il Moro. E la dislocazione delle funzioni riflette con naturalezza la gerarchia della società signorile. Ai piani bassi lavora “il popolo”, cioè i servi, gli operai, gli artigiani. Di sopra vivono e si muovono “li gentili homini”, vale a dire gli aristocratici e i borghesi.
LA CITTA’ INVISIBILE
Nella storia delle idee le stratificazioni funzionali e sociali dei progetti leonardeschi non hanno avuto sviluppi per quattrocento anni. Non nei sogni barocchi e illuministi, nei quali gli insediamenti si distendono ampiamente nella dimensione orizzontale. E nemmeno nelle astrazioni sulla città industriale, basate sull’azzonamento delle funzioni, dislocate in piano. Riappaiono nel Novecento, esasperate negli slanci delle architetture futuriste ed espressioniste (Harvey Corbett, Antonio Sant’Elia, Ludwig Hilberseimer,) che hanno informato il fumetto di fantascienza e lo spazio del cinema di fantasocietà, da Metroplis a Blade Runner.
Tutta diversa è la vicenda dell’urbanistica reale. Che negli ultimi due secoli del secondo millennio ha generato metropoli sotto la spinta della rivoluzione industriale, dell’esplosione demografica e del mercato fondiario ed edilizio. Senza rapporto con i modelli ideali elaborati dopo la Rinascenza, le città sono dilagate nel contado colonizzando il territorio più nei modi di un’implacabile biologia che nelle forme finite dell’arte. E la piramide sociale, plasticamente verticale negli alzati leonardeschi, si è spalmata sul piano, in vasti cerchi concentrici. Al centro risiedono e operano “li gentili homini”, tutt’intorno “il popolo”, a riempire le sterminate periferie secondo distanze proporzionali al censo.
La vendetta della ragione è cosa recente. Si dispiega a cavallo del millennio. Dapprima con la stesura del vasto ordito della “rete”. Poi con la fitta tessitura dalle trame dei social network. È la più perfetta e complessa delle infrastrutture, progettata su base matematica e costruita in astratte geometrie con gli strumenti della fisica. Copre il mondo addensandosi sulle città. Dove, come nei disegni leonardeschi, da pochi anni la vita è disposta su due livelli. Ai quali tuttavia non corrisponde un’articolazione della società. L’esistenza biologica e psicologica degli abitanti, il lavoro e il loisir, la funzione economica e i rapporti sociali si intrecciano in modo complesso tra mondo reale e livello virtuale. “Li gentili homini” tendono a svolgere in rete l’attività produttiva e a vivere nel mondo materiale le relazioni e il tempo libero. Per costoro, che abitano il cuore delle metropoli, il luogo concreto di residenza è relativamente indifferente a quello astratto dell’economia.
Al contrario “il Popolo”, costretto dalla distanza casa-lavoro a lunghi, quotidiani e faticosi spostamenti nel livello basso della metropoli reale, in misura crescente impiega il tempo libero in una vita di relazione ampiamente dispiegata sul piano alto, quello astratto dei social network. Nella città stratificata di Leonardo i due livelli erano collegati da scale. Oggi l’ascensore sociale non esiste, perché i ceti svolgono le attività analoghe in universi paralleli. Tra i quali corre una incommensurabile distanza, simile a quella che nel Settecento separava un contadino francese dallo splendore superno di Versailles. Nella metropoli odierna “ il popolo” e “Li gentili homini “ non s’incontrano mai.
PARTITI E SOCIETA’
La dialettica politica italiana è rinata con la costituzione del 1948. Da allora i partiti hanno cambiato indole, struttura e intenti.
In principio c’erano i democristiani e i comunisti. Si confrontavano come campioni di modelli culturali e sociali contrapposti, riferiti alle due metà di un mondo diviso dalla Guerra Fredda. Con l’obbiettivo politico di cooptare i cittadini in un progetto esclusivo e totalizzante di società futura. I comizi, i giornali. la radio e la televisione erano i mezzi di persuasione. E poiché la proposta dei partiti era rivolta alla società intera, i loro avamposti popolavano tutta la città e tutta la campagna. I partiti erano vaste società geografiche di credenti volontari, impegnati su progetti di mondo sotto la conduzione di raffinate avanguardie intellettuali.
Il 1990 ha trasformato la politica dalla radice. Il trionfo del capitalismo finanziario, vincitore finale della guerra, e l’omologazione del mondo nel modello unico e totalizzante del mercato hanno inflitto una mutazione alla natura dei partiti europei. In Italia l’uomo di Arcore ha inventato la forma privatistica della politica: un contratto. Da allora ha contato il leader. Lui è stato il negoziatore. Ha chiesto il potere personale a tutela dei suoi affari in cambio degli interessi degli elettori disposti a stipulare. La televisione ha legittimato il proponente e i suoi bisogni. Uno strumento nuovo, i sondaggi, gli ha consentito di interpretare le richieste della controparte e metterle per iscritto. Senza credo, e tenuto assieme dalle cointeressenze degli adepti, il partito è diventato una società in accomandita semplice finalizzata alle necessità del socio accomandatario. Non si è allocato in città né in campagna. Le reti televisive sono state la sua esistenza e la sua casa. La proposta di accordo era diretta dallo schermo a chi ci stava. Per gli altri c’era il telecomando. Fino a ieri.
La terza evoluzione è recente. Arriva col web e le reti sociali. Matura nel nuovo millennio e declassa la televisione da spazio di un potere esclusivo a servizio dell’intero ceto politico. Il Grillo che la innesca parte da zero con un progetto moderno, articolato, lungimirante. Inizia con un blog personale. Da lì promuove con metodo e progressione l’uso del social network Meetup come luogo di formazione di gruppi di incontro e di lavoro in rete. Contestualmente, agli antipodi mediatici, svolge una clamorosa attività da tribuno della plebe nelle grandi piazze. Sa che queste sono complementari al web e producono ricadute nei telegiornali. Ma evita e proibisce interventi diretti nei salotti televisivi, livello intermedio che vede controllato da altri e sospetta avviato all’obsolescenza. Nel giro di pochi anni si si rafforza fino a cooptare un partner dotato di una società specializzata nell’elaborazione di strategie informatiche. Con quel supporto dapprima guida il movimento alla conquista di enti locali, poi lo colloca in Parlamento, infine lo conduce al primato elettorale nazionale. Il nuovo partito è modernissimo: una startup di disoccupati che si ritagliano lavoro nella politica a partire dall’invenzione e sotto la guida di un leader geniale.
LA CITTA’ INTERA
Oggi la città intera è divisa in tre parti: una l’abitano i grillini, la seconda i leghisti, la terza quelli che nel loro linguaggio si chiamano centrodestra e centrosinistra, nel nostro Forza Italia e Pd. I tre gruppi differiscono per indole, referenti e modi.
Al piano alto, nel livello virtuale, vivono quelli delle Cinque Stelle, separati da tutti. Lassù tessono, programmano, selezionano, arruolano. Fanno ogni cosa secondo le regole imperscrutabili del web. L’obbiettivo è la conquista di posti di lavoro in politica. E siccome le istituzioni sono in numero limitato, l’ideologia del movimento è semplice. Chiunque rappresenti una forza politica diversa, per ciò stesso è corrotto e deve essere espulso liberando il posto che detiene. Per la cacciata degli usurpatori i grillini chiedono aiuto a tutto campo. Invocano lo sdegno dei rancorosi e soprattutto la rassegnazione dei fatalisti, che pensano di non aver niente da perdere e niente da sognare. A costoro, in cambio del sostegno, promettono sussidi regolari in denaro.
I leghisti viceversa si dispiegano dabbasso, in mezzo al ”popolo”, nella desolata concretezza delle vaste periferie urbane. Qui sono presenti in forma diffusa, come i grandi partiti di una volta. Si rivolgono al sentire di destra, vale a dire a coloro che non vogliono essere uguali. Di questi sanno alleviare le frustrazioni e stimolare l’orgoglio. Non promettono elargizioni, ma difese. A un “popolo” che vuol sentirsi parte costitutiva del nord del mondo, la Lega si propone come baluardo armato contro i popoli che premono da sud: meridionali italiani avidi di redistribuzione fiscale, africani e asiatici in cerca di salvezza, lavoro e assistenza sanitaria. Il suo elettorato è il nemico geografico e culturale di quello che vota Cinque Stelle.
Infine c’è da dire dei centri: storico monumentali, direzionali, di servizio. Sono i luoghi del centrodestra e del centrosinistra. Di provenienza diversa ma ormai allocati insieme e in forme stabili nell’ambiente de “Li gentili homini”, Forza Italia e Pd (una joint venture percepita) si industriano per compiacerli in vario modo. Ad esempio con la tassa piatta, riduzione del carico fiscale retta da una filosofia della liberazione: l’uomo di Arcore, condannato per frode al fisco, legalizzando sé stesso libera tutti i ricchi. O per mezzo di importanti redistribuzioni dal basso all’alto, come la formazione delle “bad companies” industriali o finanziarie. Ovvero con progetti di impareggiabile eleganza, sociali in apparenza, in verità attinenti alla cultura. Come il rifacimento delle aree periferiche, la cui disgustosa bruttezza insidia il decoro di quelle centrali. Impresa di grande prospettiva, che nella vita delle città si sviluppa per selezione storico culturale. Di solito richiede secoli. Lunga vita a Renzo Piano!
Continua….

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