Ego convinco vos…

In libreria, per La Nave di Teseo, La settima funzione del linguaggio di Laurent Binet, che scherza coi fanti e non lascia stare i santi, in nome del Logos.
ROBERTO ELLERO
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Diciamolo. Si stenta parecchio a credergli e un po’ anche a stargli dietro. Ma al netto della verosimiglianza, che si prende tutte le licenze romanzesche del caso nel lavorare di fantasia su personaggi reali, baroccheggiando fra noir e spy-story, la costruzione narrativa regge. E certe scenette sono decisamente spassose, a cominciare dal divertimento di sfruculiare gli interni di un mondo insopportabilmente supponente, quello parigino degli strutturalisti in auge negli ultimi decenni del secolo scorso.

Parliamo del romanzo di Laurent Binet “La settima funzione del linguaggio” (“La septième fonction du langage”, 2015), che La Nave di Teseo manda ora in libreria (traduzione di Anna Maria Lorusso), con qualche ritardo sull’uscita francese.

Non poche le riserve suscitate in Francia a suo tempo, specie presso i diretti interessati.

E si capisce bene: basti pensare alle curiose coincidenze fra le trame imbastite nel romanzo da Julia Kristeva, moglie di Philippe Sollers, e i sospetti di spionaggio (servizi bulgari) da tempo circolanti sul conto della linguista e psicoanalista per l’appunto bulgara di nascita, in Francia dal 1964, apprezzata accademica, a capo, fra l’altro, del Centro Roland-Barthes, di cui è stata allieva.

Di oggi su la Repubblica, dopo un pesante attacco sul Nouvel Observateur, la sua accorata difesa: “Accuse false e tossiche”. E se dagli archivi dei servizi ex Kgb uscissero apposta faldoni falsi? Il cui prodest è a doppio senso di marcia, purtroppo.

Barthes, non a caso, il critico e semiologo de “Il grado zero della scrittura”, “Frammenti di un discorso amoroso”, “Miti d’oggi” e di tanti altri lavori che hanno fatto scuola, legatissimo alla madre, che perde nel 1978, dedicandole un altro classico, “La chambre claire”, a partire da una sua fotografia.

Il 25 febbraio 1980 Barthes viene investito dal furgoncino di una lavanderia nel pieno centro di Parigi, a due passi da casa, dopo aver pranzato con François Mitterrand, rivale del presidente in carica Valéry Giscard d’Estaing alle presidenziali dell’anno dopo. Un mese di agonia all’ospedale e il successivo 26 marzo il semiologo se ne va. Inopinatamente per i più, postumi dell’incidente, ma non tutti ci credono.
Non ci crede l’inquilino dell’Eliseo, che ha i suoi buoni motivi per ritenere che Barthes avesse con sé un importante documento, sottrattogli subito dopo l’incidente, che dunque tale non è. Indagini affidate ad un mastino fascistoide, Jacques Bayard, precedenti in Algeria, più che altro per recuperare il prezioso documento.

Solo che lui, il commissario, quel mondo lo conosce poco, con la semiologia non saprebbe proprio da che parte cominciare, ambiente di “froci” oltretutto. E siccome in letteratura non c’è Don Chisciotte senza Sancho Panza (o Sherlock Holmes senza Watson, fate voi), eccolo reclutare all’Università di Vincennes un prof alle prime armi, Simon Herzog, che sa il fatto suo, capace di andare avanti per ore sui segni di 007 (Bond, James Bond!), semiologo sinistrorso ma sveglio e capace di “profilare” chiunque in pochi istanti (per via dei segni, appunto), esattamente quel che ci vuole per aprire gli scrigni del “delitto” Barthes. E per la teoria, anch’essa molto letteraria, degli opposti che si attraggono, la coppia incredibilmente funziona.

Foucault, Derrida, Althusser, i citati Kristeva e Sollers, Baudrillard, Guattari, Deleuze, il vecchio Sartre e il giovane rampante Bernard-Henry Lévy, Todorov, fra un po’ il nostro Umberto Eco… Si fa prima a dire chi non c’è o non viene evocato.

E poco per volta, mentre qualche testimone scompare e strane figure fanno la loro puntuale comparsa nei momenti topici, salta fuori che alle sei funzioni del linguaggio codificate dal grande Roman Jakobson (russo naturalizzato statunitense, padre dello strutturalismo, morirà nel 1982, dunque “dopo” quel che va accadendo nel romanzo) forse occorre aggiungerne una settima, inedita e scottante.

Vediamo un po’ le sei codificate: referenziale (si utilizza la lingua per parlare e dunque per dire qualcosa, dare informazioni), emotiva (il modo in cui si parla, altra fonte informativa), conativa (possiamo dire vocativa, perché interpella l’altro), fatica (il parlare per parlare, o dei modi di dire convenuti), metalinguistica (emittente e ricevente sulla medesima lunghezza, presupposto di dialogo), poetica (il linguaggio come estetica).

Che cosa manca all’appello?

Persino Bayard, che non è un genio, si persuade che nel foglietto trafugato al povero Barthes potessero esserci indicazioni utili a identificare questa benedetta (o maledetta) settima funzione. Si persuade… Non è che l’inedito abbia a che fare proprio con la persuasione? Ecco dunque l’interesse dei politici, il pranzo con Mitterrand, le ricerche per conto di Giscard d’Estaing, i servizi di mezzo mondo mobilitati per un affare non certo soltanto culturale…

Gli intellettuali sono mobili, quelli accademici poi passano da un convegno all’altro, in giro per il mondo. Seguirli è un’impresa, ma i committenti di Bayard e Herzog non badano a spese. L’azione, diciamo l’indagine, si sposta perciò da Parigi a Bologna, dove insegna Umberto Eco, qualche brigatista ancora gambizza ed è bene tenersi alla larga dalla stazione (la strage è del 2 agosto 1980: capiamo l’economia del fantastico ma il riferimento, con quelle sue congetture, resta per noi un tantino indigesto).

Poi Ithaca, USA, dove una qualche università, in stile ancora hippy, ha messo su un convegno coi fiocchi sui temi cari ai nostri specialisti, in presenza degli americani, Noam Chomsky e lo stesso Jakobson in testa. La vacanza costerà cara a Derrida.

Roland Barthes

Da lì a Venezia, non poteva mancare, nei giorni in cui l’allora fioreggiante giunta di sinistra resuscita il Carnevale, secondo il rito Massenzio, con il povero Herzog sul podio dell’eloquio ma prossimo ad una gran brutta avventura in quel di Murano (non andrà meglio al presuntuoso Sollers). Si scopre che la passione “performativa” (termine postmoderno per intendere la persuasione) ha fatto nel frattempo proseliti illustri, riuniti intorno al Logos Club, sodalizio assai esclusivo e impegnativo, dove l’artifizio della parola ha da farsi ragionamento convicente, pena…

Tornando a Parigi, le retour à la normale è quasi d’obbligo, con il Sessantotto ormai lontano nel tempo. Eppure un tripudio di bandiere rosse è ancora possibile.

Dopo aver steso il rivale di destra sotto una valanga di improperi linguistici à la télé, nel nuovo joli mai del 1981 Mitterrand vince inaspettatamente le elezioni presidenziali. Il popolo della Gauche festeggia alla Bastiglia (e dove sennò?), intona l’Internazionale e i giovani si fanno volentieri le canne: le jour de gloire est retourné, per parafrasare una celebre strofa cara a Marianne. Jack Lang, radioso come il sole dell’avvenire, fra qualche giorno ministro della cultura, si lascia infine andare: ma sì, è andata proprio così.

Epilogo napoletano. All’ombra di un Vesuvio sempre irritabile, Simon – ormai assurto ai piani alti della Sûreté Nationale e del Logos Club – assapora la sua vendetta, laddove potrà dimostrare che, al di là di certi sproloqui linguistici e di astruse elucubrazioni su significati e significanti, non tutta la semiologia è da buttare, mentre il vecchio buon antifascismo è ancora un valore appagante, diciamo pure un ottimo salvavita.

Perché?

Abbiate la compiacenza di leggervi il libro, se proprio lo volete sapere.

Ego convinco vos… ultima modifica: 2018-04-10T21:10:15+02:00 da ROBERTO ELLERO
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