Morti bianche. Perché il dramma riesplode

L’aumento spaventoso degli incidenti e delle morti sul lavoro impone di cercare di capire che cosa è successo e per quali cause. Una sinistra che vuole affrontare le trasformazioni di questi anni non può non ripartire dalla difesa della vita e della dignità di tutti i lavoratori.
PAOLO NEROZZI
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L’aumento spaventoso degli incidenti e delle morti sul lavoro avvenuto nei primi mesi di quest’anno ci grida la necessità e il dovere di cercare di capire che cosa è successo e per quali cause.
Dal 2006 in poi, dopo l’approvazione del testo unico presentato dal ministro Damiano e, in particolare, nell’arco di tempo 2008-2013, si era manifestata una sensibile riduzione delle morti sul lavoro. Il dato, si diceva allora, non doveva e non poteva bastare: occorreva fare di più, sempre di più, proseguire sulla strada intrapresa e rimuovere tutti gli ostacoli ancora presenti.

Si era creata, in quegli anni, una sensibilità forte e “trasversale” sul problema: l’iniziativa avviata al senato negli anni Novanta da Luciano Lama portò alla costituzione della Commissione di inchiesta sulle morti sul lavoro, diretta dal senatore Tofani e dal senatore Pizzinato. La commissione fu in grado di produrre azioni positive concrete, di individuare alcune cause strutturali, di fare entrare nel dibattito politico l’urgenza di proseguire con sempre più efficacia su queste basi. L’esempio più significativo è stato l’iniziativa del presidente Napolitano.

Dal 2013, nonostante il risultato elettorale favorevole al centrosinistra, questo tema entra in una zona d’ombra da cui lo stanno facendo uscire tragicamente i dati e le notizie di questi mesi. I punti di criticità individuati dalla Commissione fino al 2013 erano di grande attualità rispetto al dibattito di oggi su crisi-ripresa economica-occupazione.

Vale, quindi, la pena riprenderne almeno alcuni.

Il primo era la mancanza di un vero coordinamento degli interventi sulla sicurezza nel loro insieme – preventivi, ispettivi e sanzionatori – e, di conseguenza, la necessità di superare la loro eccessiva frammentazione tra Regioni, Asl, ministero del lavoro, ministero della sanità. Inail e altri enti. Si proponeva, perciò un’Agenzia unica con governace condivisa tra Stato e Regioni.

Il suggerimento fu raccolto in modo parziale e distorto: all’interno della riforma costituzionale del governo Renzi, bocciata dal referendum del 2016, si proponeva di assegnare l’insieme delle competenze allo Stato. Peccato che, parallelamente, si procedesse a depauperare e smantellare la struttura del ministero del lavoro…

Un altro punto delle proposte della Commissione riguardava la prevenzione e l’ammodernamento degli impianti e dei mezzi, in particolare in agricoltura e in edilizia, settori più tragicamente a rischio, come è noto, con una presenza altissima di macchinari obsoleti: i dati del 2013 dicevano – ed è solo un esempio – che i trattori risalivano mediamente all’inizio degli anni Sessanta.

Sarebbe interessante, in tema di prevenzione, analizzare i bilanci dell’Inail, per verificare quanti dei non certo irrilevanti avanzi in attivo sono stati impiegati in prevenzione ricerca e ammodernamento impianti e quanti per l’acquisizione di immobili e, se sì, per quale uso. È stato fatto qualcosa in agricoltura sulla sostituzione dei macchinari, ma le risorse sono esigue. Il sospetto che si sia risparmiato a vantaggio delle casse depositi e prestiti o del ministero dell’economia e delle finanze pare abbastanza fondato.
Da ultimo, come si usa dire oggi, il problema della narrazione.

Le proposte della Commissione, in particolare quella sull’Agenzia unica, miravano, certo, alla semplificazione degli interventi, ma per renderli più efficaci e più estesi: tali proposte, come ho cercato di dire, erano intrecciate a quelle sulla prevenzione, sull’ammodernamento. Era, è, una cultura della sicurezza del lavoro come condizione necessaria per la dignità del lavoro.

Il messaggio che è arrivato in questi ultimi anni ha di fatto assimilato i controlli a intralci burocratici, la razionalizzazione a riduzione dei controlli sulla sicurezza. È passata l’idea che le piccole imprese erano oppresse da questo sistema legislativo (senza che si facesse nulla per migliorarlo, se non ridurre i controlli). È passata l’idea di lavoratori eccessivamente tutelati, dimenticando che tra gli artigiani e i contadini erano i lavoratori autonomi a subire incidenti e a morire,mentre le loro rappresentanze erano impegnate in dibattiti spesso sterili.

 

In questi cinque anni la Commissione sugli incidenti è stata troppo silenziosa.

Il silenzio è stato rotto solo dai sindacati, che hanno cercato di fare uscire dall’ombra questo tema in una situazione generale assai difficile e quando l’attacco ai corpi intermedi condotto dal governo Renzi si manifestava nel modo più esplicito.

Va ricordato anche, come importante voce, l’Osservatorio indipendente sugli incidenti e morti sul lavoro di Bologna.

Queste voci hanno denunciato il ruolo non certo marginale che l’aumento della precarietà e del lavoro flessibile, del lavoro nero soprattutto nei settori più esposti – edilizia e agricoltura -, dei contratti “pirata” hanno avuto nel produrre i tragici dati di questi primi mesi del 2018. E hanno messo anche in evidenza tutta l’incapacità attuale del “pubblico” di intervenire su anomalie e illegalità di questo mercato del lavoro.

Una sinistra che vuole affrontare le trasformazioni di questi anni tornando a parlare e ad ascoltare gli strati sociali più esposti ai rischi di queste trasformazioni, e quindi più impauriti da esse, non può non ripartire dalla difesa della vita e della dignità dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Una sinistra che vuole governare rappresentando il lavoro deve investire sull’innovazione, sulla sicurezza, sui diritti. Insieme.
Questa sinistra è tutta da costruire.

Morti bianche. Perché il dramma riesplode ultima modifica: 2018-04-10T15:39:20+02:00 da PAOLO NEROZZI
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