Venezia e il bel tempo che fu …

Con tutti i suoi problemi, è proprio vero che si stava meglio quando si stava peggio?
MARIA LUISA SEMI
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Venezia ancora. Questa città ora imbarbarita da turismo ignorante e becero, e forse anche da amministrazioni poco interessate al suo bene. Ma non dimentichiamo i veneziani; troppo spesso, anche nel passato hanno giocato contro la propria vita. Vero che, soprattutto negli anni Sessanta, andare ad abitare in terraferma significava avere ascensore, automobile e… altro; non percorrere la città a piedi, non faticare sui ponti e salire scale poco agevoli. Ma questo, tutto sommato, può considerarsi quasi fisiologico. Alcuni, tuttavia migravano a Padova, a Treviso per motivi di lavoro: concorrenza, maggiore facilità di commercio e di lavoro.

Poi però prevalse il turismo e quindi quasi esclusivamente i “schei”. Quante persone abbandonarono Venezia non per bisogno, ma perché – anche se le circostanze l’avrebbero permesso – vendere un appartamento in città significava acquistarne uno a Mestre o dintorni, a prezzo minore e quindi tenere anche un gruzzolo in tasca.

Sempre peggiorando, i titolari di negozi o di attività artigianali, preferirono e preferiscono dare in locazione l’immobile a cinesi o altri, alla scadenza del contratto, pur di guadagnare il quadruplo di quanto onestamente un veneziano avrebbe potuto spendere.

Turismo? Ma, francamente, perché tutta questa folla? Si tratta, per la maggior parte di persone alle quali di Venezia non importa nulla: vedono piazza San Marco e chiedono “che cosa ancora c’è da vedere?” Turbe di gente per le quali è importante sapere dove si può mangiare e a che prezzo, gente che non si sofferma a godere delle bellezze di Venezia, ma – cellulare o tablet alla mano – fotografa, fotografa, per poi magari ritornare a casa propria e dire a parenti e conoscenti che si è stati qua. Gente che siede sui gradini di ponti e chiese, vi fa pic nic, lascia spazzatura – tanto, mica è casa loro!

Qualcuno, pochi, invocano il numero chiuso, o almeno un biglietto d’ingresso limitato. Difficile, anche se non impossibile, perché proprio i veneziani aprono locali, dove, anche a poco prezzo i turisti possono rifocillarsi. Quindi i veneziani!! Sempre che i locali non siano gestiti soprattutto da cinesi che evidentemente hanno la possibilità di pagare spese di locazione e gestione, mentre i veneziani no.

Poi però i veneziani pigolano: povera la nostra città, come siamo finiti, non c’è più posto per noi. Il posto, veramente ci sarebbe, se l’avidità e il dio denaro non imperassero.

Eppure… Eppure, in mezzo a questo tristissimo, a volte, vivere, Venezia, forse in maniera schizofrenica, vive. Attività culturali, di prestigio, molte; due Università di alto livello, Ca’ Foscari e Iuav l’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, l’Ateneo Veneto e moltissime associazioni, anche straniere, che operano in Venezia. Vero che sono attività in un certo senso defilate dalla vita quotidiana, ma che comunque sono frequentate da italiani e stranieri – quelli veri, non “foresti”- che anche successivamente continuano a vivere qua. Una bella pubblicazione (a cura di Caterina Falomo e Manuela Pivato) s’intitola appunto “Veneziani per scelta.”

Il volontariato, anche; istituzioni o associazioni ben organizzate che si occupano di malati o di carcerati, non imboccando – ma anche – persone con problemi fisici, ma soprattutto tentando e riuscendo a reinserire nel mondo del lavoro e della società civile disabili, drogati ,disadattati.

C’erano nei favolosi anni Cinquanta? Non credo a questo livello di organizzazione; ci si affidava ai vicini di casa, certo, le famiglie più generose davano una mano a chi meno aveva, i vecchi erano forse più rispettati, l’esperienza aveva valore, ma era soltanto una spontaneità, una possibilità, non risulta vi fossero strutture dotate di mezzi sia economici che umani alle quali rivolgersi.

Negativa è decisamente, secondo me, la mentalità di chi vive soltanto di rimpianti, attenzione, non di ricordi – che sono una ricchezza, che ci hanno fatto maturare.

Sono moltissime le persone che rivivono mentalmente gli anni Cinquanta o Sessanta come un paradiso terrestre. Tempi nei quali la vita di ogni giorno era lieta, le persone generose e leali, e… i valori al massimo.

Vediamo un poco. La sanità: per una cataratta si doveva stare fermi a letto 48 ore (ora la cosa si risolve quasi ambulatoriamente), l’ernia viene operata al mattino e al pomeriggio… dimissioni, la frattura di un femore portava a una degenza lunghissima, con conseguente possibile polmonite e successivo decesso (parlo di persone di circa settant’anni, ai tempi considerati già vecchi), antibiotici carissimi, refolate quasi sempre estive di poliomielite per cui ragazzi giovani morivano o rimanevano diversamente abili per tutta la vita. D’accordo, questo non soltanto a Venezia, ma anche.

Situazioni igieniche da terzo mondo, si direbbe oggi: servizio, cioè gabinetto, posto spesso in un angolo della cucina, separato dalla stessa da una porticina di legno, posta in un angolo, nel quale c’erano water e lavandino, null’altro. Lavaggi “a pezzi”, e altro, mentre nella cucina si cucinava. Il latte doveva essere bollito, perché le mani e gli stracci delle lattaie vi si strofinavano. Il frigorifero ? Era solitamente il balcone di casa, sul quale, ad esempio, il burro, immerso in una bacinella di acqua fredda, rinnovata, si posava e quindi non si scioglieva; la carne pure, magari coperta da una garza perché le mosche non vi si avvicinassero troppo.

Non parliamo di altri utensili domestici: la lavatrice, che liberò, anche se non del tutto, le donne dallo spaccarsi la schiena facendo il bucato – lenzuola, tovaglie e asciugamani – chine sulla mitica vasca da bagno o su un mastello. Non parliamo della lavastoviglie, un lusso arrivato più tardi, ma anche il primo televisore, con un solo canale, senza telecomando, per cui per l’accensione o lo spegnimento era obbligatorio alzarsi dalla sedia e premere un pulsante.
Paradiso terrestre, vero?

Una autentica stortura nei ricordi era [o è ?] la bontà, la generosità, l’altruismo. No, veramente no. Allora, come oggi, il bene e il male, pur in forme diverse, c’era. C’erano invidie, gelosie, piccole cattiverie che facevano star male. Ricordo – piccolo esempio – una normale ragazzetta che, corteggiata da un coetaneo, gli fece capire che non era il suo tipo. Vendetta: il ragazzo fece circolare la voce che la ragazza portava sfortuna, che pertanto era meglio starsene alla larga, per cui la poveretta evitò per mesi di frequentare il famoso “liston”, nascondendosi per paura di essere a sua volta evitata.

I successi di qualcuno, nel lavoro o nello studio? Certamente vi erano amici veri che si complimentavano e che erano contenti per i risultati brillanti di alcuni ; ma vi erano anche quelli che si rodevano, che parlavano di “raccomandazioni”, che pensavano e dicevano “lui si e io no, perché mai?”

Valori quindi che anche oggi si notano – nel bene e nel male – fra i giovani e fra i meno giovani. Ovvio che la medesima situazione si verifica anche nelle altre città, ma forse a Venezia si notava e si nota maggiormente per un motivo strettamente fisico: qua si cammina, si incontrano le persone non solo al bar, ma per ogni strada, per ogni calle, perché Venezia – ricordiamolo sempre – è un “unicum” che non ha periferie, che è tutta un centro. E proprio per questo i ricordi della quotidianità sono più sentiti, perché vissuti gomito a gomito.

Si legge che questa città è ora selvaggia e ostile città nella quale un tempo si poteva scambiare un sorriso; forse anch’io, se ne fossi rimasta lontana e ora vi ritornassi, potrei avere un’analoga impressione. Ma non è così: tutto il mondo è cambiato, la globalizzazione, le liberalizzazioni, e soprattutto le persone, diventate non solo anziane, ma meno disponibili a passare il tempo chiacchierando, lavorando anche, ma controvoglia e aspirando, tutte a una pensione, per cui l’inacidimento è inevitabile. Forse anche invidia, invidia sana e inconsapevole nei confronti di chi ora ha il mondo in mano: i giovani. Tuttavia, mentre nel passato c’era non la certezza – quella veramente mai – ma la forte speranza di andare avanti del “cosa farò da grande” oggi i ragazzi sono incerti, il titolo di studio non da certezze, è soltanto un pezzo di carta, spesso, un pezzo di carta al quale s’aggrappano purtroppo i genitori, ai quali frequentemente non interessa che i figli siano istruiti, se non colti; interessa appunto che – bene o male, frequentando anche corsi infami per corrispondenza – raggiungano quel traguardo, diploma che, debitamente incorniciato, viene appeso alla parete del soggiorno. E fa un po’ miseria quell’esposizione.

Volendo continuare – concludere non è possibile – possiamo notare la Venezia oleografica, la Venezia da cartolina postale che inonda i social? I social, come ben ricordava Umberto Eco, sono frequentati per lo più da persone che si ritengono premi Nobel. Ma, sfogliando, si trovano anche dei gruppi che, frequentati da persone di cultura, si occupano di libri, di quadri, di antiquariato; bene, ma anche queste persone cascano nella retorica : “Venezia la mia città del cuore”, “Venezia bella da percorrere nelle calli, perdendosi un poco” e forse illudendosi di scoprire quello che da secoli già è scoperto. ”Venezia nella quale vorrei abitare”, patetica bugia, perché appunto Venezia è difficile e nella sua difficoltà sta la sua specificità e la sua bellezza.

Concludendo, si fa per dire. Il passato è fatto di ricordi, non può essere soltanto di rimpianti; eravamo o erano giovani e i non giovani o anziani tendono sempre a rivedere soltanto quello che di positivo c’era ai tempi della loro gioventù. Non è vero. Il bene e il male sempre sono esistiti ed esisteranno, la bontà, la generosità come la gelosia e l’invidia o la piccola o grande cattiveria.

Venezia e il bel tempo che fu … ultima modifica: 2018-04-17T17:13:54+02:00 da MARIA LUISA SEMI
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