[PARIGI]
Uno sciopero che si svilupperà a fasi alternate per tre mesi. Cominciato il 3 aprile la mobilitazione è prevista che duri fino al 28 giugno (almeno per ora). In media, tre giorni di sciopero ogni settimana (di solito mercoledì e giovedì). Tra le proteste degli utenti, i ferrovieri della Société Nationale des Chemins de fer Français (Sncf), le ferrovie dello stato francesi, hanno deciso di rispondere duramente alle proposte di riforma del governo di Eduard Philippe (La République En Marche, Lrem). Ma non si tratta solo di una dura vertenza sindacale. Sullo sfondo dello scontro tra sindacati e governo si giocano più battaglie. Quella di Emmanuel Macron per confermare la propria immagine di “coraggioso rinnovatore”, che si lancia all’attacco di uno dei settori più sindacalizzati della società francese. Quella della sinistra francese, frantumata dalla valanga macronista, che cerca di guadagnare qualche spazio di azione politica. Ma soprattutto sono i sindacati, in costante calo nel numero degli iscritti, che si giocano il tutto per tutto. In particolare la Confédération générale du travail (Cgt), il cui ruolo di principale sindacato francese è messo in discussione dalla crescita dei sindacati riformisti e moderati.
Che cosa prevede la riforma della Sncf? Si tratta di più interventi che puntano a preparare le ferrovie dello stato francesi all’apertura del mercato ferroviario nazionale alla concorrenza. In osservazione delle direttive europee, tendono a precisare tutti i protagonisti della vicenda. Non che fosse inaspettato per la Francia. Si tratta infatti di dare seguito al percorso di liberalizzazione del settore ferroviario europeo, cominciato ad inizio degli anni duemila e che progressivamente ha aperto i settori ferroviari nazionali alla concorrenza: prima nel settore delle merci (2007), poi in quelli del trasporto internazionale (2010).
Nel 2013 si è deciso di dare seguito alla fase finale del percorso: l’apertura dei mercati nazionali alla concorrenza per le tratte interne. La Francia è tra gli ultimi paesi ad occuparsene (ha tempo fino al 2020 per le linee di Tgv e fino al 2023 per le linee regionali e interregionali). In sostanza l’attribuzione diretta di contratti di servizio diventerà l’eccezione nel settore ferroviario.
E qui comincia lo scontro tra governo e sindacati.
1 Il primo problema riguarda lo statuto dei lavoratori del settore ferroviario, che garantisce il posto di lavoro a vita, delle rimunerazioni non particolarmente elevate ma che aumentano meccanicamente nel tempo, la pensione a cinquantadue anni per i macchinisti, a cinquantasette per tutti gli altri. Uno statuto che i sindacati vorrebbero fosse esteso a tutte le compagnie che opereranno in Francia, condizione a cui si oppongono Sncf e gli operatori privati del settore.
Il governo ha dunque tentato di definire uno zoccolo comune di regole per evitare il dumping sociale e fare in modo che le condizioni di lavoro tra lavoratori delle compagnie private e quelli della Sncf non fossero molto distanti. Secondo i sindacati però queste regole non impediscono il dumping sociale.
2 Il secondo problema è che, per consentire alla Sncf di arrivare in condizioni competitive alla fase di apertura del mercato, il governo ha annunciato la trasformazione della società, di proprietà dello stato dal 1982, in una società di diritto privato, partecipata interamente da capitali pubblici. Per i sindacati sarebbe l’inizio della privatizzazione di Sncf. Per il governo la trasformazione in società anonima consente di rendere più “performante” l’azienda, che oggi ha un debito di cinquantacinque miliardi di euro.
Fino qua è la questione tecnico-politica. Ma il braccio di ferro tra Emmanuel Macron e i sindacati, in particolare la Cgt, sta diventando una battaglia simbolica per entrambi. La popolarità di Emmanuel Macron è in ribasso e La République En Marche dovrà affrontare un fitto calendario elettorale: nel 2019 le elezioni europee e nel 2020 le elezioni municipali, che precedono le elezioni presidenziali del 2022. Il 2018 è quindi per Macron l’anno in cui vengono messe in cantiere le riforme che dovrebbero consentirgli di affrontare al meglio i prossimi appuntamenti elettorali. La riforma istituzionale (dimezzamento dei parlamentari e introduzione di una quota proporzionale per le elezioni legislative) e la riforma della Sncf sono gli obiettivi di quest’anno.

La stazione de La Defense vuota
Il presidente francese ha deciso di fare di Sncf uno dei simboli della sua volontà di cambiare le cose, di cambiare “le monde d’avant”, il mondo che c’era prima del suo arrivo. Ed è con questo spirito che Macron e il suo primo ministro hanno deciso di affrontare il primo grande conflitto sociale per il governo: vogliono dimostrare che non indietreggeranno come hanno fatto i governi precedenti. Per questo la riforma di Sncf è la madre di tutte le battaglie per molti commentatori d’Oltralpe.
Per la Cgt la battaglia sulla Sncf è altrettanto importante. simbolicamente. Anche se attorno all’opposizione alla riforma si sono ritrovati tutti i sindacati, la Cgt ne è la capofila. La speranza è quella di riuscire a mobilitare una parte più ampia della società francese, non soltanto gli cheminots. Per ora, tuttavia, non ci riesce.
Infatti secondo un sondaggio Odoxa realizzato per Franceinfo e Le Figaro, sei francesi su dieci considerano lo sciopero delle ferrovie ingiustificato. Sono lontani i tempi del paese che sosteneva quasi monoliticamente gli scioperi del 1995. Ma allora era la riforma delle pensioni voluta da Alain Juppé, il “padrino politico” di Eduard Philippe, e riguardava tutti. Oggi si tratta di un settore specifico, del quale molti cittadini mettono in discussione i “privilegi” di cui godrebbero i dipendenti delle ferrovie.
E poi c’è una lotta interna alla rappresentanza sindacale francese. La Cgt negli ultimi anni ha visto il suo potere declinare lentamente a favore di Cfdt (Confédération française démocratique du travail), il sindacato riformista che oggi rappresenta più lavoratori della Cgt. Il 2018 è tempo di elezioni anche per i sindacati: la battaglia sulla Sncf diventa anche un modo per cominciare a contare le proprie forze in vista dell’appuntamento elettorale di dicembre, per ottenere nuove iscrizioni o strappare iscritti agli altri sindacati.
Tutti i sindacati francesi sono alle prese con una grave crisi di rappresentanza. Se negli anni Cinquanta i lavoratori iscritti ai sindacati erano almeno il trenta per cento, oggi meno dell’otto per cento dei lavoratori è iscritto ad un sindacato. Dato che arriva al cinque per cento nel settore privato. Il basso tasso di sindacalizzazione fa della Francia il paese meno sindacalizzato dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Un modello di sindacato molto lontano, inoltre, dal sindacalismo consensuale di altri paesi europei: alla base del sindacalismo francese c’è la cultura del conflitto e dello scontro.
E poi un forte pluralismo interno. Le organizzazioni sindacali riconosciute dallo stato sono otto, frutto di scissioni storiche: Cfdt, Cgt, Cgt-Fo, Cfe-Cgc, Cftc, Unsa, Sud-Solidaire, Fsu. Di queste solo le prime cinque sono riconosciute come rappresentative. E sono molto diverse tra loro per storia e per orientamento ideologico.
Poco rappresentativi, animati da uno spirito conflittuale e frammentati. Ma legittimati ad agire in ogni caso.
Problemi noti, anche alla classe politica. Nasce anche da qui la sfida di Macron ai sindacati.
Però il presidente della repubblica corre qualche rischio. Non di perdere contro i sindacati, che difficilmente vinceranno la battaglia. Corre il rischio di risvegliare la sinistra. Non quella politica, alla prese con enormi difficoltà. Ma l’elettorato di sinistra che lo ha votato e sostenuto. Se Macron non riuscirà a spiegare le sue riforme, l’idea che il suo governo produca ingiustizia sociale e aumenti le disuguaglianze potrebbe diffondersi e alienargli parte di quest’elettorato.

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