Se la sinistra scopre il fascino dei capelli bianchi. Con questo titolo, il 18 agosto 2015, ytali aveva proposto all’attenzione dei suoi lettori l’ascesa di due personaggi, fino ad allora ancora poco conosciuti nel nostro paese. Bernie Sanders e Jeremy Corbyn. Da quel momento in poi, il senatore del Vermont e il leader del Labour Party avrebbero occupato la scena della politica americana e di quella britannica, smentendo la credenza consolidata secondo cui la sinistra radical aveva ormai fatto il suo tempo, per essere soppiantata definitivamente dalla sinistra modello “terza via”.
Il primo, allora settantatreenne, il secondo sessantaseienne, erano inoltre la negazione vivente di un altro assunto – per la verità in voga sopratutto, se non solo, in Italia -, la necessità di dare il benservito alla vecchia generazione dei dirigenti politici in nome di una rottamazione/rigenerazione anagrafica.
Quel fascino regge ancora? Quella che è definita con antipatica simpatia sinistra vintage è ancora “di moda”? Fino a che punto si è realizzata la scommessa di Sanders e di Corbyn? È possibile che il loro ciclo si stia esaurendo, e che si possa chiudere senza che né l’uno né l’altro sia riuscito a entrare nella stanza dei bottoni?
Fosse così, potrebbe aver ragione chi sostiene che la sinistra radical funziona e fa proseliti, ma solo finché è all’opposizione, mentre nel momento in cui s’avvicina al potere perde quota perché una porzione fatale, non grande ma decisiva, di elettori non si fida fino in fondo della cultura di governo di questo tipo di leader e della loro capacità di realizzare davvero le loro promesse e, alle urne, preferisce un’opzione più moderata perché “realista” (o fa il salto nel campo populista, con Trump e con la destra antieuropea).
Fatto sta che le ultime notizie sembrano andare proprio nella direzione di un calo, in tutte e due le sponde dell’oceano, di Corbyn e di Sanders.
E c’è chi s’affretta a tirare conclusioni definitivamente negative per i due e per le loro politiche, mentre sarebbe più saggio osservare i due fenomeni meno sbrigativamente, sia nella loro genesi e sviluppo sia in questa fase di apparente declino.
La prima notizia è che Sanders è molto indietro rispetto ai suoi diretti rivali negli ultimi sondaggi in vista delle presidenziali del 2020, per le quali dovrebbe candidarsi, anche sarà alla soglia degli ottant’anni. È terzo (tredici per cento) dopo Elizabeth Warren (ventisei per cento) e Joe Biden (venti per cento) in New Hampshire, lo stato dove iniziano le primarie e che nel 2016 lo vide protagonista imprevisto, lasciando presagire una corsa molto combattuta per Hillary con il senatore del Vermont. Secondo i dati attuali, Bernie avrebbe la metà dei consensi ottenuti due anni fa in quello stato-chiave.
La seconda notizia è che le elezioni locali inglesi sono andate peggio delle speranze e delle attese per il Labour Party. Il risultato, in sé e per sé è buono nel suo complesso, ma non tale da prefigurare la possibilità di una vittoria laburista nelle elezioni generali, previste per il 2022.
Inoltre, l’esito avrebbe dovuto essere comunque molto migliore – secondo i critici interni di Corbyn ma anche secondo le sue stesse attese – se si considera la pessima qualità del governo in carica, ritenuto unanimamente il peggiore di tutti i tempi, dopo la catastrofe della Brexit e, ultimamente, la sequenza di scandali che hanno messo ko i più importanti ministri (ed esponenti tory). Con un avversario come Theresa May, il Labour avrebbe dovuto avere una performance decisamente migliore.
Accostare le vicende di Corbyn e di Sanders può essere tuttavia fuorviante. Essi sono accomunati dal fatto di essere la risposta “di sinistra” alle politiche di centro del blairismo e del clintonismo, due ideologie e due linee tra loro collegate. Ma se si va più nello specifico la distanza era ed è considerevole, se non altro per via dei contesti molto diversi nei quali i due leader operano.
Corbyn può contare su un partito ancora strutturato, di cui è parte cospicua il sindacato. La sua idea di fondo, di un ruolo considerevole dello stato anche nell’economia, riprende la linea classica laburista pre-blairiana. I suoi critici considerano il corbynismo un impossibile ritorno al passato. La sua figura è carismatica e, a parte lui, non ci sono altri esponenti di peso che possano davvero allargare il suo messaggio, mentre nel partito, specie nel gruppo parlamentare, la “destra” è ancora forte, in gran parte messa in riga ma non domata e sempre alla ricerca della rivincita.
Sanders, che non è membro del Partito democratico, è un classico socialdemocratico. Un riformista. Anche se in America è visto dalla destra, e non solo, come un rivoluzionario. In Europa potrebbe figurare alla destra di Corbyn ma, in America, per il solo fatto di volere riforme in Europa realizzate da decenni e date per scontate, è considerato un “socialista”, con tutte le implicazioni che ha questo termine in quel paese. Vuole l’assistenza medica universale e la gratuità dell’accesso all’università, un sistema di tasse che colpisca gli abbienti e protegga le fasce deboli. Parole d’ordine che due anni fa, al suo apparire, facevano sobbalzare o sorridere.
Utopista. Chi gli darà retta? Gongolava Hillary alla sola idea di dover competere con un anziano idealista. Una corsa per lei tutta in discesa, prevedevano i suoi strateghi. E invece non solo Bernie è andato molto lontano. E se Hillary è ancora vista come l’emblema della sconfitta, Bernie è una star, gira nei vari stati per sostenere candidati locali che si rifanno alle sue posizioni. Molte delle sue politiche sono diventate quasi ovvietà dentro il Partito democratico, un partito oggi molto più sanderista che clintonista e obamiano, se non per il leader Tom Price.
Quindi se la stella di Bernie si sta forse appannando (se si dà retta ai sondaggi), non si può dire lo stesso del “bernie-ism”. E d’altra parte la sua principale rivale e attuale frontrunner democratica, Liz Warren, 69 anni, non sostiene idee molto diverse dalle sue.
Per il Labour, non si può affermare lo stesso. Corbyn è effettivamente entrato in un periodo meno promettente di quanto appariva prima del voto locale, e non è ancora chiaro se si tratta di un declino della sua leadership personale e/o delle politiche che egli incarna, anche perché non sono adeguatamente sostenute dagli esponenti laburisti sul territorio. Se c’è un “bernie-ism” che trascende Sanders non sappiamo se c’è un “corbynism” che trascende Jeremy.
Sicuramente, allo stato attuale, sia il Labour sia il Partito democratico si trovano dinanzi avversari, che in altri tempi, sarebbero stati considerati tutt’altro che temibili, May e Trump.
Il voto inglese ci dice che non basta avere un avversario sulla carta “facile”, mentre le previsioni sulle elezioni di medio termine negli Usa, a novembre, sono ancora contrastanti. Se la tenuta di May è stata sorprendente, quella di Trump è un dato politico che i democratici non riescono ad analizzare e alla quale non sembrano capaci di reagire con la dovuta energia ed efficacia.
Il rischio che Sanders e Corbyn passino alla storia come belle promesse mai realizzate è dunque alto.
aggiornamento
In un messaggio diretto su Twitter, il mio caro amico e collega competentissimo @macampoansa (Marcello Campo) mi scrive a proposito di questo articolo:
Guido: due interrogativi sul tuo pezzo. Uno generale: hai omesso un dato molto importante, cioè che ambedue “sinistre” sono appoggiate da movimenti giovanili molto forti e potenti. Momentum in UK e soprattutto il movimento anti-armi che ha invaso le strade d’America ponendo le condizioni per una svolta. Nello specifico non credo, ma posso sbagliarmi, che Sanders si ripresenti nel 2020. Ci sono tanti e tanti candidati a lui più o meno vicini pronti a fare la loro parte. Infine, francamente non credo che i risultati del Labour siano così sotto le aspettative. Corbyn si candida seriamente a vincere le prossime politiche. Di contro, ritengo che piaccia o meno, queste sinistre sono le uniche in campo in Europa.
Marcello Campo ha ragione sull’assenza dei movimenti nell’articolo, fenomeno imponente in questa nuova stagione nella sinistra inglese e americana. Non la considero tuttavia una mancanza capricciosa. Non dico sia voluta, ma non è essenziale ai fini del tema di fondo del mio articolo.
Al movimento contro le armi si potrebbe aggiungere il #metoo, ma non sono così sicuro che essi siano riconducibili al sanderismo, anche perché germogliati in modo del tutto autonomo dalla politica. Lo stesso dicasi per #blacklivesmatter (che peraltro non aveva – ora un po’ di più – gran simpatia per Bernie, un socialista vecchio stile, più attento alle contraddizioni di classe che a quelli di razza e di genere). Io li associo più ad altri fenomeni – per quanto riguarda l’America – come per esempio la straordinaria reazione che c’è stata a episodi di razzismo in locali di Starbucks. Che poi alle urne queste mobilitazioni si traducano in sostegno a candidati sanderisti o di sinistra, questo è possibile ma non si può saltare alla conclusione che tutto questo possa essere definito “radical left”.
Rispetto al recente voto inglese, ho riferito, senza approfondire, di proiezioni che sono state fatte sulla base dei risultati delle recenti elezioni locali in rapporto a quelle politiche generale, e non sono proiezioni rosee per il Labour. Nel migliore degli scenari, si votasse oggi, ci sarebbe un parlamento “appeso”.
Infine vorrei insistere sul punto della distinzione tra i due personaggi e tra le due sinistre, sia nella loro natura specifica sia nelle loro possibili evoluzioni, con o senza le due figure carismatiche, mettendo in chiaro che l’appannamento di Sanders non significa affatto lo sbiadimento delle sue idee, mentre per Corbyn le cose stanno un po’ diversamente.
Questa distinzione serve anche a lasciar perdere l’idea che possano esserci modelli di riferimento in Italia cercandole in sinistre di altri paesi, nel senso che anche nel mondo omologato della globalizzazione, ogni paese deve cercare una sua via peculiare di sinistra, radicale o moderata, ammesso che sia ancora possibile .
Nella Francia di Macron – a parte Mélanchon, cioè il solito massimalismo oggi in chiave populista – non c’è nulla, mentre, per quanto riguarda l’Italia non si è abbastanza riflettuto sul perché il tentativo elettorale di Liberi e Eguali sia stato un fiasco e perché, dopo il fiasco, si sia preferito parlare del Pd piuttosto che dei propri problemi. Non credo che a Macron o a Renzi si possa contrapporre un progetto “importato” se non riesci a far marciare una tua idea propria di sinistra alternativa e innovativa, cullandosi nella consolazione che altrove è possibile (dolendosi quando anche quelle esperienze non decollano dopo tante promesse).

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