Vedete questo villaggio? Si chiama Albinen, 241 abitanti, distretto di Leuk, Canton Vallese, Svizzera, appena duecento chilometri dalla Lombardia. Beh, questo villaggio è un po’ anche il “mio” paesello, o meglio lo è stato per trent’anni: ci vivevano da molto più tempo i miei suoceri e, sino a quando hanno lasciato questo mondo, mia moglie ed io (e talvolta qualcuno dei miei figli) passavamo con loro, d’estate o d’inverno, qualche giorno di vera vacanza, tra passeggiate e tuffi nelle piccole terme, sci di fondo e, quando eravamo giovani, qualche arrampicata.
E che c’importa a noi lettori – è giusto che lo chiediate – della “tua” Albinen? Ve lo spiego subito. Fatto è che questo minuscolo, ignoto villaggio sdraiato su un dorso di montagna a 1.300 metri (in cui, tra l’altro, si mangia e si beve ottimamente: raclette, fonduta, altri squisiti formaggi, salsicce di ogni genere innaffiate di un buonissimo vino bianco, il Fendant) è balzato agli onori delle cronache mondiali per una iniziativa del suo sindaco, Beat Jost, ex sindacalista e giornalista. Il quale, preoccupato per lo spopolamento del villaggio, ha lanciato un’idea poco convenzionale:
noi siamo disposti a versare settantamila franchi [sessantamila euro] alle famiglie, diciamo genitori e due figli, desiderosi di trasferirsi nel villaggio

Beat Jost, Gemeindepräsident [sindaco] di Albinen im Wallis, in un ritratto del NZZ am Sonntag (https://nzzas.nzz.ch)
Emozione, interesse, richieste a migliaia da ogni parte del mondo, cinesi compresi manco a dirlo. Perché la gran parte degli organi d’informazione avevano gridato la notizia con titoli che suonavano quasi sempre press’a poco così: “Andresti ad abitare lassù per settantamila franchi?” (tabloid inglese), oppure: “Questo villaggio svizzero offre settantamila franchi se vai ad abitarci. Prepara le valige!” (giornale australiano). E la gente ha cominciato a scrivere, a prenotarsi via email, persino ad arrivare creando prima non gioia ma panico tra la gente del paese, e poi delusione tra chi aveva letto in fretta i giornali. Già, perché nessuno o quasi aveva inteso la contropartita richiesta dal sindaco, e che pure era stata pubblicizzata in una sorta di bando in cui l’offerta elencava, appunto, una serie di condizioni rigide:
capofamiglia al massimo quarantacinquenne, residenza per almeno dieci anni nel villaggio, investimento di almeno duecentomila franchi [centosettantamila euro] nell’alloggio [ci sono splendidi, antichi masi abbandonati, ma anche chalet e abitazioni più moderne, tutte case deserte per lo spopolamento], e infine disporre, se si è stranieri, di un permesso di soggiorno o almeno di domicilio
Ma intanto la gente (italiani anzitutto) era arrivata, affollava alberghi e locande, faceva la fila alla bottega – l’unica bottega del villaggio, gestita da due anziane sorelle, dove si vende tutto – alla ricerca del sindaco per informarsi di come e dove incassare il… premio di accoglienza. In effetti il sindaco si era barricato in casa in attesa dell’assemblea dei cittadini convocata per discutere degli sviluppi del caso. E a quest’assemblea (riunita nel garage dei pompieri) Beat Jost pretendeva di impedire l’ingresso ai giornalisti. Ma, ricordando il principio della trasparenza degli atti e delle riunioni pubbliche, il Cantone l’ha richiamato all’ordine: libero accesso dunque ai cronisti e anche alla televisioni.
Ma non c’è stato affatto il casino che Beat temeva: l’assemblea ha sostenuto il suo sindaco e approvato la proposta inserendo – scrupolo sacrosanto – una ulteriore clausola: esclusi, a qualsiasi titolo, dalla partecipazione al progetto, speculatori privati e/o società immobiliari, tanto svizzeri quanto stranieri. Il sindaco ha tirato un sospiro di sollievo e, soddisfatto, ha notato:
si tratta, con pochi soldi, di un vero investimento per il futuro del nostro villaggio. Penso non solo a chi vorrà venire ad abitare con noi, ma anche all’indotto che può assicurare lavoro e danaro a chi, tra i nostri concittadini, pensa di andarsene. E, chissà, nel tempo potremmo riaprire persino la scuola…
La medicina per la cura di ringiovanimento e di ripopolazione è dunque pronta. Tra le molte richieste presentate, dicono nel distretto, solo una su cento potrebbe essere di famiglia seria e affidabile. Per questo nessuno s’illude, men che mai il sindaco. Per cominciare si spera insomma di poter contare sull’arrivo, ad esser prudenti, di cinque, al massimo dieci famiglie: significherebbe irrobustire la struttura del villaggio e bloccare gli esodi.
Mi dispiace, la mia famiglia non ci sarà. Lo chalet dei suoceri è stato venduto ben prima del bando. A una gentile famiglia russa: c’era da aspettarselo. Ma la nostra nostalgia e il nostro affetto per quel villaggio antico, dolce e quieto resta, ed è sempre grande.

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