Sul Corriere della Sera di qualche giorno fa Massimo Gaggi scrive che nella politica statunitense nulla sarà mai come prima, l’America non tornerà a essere il paese accogliente con gli ultimi della terra, non sarà più “paladina del libero scambio tra primus inter pares”. La ragione di questa mutazione è da ricercare nella mutazione di entrambi i partiti, quello repubblicano ormai nelle mani di Trump, e quello democratico, che alle primarie dei giorni scorsi ha visto trionfare giovani e donne che ritengono che Trump vada combattuto con idee diverse dalle sue ma altrettanto radicali. Costoro non credono più nel libero scambio, sono nazionalisti e non mettono gli immigrati in agenda.
Ci sono due falle in questo ragionamento: la prima riguarda il passato. Trump non è il frutto di una mutazione genetica ma la conclusione logica di un processo che parte con Nixon e passa per Reagan e Bush. I metodi non convenzionali del presidente del Watergate, il deficit esploso con Reagan (più 186 per cento per tagliare le tasse e spendere in armi) che ha continuato a crescere con Bush, le divisioni violente con l’Europa di George W. Bush negli anni della guerra al terrore, il Tea Party, la corte sfrenata agli evangelici fatta alimentando le cosiddette “culture wars” sui temi etici e dei diritti civili. Non è da ieri che il partito repubblicano non è più il partito del rigore, del libero scambio, resta quello del meno stato in forme radicali e sbagliate.
Ma veniamo ai democratici, che sono il vero oggetto del commento del corrispondente del Corriere. Davvero l’ondata di vincitori alle primarie è una trasformazione radicale, estremista del partito? Vediamo quali sarebbero le trasformazioni e poi mettiamole nel contesto. Il tema dell’immigrazione sarebbe scomparso. Il tema è parzialmente in agenda e persino un gruppo considerevole di rappresentanti repubblicani è pronto a votare un rinnovo del Dream Act di Obama che protegge gli immigrati arrivati negli Stati Uniti da bambini. Questi rappresentanti sono eletti in distretti molto ispanici o piuttosto moderati e sanno che avrebbero vita dura contro un democratico che sventolerebbe le posizioni anti immigrazione di Trump contro di loro. Tra i nominati Dem nelle primarie dei giorni scorsi, molti sono appunto ispanici perché quello è un gruppo sul quale puntare pesantemente se si vuole conquistare spazio politico nel West (Arizona, Texas, Colorado, New Mexico).
Veniamo al libero scambio: il primo fattore è storico, gli effetti della sua pervasività sono in parte ciò che ha generato la perdita di peso di intere aree del paese incapaci di competere con l’Asia e questo ha prodotto un antico risentimento in molte aree del paese che hanno votato Trump a sorpresa. Ad esempio in Ohio, dove il senatore democratico Sherrod Brown è stato eletto per la prima volta nel 2006 vantando le sue origini blue collar, raccontando della decadenza della sua città natale e promettendo di combattere il libero scambio. Non è il solo, dunque, non è il primo e non sarà l’ultimo. Alcuni degli effetti della globalizzazione non governata si sentono (anche in Europa, diremmo) e occorre ragionare su come individuare regole più eque che proteggano i contesti locali, non rimpiangere i fuochi d’artificio con cui si celebrò l’ingresso della Cina nel Wto nel 2000. È un po’ la stessa questione che si pone per l’Europa. Altra idea radicale sarebbe quella di aumentare le paghe orarie minime e assumere più personale nel settore pubblico.
Negli Usa alcuni lavori sono pagati da fame e se si vuole allargare la sfera democratica, non lasciare ai margini interi segmenti della società occorre aumentare le paghe orarie minime, dare dignità a quei lavori. Non c’è nulla di radicale nel voler pagare decentemente il lavoro.
Quanto alle assunzioni nel pubblico, il numero di impiegati pubblici è oggi appena sotto i livelli pre crisi. Tra 2008 e 2010 gli addetti del settore pubblico crollarono, poi ci fu una ripresa delle assunzioni. Negli anni di Bush gli impiegati pubblici sono aumentati di circa due milioni, negli anni di Obama sono leggermente diminuiti. Non solo, siccome la popolazione e il numero di lavoratori aumenta in maniera costante, la percentuale di addetti al settore pubblico sul totale della forza lavoro è diminuita (nel ’75 era intorno al 19 per cento, nel 2010 attorno al 17 per cento e oggi attorno al 15 per cento).
Assumere non è quindi un’eresia. Aggiungiamo una considerazione che vale per il privato come per il pubblico: se serve manodopera per far funzionare bene (un esempio a caso) le scuole, è buono e giusto assumere manodopera trovando i soldi. Magari modificando il regime fiscale in maniera da fare pagare poche tasse in più a quella classe di super ricchi cresciuta in questi anni grazie ai bonus e alla rendita finanziaria – il contrario di quanto fatto con la riforma Trump e il contrario di quanto si appresterebbe a fare il nascente governo italiano.
Da ultimo una delle idee radicali dei democratici è l’espansione di Medicare, il sistema sanitario pubblico. È vero, sarebbe un grande cambiamento per l’America, ma davvero è un’idea radicale? O è più radicale un sistema che costa più caro di qualsiasi altro al mondo garantendo molte meno cure e sicurezze ai cittadini? I democratici sentono che in materia, anche grazie al dibattito introdotto nel paese da Obama con la riforma, il terreno è maturo per questo cambiamento. E lo nominano. Alcune ricerche indicano che tra gli elettori di Trump lo scontento per la riforma Obama è che non ha davvero cambiato le cose e i costi da sostenere.
I democratici si sono dunque un po’ spostati, perché nel paese e nella loro base si è spostato il centro del dibattito politico. Che non è fermo da e per sempre. Non lavoreremmo otto ore, le donne irlandesi non avrebbero l’aborto e in Italia non si potrebbe divorziare se il centro non si spostasse. E così Kamala Harris e Cory Booker sono il nuovo centro perché quello di Clinton non ha convinto, non ha dato risposte e non ha saputo immaginare un futuro – e anzi è stata identificata con il marito e con gli anni della grande liberalizzazione. Gli anni Novanta sono finiti nel 2008 e la sinistra nel mondo ha perso non perché ha abbandonato la Terza Via, ma perché l’ha difesa fino all’ultimo istante possibile.

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