L’estate scorsa, al Pireo, la movida ateniese che non t’aspetti: centinaia di ragazzi e ragazze spaparanzati per l’happy hour lungo i baretti del porticciolo di Zea, quasi a confermare l’improvvisa ricchezza narrata da Petros Markaris nel romanzo Il prezzo dei soldi (2017). Denaro piovuto da chissà dove, meglio non indagare troppo e lasciarsi andare, chiudendo un occhio. Anzi, due. E sia quel che sia.
In finale di carriera può persino capitare una promozione. Nel nuovo L’università del crimine (La Nave di Teseo, traduzione di Andrea Di Gregorio), il capo Ghikas lascia per raggiunti limiti d’età. Unanime la volontà dei superiori: ad occupare momentaneamente il posto vacante di direttore della Centrale di Polizia di Atene è chiamato il buon Kostas Charitos, carattere indipendente come ognuno sa e dunque, sino quel momento, vice a vita. Carica provvisoria, peraltro, e che Adriana – l’inseparabile moglie – non si metta in testa chissà quali aumenti di stipendio. Vero che qualche soldino in più male non farebbe, specie adesso che la figlia Caterina aspetta Lambros (proprio come Zisis, l’amico comunista che si occupa dei senzatetto), ma quando mai Kostas ha pensato alla grana?
Le grane, piuttosto, quelle sono la sua specialità e non mancano mai sotto l’Acropoli. Il tempo di una vacanzetta settembrina nel natìo Epiro, dove Kostas e Adriana fanno amicizia con tre vispe pensionate concittadine (d’ora in poi le Tre Grazie, con cui si rivedranno ad Atene), la soddisfazione per il nuovo incarico, ed ecco servito il primo cadavere. Eccellente per giunta: il ministro per le riforme in carica, già docente di diritto all’Università, tipo bulimico (di cibo e di potere), avvelenato con una dose di parathion impastata in una torta recapitatagli da una sconosciuta. Strana morte? Mica tanto, la vecchia legge del contrappasso, parrebbe… Avrà pestato i piedi a qualcuno, vecchie ruggini accademiche, cherchez la femme, tutto può essere, anche se le modalità – un dolce avvelenato, rigorosamente in frigo, pur privo della fetta fatale – paiono d’altri tempi, quasi favolistiche.

Petros Markaris. Nel suo ultimo romanzo “L’università del crimine” continuano le avventure di Kostas Charitos, il commissario più famoso di Grecia.
Il guaio, ulteriore, è che quell’omicidio viene presto rivendicato, la giusta punizione per chi, infischiandosene dello stato comatoso in cui versa l’università, si permette il diversivo della politica continuando a mantenere la baronìa accademica, incurante di studenti e colleghi. L’università va a rotoli, risorse al lumicino, studenti allo sbando e questi si danno alla politica, dimentichi dei loro doveri professionali. Vuoi mettere i professori di una volta? Materia di discussione ce n’è, ma da qui alle vie estreme del giustizialismo ne corre, tanto più che le autorità preferirebbero minimizzare, lasciar trapelare poco o niente, circoscrivere l’entità del delitto. Neanche Charitos sa che pesci pigliare ma di una cosa è certo: se di esecuzione mirata si tratta, c’è da aspettarsi il peggio.
Detto, fatto. Altri due luminari delle scienze “prestati” alla politica fanno presto una brutta fine, chi sprangato e accoltellato per strada, mentre fa jogging, come ogni mattina, e chi fulminato in macchina da una iniezione di acido cianidrico, mentre conversa con due donne, secondo un testimone. E ogni volta la rivendicazione, accompagnata da apposita dedica a qualche integerrimo e amatissimo professore del passato rimasto orgogliosamente in cattedra qualsiasi cosa accadesse. Uno dei nuovi defunti, vita riservata, pare facesse politica sin da quando, studente in Italia, militava in Lotta Continua, che per i Servizi greci sarebbe ancora oggi una pericolosa organizzazione terroristica, tipo Brigate Rosse. Ben messi anche gli 007 ellenici, che fanno perdere un po’ di tempo a Charitos, in cerca di un movente politico che, se c’è, non rientra certo nelle strategie della lotta armata per il potere proletario.
I morti passano e la vita, nonostante tutto, continua. Incredibilmente comprensivi, i superiori non se la prendono con Charitos, che fa quel che può. Non molto a dire il vero, perchè non ci sono prove e neppure indizi, soltanto congetture strampalate che si succedono piuttosto a vanvera intorno a omicidi tanto ben organizzati quanto incomprensibili. Potrebbe essere stato chiunque e di gente che ne ha le tasche piene del potere e dei suoi rappresentanti è piena la Grecia. Meglio pensare al nipotino in arrivo, gustarsi le pitte di Adriana e ora persino di Caterina, una rivelazione in cucina da quando è incinta, due chiacchiere con Zisis (incredibile il buon senso di quel comunista, ma se erano tutti così perchè li hanno fatti fuori?). E poi le Tre Grazie, che fanno puntualmente la loro ricomparsa, quasi di famiglia ormai…
Questo luogo deve appartenere, con quel che qui si trova, a coloro che lo meritano.
Petros Markaris, fra le altre cose germanista, è un irriducibile brechtiano e in esergo a L’università del crimine cita di proposito l’autore prediletto (da Il cerchio di gesso del Caucaso). Da che parte stare non è mai stato un problema, più complicato come, oggi più di ieri. I suoi apologhi polizieschi, perciò, fotografano la realtà per quel che è, senza particolari ambizioni sociologiche ma certo rimandandoci disagi, sbandamenti e contraddizioni che vanno ben al di là del puro dato fenomenico.
E i delitti, solitamente seriali ma del tutto estranei alle psicopatologie della letteratura americana, sono espressione di una società alla deriva, in cerca di valori, forse perduti e forse nuovi. Anche quando le trame paiono meno aggrovigliate e avvincenti, fa premio la socialità degli spaccati, che non lasciano mai indifferente il lettore, spronandolo piuttosto a condividere e approfondire lo sguardo critico. Chi lo conosce sa quanto ci tiene alla toponomastica.
Ogni volta che il suo Charitos monta in macchina, una vecchia Seat piuttosto scassata, state pur certi che l’itinerario da un punto all’altro di Atene vi verrà descritto nei minimi dettagli: questa strada, quella piazza, il vicolo tal dei tali e via dicendo. Un vezzo o forse un lapsus: un sacco di gente continua a sbagliare strada e manco se ne accorge. Brechtianamente parlando, naturalmente, e mica soltanto in Grecia. Quanto ai professori in politica, quelli improvisati, dell’ultim’ora, vogliamo chiamarci fuori proprio noi?

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