Un rapporto di Airbnb, la più grande piattaforma di affitti turistici al mondo, sostiene che nel 2017 a Venezia ci sono stati 73,8 turisti per residente (“Healthy Travel and Healthy Destinations”). Con quel dato, Venezia risulta la capitale mondiale del turismo mordi e fuggi: supera di dieci volte Amsterdam (7,8) e di quindici volte Barcellona (4,7), dove si sta sviluppando un forte movimento di resistenza popolare guidato, a differenza di Venezia, dalla sindaco Ada Colau.
Da noi in laguna, invece, si traccheggia: si contano le persone (per scoprire l’acqua calda) e si mettono i tornelli nei giorni caldi (magari ci vorrà uno studio per confermare che sono proprio quelli indicati dall’Amministrazione), però il sindaco Brugnaro dà il via a migliaia di posti letto turistici anche a Mestre, in zona stazione, e deregola i cambi d’uso per facilitare la metastasi di alberghi ed esercizi turistici.
Del resto, poveretto, non è neppure colpa sua: lo farebbe qualunque altro sindaco al suo posto e l’unica differenza è che lui lo fa convinto e contento, perché nella sua logica di imprenditore “basta che riva i schèi” e “il culturame” non conta nulla. Qualità della vita? “Ma cossa xe”?
In altre parole non sono stati i marziani a portare Venezia allo sfascio attuale con un subdolo disegno attuato per anni con provvedimenti tutti convergenti alla costruzione della monocultura turistica, ma sono stati i veneziani stessi che hanno inizialmente accettato e poi promosso queste scelte: come l’acqua si insinua per ogni dove lungo le linee di minor resistenza, scavando prima rivoli e poi canali, erodendo ogni argine, così il turismo ha pian piano invaso la città, trovando specularmente al suo interno non operai intenti a rinforzare gli argini ma guastatori dediti per interesse ad abbatterli e amministratori che, per dirla così, hanno preferito seguire l’onda piuttosto che contrastarla.
Questo esercito di guastatori interessati, inizialmente piccolo e fisiologico, è stato rinforzato come una quinta colonna dal crescere della domanda turistica, diventando pian piano maggioranza, anche perché la moneta cattiva scaccia quella buona e, come una valanga, il processo si alimenta da sé. La politica tacitamente si è adeguata, divisa tra chi aveva buone intenzioni ma temeva di scontrarsi col crescente potere delle lobby e chi invece vi ha costruito sopra la propria carriera. Brugnaro ha solo impugnato l’ultimo testimone di una lunga staffetta che per anni ha visto correre i migliori “atleti” del Centrosinistra.
Carnevali e baci di Capodanno e Redentore degradato sono il simbolo di questo processo e anche le grandi manifestazioni – Biennale, Campiello – rischiano ormai di diventarlo riducendo Venezia a parco tematico, con un tessuto commerciale sfilacciato e solo dedito al turista, un patrimonio edilizio sempre meno residenziale, costi in ascesa, una qualità della vita compromessa, un crescente degrado civile e direi perfino morale, per il fiume di denaro facile guadagnato senza sudore e senza competenza ma solo sfruttando rendite di posizione.
Il punto è qui. Migliaia di persone vivono, e bene, di questo turismo, centinaia di locali e di ristoranti improvvisati, ma sempre affollati, hanno sostituito i negozi di servizio, e così per i vetri tutto a un euro, le maschere, i guanti, i gelati, le caramelle, la paccottiglia più volgare. Motoscafisti, gondolieri, trasportatori lucrano; i rii sono pieni di “istruttori” di voga veneta, canoa, surf in piedi, per improbabili “cichèti tour” per stranieri. Un’intera economia si regge ormai solo sul turismo, dai grandi investitori alle famiglie.
Quale politica può opporsi a questa tendenza? Quale amministratore può oggi candidarsi a sindaco dicendo: “Ragazzi, trenta milioni di turisti all’anno sono troppi, torniamo, chessò, a quindici!”? Quale sindaco, cioè, può proporre il crack della fabbrica Venezia, distruggendo rendite e migliaia di posti di lavoro? Lo può dire il presidente della Regione, Luca Zaia, perché non è eletto a Venezia, ma Brugnaro attua invece lo spostamento degli attracchi dei lancioni Gran Turismo di Cavallino alle Fondamente Nuove, per portare ancora più turismo in quelle poche aree della città ancora risparmiate, trasformando anch’esse in quel deserto civile che già oggi è il resto di Venezia.
Tempo addietro ho letto sul Gazzettino che Riccardo Calimani propone di commissariare la città, e sono d’accordo: la politica locale e regionale non potrà mai affrontare e risolvere il problema, ma se Venezia verrà commissariata, e non lo credo, sarà solo a prezzo di enormi tensioni sociali, di scontri e di dolori. Io, per parte mia, sto pensando di andare a vivere altrove.

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