Gli ultimi giorni di crisi politica e tutte le ampie problematiche annesse e connesse, di natura squisitamente materiale, sempre chiuse in linguaggio tecnico, capaci di blindare la vita (con ogni probabilità, inevitabilmente) in un disegno che analizza e valuta unicamente la migliore ipotesi del “profitto perfetto”, allontanano da qualsiasi prospettiva di tipo metafisico.
Siamo tutti solo spesa pubblica… avanzo primario… fiscal compact… spread… in condizione di pura sopravvivenza reificata; ogni differente domanda prende forma inammissibile, estranea, quasi fastidiosa.
Il tema della costruzione di un senso alto dell’agire, anche politico, suona irritante, perfino a noi stessi, e impercorribile.
La nostra libertà è soppressa da una realtà illeggibile ai più, condizionata da intimidenti necessità che ci vedono spettatori inermi e, qual che sia il campo di scelta tra le altalenanti promesse ricevute, comunque esclusi.
Merita rileggere alcune osservazioni di Antonio Gramsci (“Quaderni dal carcere”) riguardo a numerose, interessanti e precoci domande sull’Islam e sulla sua differente rivoluzionaria evolubilità rispetto al Cristianesimo, già in allora (secondo Gramsci) contaminato dal consumismo.
È possibile supporre che il Padre del Partito comunista italiano temesse particolarmente e, soprattutto, per le sue negative conseguenze interne allo sviluppo dei rapporti di classe, la deriva di un Cristianesimo che, soffocato dall’angoscia sociale della produttività, potesse perdere il proprio fondamentale orientamento etico egalitario, propriamente dettato dalle parole di Cristo nel cosiddetto “Discorso della montagna”.
Parole che si presentano, al limite dell’utopia, come estremo tentativo di compensare lo stupore angosciato con cui osserviamo la fortuità sempre gravare le nostre vite, con la sua incomprensibile occasionalità, distribuzione pressoché cieca della fortuna/sfortuna; in uno scenario che offre continue immagini di diseguaglianza sociale, economica, esistenziale, il più delle volte determinate dal puro caso e, persino, quand’anche da una inspiegabile ontologica necessità delle differenze.
Queste parole “beati i poveri… gli afflitti …i sofferenti… perché saranno consolati, curati, capiti…” forse agli occhi di Gramsci, nel loro concreto rimbalzo politico, sono risultate come dettate dal Dio per una sfida al Fato, in uno sforzo per dare ordine contrario al Caos, per un invito all’uomo di disegnare sempre Senso, Regola, Speranza.
Un argine, dunque, religioso e importantissimo, se incontaminato, a un Capitalismo da Gramsci temuto come “luogo” della sola competizione, del solo desiderio, del seducente consumo, che di continuo promette, indifferente alle conseguenze della promessa stessa.
Condivisibile o meno, che respiro storico, che intelligenza!
Merita ancora riportare una bella riflessione (per chi scrive particolarmente illuminante e vicina) del filosofo – teologo Raimon Panikkar (spagnolo-indiano) su come
l’adesione a Cristo oggi comporti una sfida esistenziale così alta che, senza una profonda vita interiore,di fatto risulta impossibile; l’esperienza religiosa, continua Panikkar è, dunque, esperimento di partecipazione alla vita del Cosmo.
La tensione verso l’Assoluto, si delinea, in questo pensiero, in tutto il suo affascinante contrasto tra il piano in cui la vita umana si consuma, nell’adempimento delle necessità materiali che la limitano quotidianamente, e quello della libertà assoluta in cui l’ambizione trascendente può condurla, illimitatamente, a svelare il senso nascosto della vita.
Panikkar, possiamo immaginare, oppone una dimensione esistenziale, ispirata a principi solidaristici, praticabile solo se retta da regola interiore, voce morale da interrogare e che interroga, al meccanismo, parallelo e concorrente, del calcolo connesso al profitto; ove la sfida (alta) starebbe nel riuscire a far coincidere le due forme, teoricamente a basso margine di compatibilità, in un incontro che, consentendole entrambe, non determini reciproca esclusione o sopraffazione dell’una sull’altra, ma orienti il Bene comune.
Condivisibile o meno, che profondità, che ampiezza di pensiero!
Per entrambi (Gramsci – Panikkar) Dio come presenza / assenza, ancor più necessaria in una Modernità che sta perdendo ogni orizzonte filosoficamente sensato e che, particolarmente nel caso italiano, sembra soltanto accecata dal problema (pur molto importante) dell’uso di una valuta, piuttosto che essere rivolta alla complessa rideterminazione dell’ampia visione dei propri scopi storici.

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