Tragicommedia italiana, e Macron ci sfila la Libia

A Parigi si è tenuto il vertice voluto dal capo dell'Eliseo per mettere d’accordo le fazioni libiche. E riaffermare l’interesse francese per il paese nordafricano mentre il Belpaese è alle prese con una profonda crisi politica e istituzionale.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Intanto ci ha sfilato la Libia. E il Nord Africa. Mentre l’Italia è dentro la tragicommedia del governo che non c’è, a Parigi è andato in scena il primo atto di un film che per il Belpaese non è a lieto fine. Il regista, tanto per rimanere in metafora, è l’inquilino dell’Eliseo, il set è la Libia. Gli attori non protagonisti sono i quattro capi libici che Emmanuel Macron ha convocato a Parigi per un vertice internazionale sotto egida Onu. Il centro europeo per il Sud del Mediterraneo si è spostato dalla Città eterna alla Ville lumière.

Non è solo lo spread che schizza o i mercati che si ergono a giustizieri. Tre mesi di (post) campagna elettorale hanno dilapidato il tesoretto di credibilità che, sul fronte libico, avevano accumulato i precedenti governi, a guida Renzi e Gentiloni. Questa non è nostalgia politica, ma una realtà di fatto. Che il giovane e ambizioso presidente francese ha evidenziato, affondando i suoi colpi, con finalità che molto hanno a che vedere con gli interessi nazionali francesi (leggi soprattutto Total) in Nord Africa.

Nell’era della post verità, la realtà è sempre più percezione, e ciò che conta è la narrazione. Ciò vale anche per la politica estera, soprattutto nei suoi ricaschi interni. La Libia è un caso paradigmatico.

Khalifa Haftar, Aguila Saleh Issa e Fayez al-Sarraj.

Quattro leader, una conferenza internazionale sotto l’egida dell’Onu, la (lunga) mediazione di Parigi. E una data, il 10 dicembre 2018, in cui i cittadini della Libia saranno chiamati (forse) a nuove elezioni. È l’impegno assunto durante la conferenza di Parigi che si è tenuta all’Eliseo, cui hanno partecipato una ventina di paesi e quattro organizzazioni internazionali.

Protagonisti il premier libico Fayez al-Serraj, il maresciallo Khalifa Haftar, il presidente della Camera dei rappresentanti Aguila Salah, e quello del Consiglio di stato, Khaled al-Meshri, messi attorno a un tavolo da Emmanuel Macron, che è il vero vincitore (diplomatico) del vertice.

Noi ci impegniamo a lavorare in modo costruttivo con l’Onu per organizzare elezioni credibili e pacifiche e a rispettare i risultati delle elezioni.

Così recita l’inizio dell’accordo discusso – e letto a voce alta nel salone dell’Eliseo – dai quattro leader nordafricani. Un obiettivo per cui “non sarà tollerato alcun ostacolo” e gli eventuali responsabili “dovranno renderne conto”.

Concetto ribadito anche da al-Serraj, il premier “riconosciuto” dalla comunità internazionale, che in conferenza stampa ha aggiunto: in Libia “c’è stato già abbastanza sangue”, perciò invitiamo “tutte le parti a rispettare gli impegni assunti a Parigi”.

Ma è proprio di “impegni” – e non di decisioni ufficiali – che si tratta. Il documento discusso all’Eliseo, ha confermato Macron, non è stato firmato dai vari partecipanti al vertice, c’è stata solo un’approvazione informale. Perché? Il presidente francese ha spiegato che:

Primo: alcuni partecipanti hanno chiesto di poter prima condividere la dichiarazione congiunta con i loro referenti sul suolo libico. Il secondo motivo ancora più importante è che qui oggi hanno partecipato esponenti di istituzioni che non si riconoscono reciprocamente,

perciò “meglio avere una dichiarazione” che non una “dichiarazione infirmabile”, ha concluso. Una cosa è certa: Macron ha ancora una volta scavalcato l’Italia. Da quando è stato eletto, infatti, il leader francese ha messo in campo (spesso più a parole che non nei fatti) una strategia per rafforzare l’influenza della Francia sul territorio libico. Anche approfittando dell’assenza – istituzionale e politica – dell’Italia, partner naturale del paese nordafricano. 

Il 26 luglio scorso, poche settimane dopo l’insediamento all’Eliseo, Parigi aveva ospitato lo storico incontro tra al-Serraj e Haftar, l’uomo-forte della Cirenaica, consegnando ai giornali una bozza di accordo – mai firmata dai due – in cui i contraenti annunciavano il cessate il fuoco ed elezioni entro la primavera 2018. Elezioni che non si sono mai verificate.

L’Italia ha subito il colpo ma, senza referenti certi a Roma, la nostra diplomazia è stata costretta  a giocare di rimessa. L’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, in un’intervista a Il Mattino ha stroncato il vertice. “Divisioni e iniziative caotiche potrebbero contribuire al ritorno delle barche della morte”, ha rimarcato Perrone puntando il dito contro la proposta diplomatica francese, che secondo l’ambasciatore potrebbe mettere in discussione la strategia italiana.

Il 2 febbraio 2017 l’Italia ha firmato un Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli che prevede finanziamenti e sostegno del governo italiano al governo al-Serraj per fermare le partenze di migranti dalla Libia verso le coste italiane e la chiusura della rotta del Mediterraneo centrale. Obiettivo in parte raggiunto dall’Italia, che nel 2018 ha registrato una riduzione degli arrivi di migranti del 75 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un aumento della mortalità registrata lungo la rotta del Mediterraneo centrale (3,8 per cento nel 2018: è morto un migrante ogni trentadue partiti). Questa strategia ha fatto sì che ogni tre persone partite dalle coste libiche una sia intercettata e riportata indietro dalla guardia costiera libica, finanziata dall’Italia.

Inoltre i tempi di detenzione dei migranti si sono allungati e tutte le organizzazioni umanitarie presenti nel paese hanno denunciato condizioni inumane e degradanti nella detenzione, tra cui torture, violenze, stupri, esecuzioni sommarie e estorsioni.

Quanto alla Francia, l’obiettivo di Macron è ambizioso: ricucire lo strappo tra le diverse anime della Libia e spianare la strada per le elezioni convocate per il 10 dicembre.

Ma tra il dire e il fare c’è un mare, tempestoso, dove milizie rivali, che non intendono disarmarsi, si contendono il territorio. Il paese resta spaccato in due: la Tripolitania dove comanda – in verità solo in parte – il governo di Serraj e la Cirenaica di Haftar, dove il Parlamento di Tobruk, votato nel giugno 2014, da due anni si rifiuta legittimare Sèrraj.

annota giustamente Roberto Bongiorni su Il Sole24Ore.

Il piano francese, in tredici punti, punta a risolvere problemi molto sensibili. A cominciare dalla sicurezza, con la formazione di quell’esercito libico nazionale che in sette anni non è mai venuto alla luce. Il disarmo delle oltre cento milizie, quasi tutte restie a consegnare i propri arsenali, è il passo più complesso.

Ma lo è anche fondere le milizie di Haftar – la forza più numerosa e meglio equipaggiata che il documento di Parigi sembra legittimare – con le forze governative, e le maggiori milizie, tra cui quella di Misurata, che fino a poco fa hanno fatto la guerra ad Haftar. II fatto che proprio ieri tredici milizie libiche, tra cui alcune tra le più importanti della Libia Occidentale (vicine a Serraj), abbiano sottoscritto un documento che respinge la Conferenza di Parigi non è di buon augurio.
Altro punto fondamentale è quello relativo al governo di accordo nazionale nato dagli accordi di Skhirat, in Marocco, nel dicembre 2015, insediato a Tripoli nel marzo 2016, ma mai riconosciuto da Haftar.

Sul fronte economico, poi, Parigi propone da una parte di unificare la Banca centrale libica, dall’altra di smantellare le altre istituzioni parallele. In un paese spaccato in due, le autorità che controllano la Tripolitania e la Cirenaica hanno da tempo creato due banche centrali “parallele”. La Banca centrale aveva amministrato le rendite petrolifere provvedendo poi a spartirle tra i due “governi”. Ma all’interno dello stesso istituto gli esponenti delle fazioni rivali ne rivendicano da tempo la leadership.

Un altro punto fondamentale riguarda il referendum per l’approvazione della costituzione (ancora in elaborazione). Secondo Parigi potrebbe tenersi «prima o dopo il voto». Ma, come hanno ribadito fonti diplomatiche italiane, l’approvazione della carta dovrebbe precedere il voto. 

Sul governo il documento recita:

La comunità internazionale riafferma la fiducia nelle istituzioni libiche: il Gna, la HoR (il Parlamento di Tobruk), lo Hsc (il Consiglio di Stato di Tripoli, una sorta di senato) e l’Lna (l’Esercito libero nazionale, diretto da Haftar e non riconosciuto dall’Onu).

Macron l’equilibrista prova così ad accontentare tutti, con l’obiettivo di tenere unite le istituzioni politiche libiche. Forse è un azzardo che si scontrerà con ciò che la Libia oggi ancora è: c’è il governo presieduto da Fajez al-Serraj, diviso al proprio interno, poi c’è quello che regge di fatto la Cirenaica, che ha come leader il generale Haftar, C’è l’Isis casa madre, le milizie islamiche, Fajr, i mujaheddin filo-Isis, la Brigata Battar, gli islamici di Ansar al Sharia e gli uomini del Consiglio rivoluzionario.

C’è Ali Qiem Al Garga’i e due emissari di al-Baghdadi, i Fratelli musulmani di Al Sahib, gli ex membri del Gruppo combattente libico pro al Qaeda, una formazione più estrema della Fratellanza.
C’è Omar al Hassi sponsorizzato dalla Turchia, i mujaheddin del Wilayat Trabulus, le milizie di Zintan e una massa di altre duecento organizzazioni oltre le centoquaranta tribù.

Mettere ordine in questo caos (armato) è impresa da far tremare le vene dei polsi, ma chi dovesse riuscirci ha messo le mani sulla miliardaria torta libica, che riguarda non solo lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e il gas ma anche la non meno “appetitosa” ricostruzione.

La situazione militare al 26 marzo 2018. In rosa il territorio sotto controlli di Haftar, in verde sotto il controllo di al-Serraj.

Il vertice di Parigi rappresenta comunque un punto a favore di Macron: perché  vi hanno preso parte  non solo i maggiori rappresentanti delle diverse fazioni libiche, ma anche i paesi stranieri che da tempo stanno esercitando la maggiore influenza sull’ex regno di Gheddafi: da un lato Qatar e Turchia, che hanno sempre sostenuto le formazioni vicine ai Fratelli musulmani presenti in Tripolitania. Dall’altro Egitto ed Emirati Arabi Uniti, alleati di Haftar che lo hanno aiutato nella guerra contro i gruppi islamici.

Il vertice voluto da Macron “è un’iniziativa unilaterale, molto improvvisata, non coordinata con le Nazioni Unite e che non piace neanche agli egiziani”, partner di Parigi in questa partita, ribadiscono all’Adnkronos fonti diplomatiche, lamentando l’ennesima “forzatura” di Macron, che vuole così riaffermare l’interesse francese per la Libia in un’ottica “competitiva” con l’Italia, approfittando tra l’altro dell’assenza di un governo nel nostro paese.

Il fatto è che il mondo va avanti e non solo non aspetta l’Italia ma approfitta anche di un vuoto governativo per affondare i colpi. Rileva con preoccupazione un’autorevole fonte della Farnesina

Vi sono diversi e delicati dossier internazionali aperti decisioni strategiche da assumere, impegni da confermare o da recidere, a partire dalla prosecuzione del sostegno, in addestramento e mezzi, alla Guardia costiera libica.  In Libia – continua la fonte – sono in gioco interessi nazionali di primaria importanza (dal campo petrolifero a quello della sicurezza) e una cosa è certa: altri sono impegnati a coprire i vuoti che rischiamo di lasciare.

La Francia, in primo luogo.

Tragicommedia italiana, e Macron ci sfila la Libia ultima modifica: 2018-05-31T15:24:21+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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