È stato un bene evitare le elezioni a fine luglio. Lo è stato per gli italiani, per l’economia, per la stabilità istituzionale. E per l’opposizione che sarebbe stata travolta da una campagna elettorale fatta di slogan apparentemente risolutivi: fuori o dentro l’Unione europea, sì o no alla flax tax, con o contro l’operato del presidente Mattarella, eccetera.
La fisiologia democratica ha le sue regole. Chi vince le elezioni deve governare. Non serve definire “nuovi barbari” gli avversari. Chi ha perso le elezioni deve vigilare dall’opposizione. Le istituzioni devono reggere l’urto perché la loro funzione non è legata al colore e allo spazio temporale di un singolo governo.
Inoltre, c’è una indubbia attesa per quanto saprà fare il premier Conte con la sua squadra. Lo si è visto venerdì nei pressi del Quirinale e nella manifestazione ai Fori imperiali del 2 giugno: applausi e attestati di fiducia da parte del pubblico. Il malessere sociale dilagante ripone speranze da ultima spiaggia nell’azione di Lega e Movimento Cinque Stelle.
Il governo parte perciò con buona maggioranza parlamentare e larga maggioranza nei sondaggi. E con inevitabili contraddizioni tra sovranisti, iperliberisti, filo Putin e filo Trump, assistenzialisti da reddito di cittadinanza con sottovalutazione delle coperture economiche, europeisti tiepidi ed euroscettici. Per non parlare della questione migranti sulla quale Salvini, neo inquilino del Viminale, annuncia sfracelli: tagli di fondi, rimpatri di massa, guardiacoste armati alle frontiere.
Un banco di prova saranno comunque le prossime nomine negli enti pubblici – a iniziare dal Consiglio di amministrazione della Rai – con le quali Piattaforma Rousseau e Lega possono occupare spazi rilevanti potendo contare sul riflesso dell’assalto al carro dei vincitori.
Altro rinnovo che scotta è quello della Cassa depositi e prestiti per gli interessi pubblici tra cui il futuro di Alitalia.
Nel settore difesa c’è poi la scadenza del capo di stato maggiore generale Claudio Graziano e del segretario generale Carlo Magrassi.
Da rinnovare anche i vertici Gse, l’ente di gestione dei servizi energetici, e Sogei, la società informatica del Ministero dell’economia e delle finanze.
Siamo dunque a un passaggio delicato della democrazia. Cambia quasi tutto nella dialettica politica a cui eravamo abituati. In soli cinque anni i Cinque Stelle hanno dato la scalata al governo e hanno scelto di governare con l’ex antagonista Lega che sprizza antieuropeismo, egoismo sociale, razzismo, poca cultura dei diritti. Questa contraddizione prima o poi potrebbe esplodere ma ora si cercherà di partire da provvedimenti popolari: tagli dei vitalizi, riforma della legge Fornero, ritocco di tasse e pensioni, altolà agli immigrati.
L’opposizione resta nel frattempo attonita mentre il governo prende il largo. Forza Italia riproporrà il centrodestra come alleanza o qualcosa si è spezzato?
La sinistra rimane divisa e non comunicante tra le diverse componenti. Se si fosse andati alle elezioni a fine luglio, il Pd avrebbe forse lanciato l’ipotesi improvvisata di una larga “alleanza repubblicana”, una sorta di moderno “fronte popolare”.
Quelli di Liberi e uguali si sarebbero probabilmente divisi sul che fare. Per fortuna, ora c’è il tempo per pensare e per riorganizzarsi cercando idee nuove e ricomposizioni politiche.
Ma servono una nuova politica, nuove leadership (Renzi & company passeranno la mano?) e serve una nuova alleanza che vada da un polo laico a un polo di sinistra plurale per preparare una alternativa politica. Dalla Spagna ci arriva intanto un messaggio: socialisti [nella foto d’apertura il leader del Psoe e nuovo premier Pedro Sánchez] e Podemos tornano a dialogare dopo aver dimesso insieme il governo Rajoy e pensano addirittura a un programma comune per le prossime elezioni.
Le due sinistre separate e in guerra tra loro non hanno futuro.

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[…] Aldo Garzia, “Le nostre due sinistre e la via spagnola”, ytali.it, 3 giugno […]