In Spagna è avvenuto un repentino cambio politico. Con una votazione parlamentare il governo di minoranza del popolare Mariano Rajoy è stato sfiduciato e al suo posto c’è un nuovo capo del governo, il socialista Pedro Sánchez. Tutto è avvenuto molto velocemente e nessuno, a cominciare da Mariano Rajoy, all’inizio della scorsa settimana avrebbe immaginato che le cose sarebbero potute andare così.
Il meccanismo parlamentare alla base del passaggio è quello della cosiddetta sfiducia costruttiva, che impedisce che venga sfiduciato un capo del governo, e quindi la sua maggioranza, senza avere un’alternativa parlamentare immediata di governo. Non è possibile, quindi, aprire “crisi al buio”, per vedere se si riescono a formare nuovi governi o per forzare il cammino verso un passaggio elettorale.
Quello spagnolo è un sistema parlamentare che assegna al capo del governo diversi strumenti che ne accrescono la forza, sia verso il Parlamento che verso la sua stessa maggioranza. Oltre alla sfiducia costruttiva c’è la possibilità di licenziare i ministri senza dover di nuovo passare dalla fiducia parlamentare per l’esecutivo e il potere di indire le elezioni anticipate. Strumenti che servono a rafforzare la stabilità e l’esecutivo, a partire dalla sua guida – quei temi tanto evocati nel dibattito italiano sulle riforme che sempre ha privilegiato la ricerca di soluzioni nel sistema elettorale più che nelle norme e nei regolamenti parlamentari – e che configurano quello spagnolo come una sorta di premierato temperato. Molto temperato, perché alla fine il Parlamento se ha una maggioranza alternativa, come si è visto, può neutralizzare il premier e insediarne un altro: il presentatore della mozione di sfiducia che i parlamentari, negando la fiducia al vecchio premier, eleggono contestualmente come capo del governo.
È la prima volta che accade nella democrazia spagnola, come molti hanno sottolineato, e non per caso avviene adesso che il sistema democratico spagnolo sta attraversando una crisi moto profonda. Il suo impianto costituzionale, certamente non esente da critiche ma anche troppo aspramente criticato, dispone però di strumenti per accompagnare e gestire momenti di crisi.
Fino a dieci giorni fa, dicevamo, nessuno avrebbe neanche immaginato simili sviluppi. Rajoy si preparava a ricevere il voto favorevole del Partido nacionalista vasco (Pnv), indispensabile per approvare la legge di bilancio, raccogliendo di nuovo i frutti della sua strategia eterna, restare fermo, lontano dal dibattito politico, silente fino all’estremo, attento a non imbarcarsi in nessuno scontro diretto. Pedro Sánchez, il segretario socialista, era invece considerato prossimo alla scomparsa. La sua parabola sembrava conclusa. Una parabola breve ma intensa.
Giovane dirigente madrileno, era diventato segretario come figura di passaggio, messo lì dai baroni di partito che volevano aspettare tempi migliori per prendere la guida e la scena nazionale, nella persona dell’andalusa Susana Díaz. Si era ribellato entrando in rotta con l’apparato. Dopo il fallimento del tentativo di formare un governo e la posizione contraria a favorire il varo di un governo del Pp, nel settembre 2016 venne defenestrato con un colpo di mano nell’esecutivo federale e l’insediamento di un comitato di gestione che ha retto il partito per otto mesi e consentito con l’astensione il varo del governo Rajoy. Dimessosi da parlamentare aveva iniziato una lunga campagna per le primarie, proponendosi come rappresentante della base intenzionata a riprendersi la voce davanti a dirigenze sempre più lontane e autoreferenziali, vincendo di slancio il confronto e riconquistando di prepotenza il Psoe.
Con l’esplodere della crisi catalana aveva perso protagonismo. L’escalation degli opposti nazionalismi dettava l’agenda, attraversando tutta la società spagnola, entrando fin nel cuore del Psoe. I richiami al federalismo socialista delle origini sembravano dimenticati, l’appoggio al governo nella sospensione dell’Autonomia catalana, tramite l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, rappresentava la subalternità del Psoe.
Sánchez si dedicava a consolidare il suo potere nel partito, quasi senza reazione degli avversari, convinti che il prossimo congresso ne avrebbe avuto ragione per sempre. Il segretario socialista era relegato nelle retrovie della scena politica, i commentatori iniziavano a pubblicarne necrologi politici in anticipo. Adesso è il capo del governo spagnolo. Questa è una cronaca della settimana che ha rovesciato il tavolo spagnolo.
Mercoledì 23 la commissione esecutiva del Pnv, annuncia il voto favorevole alla legge di bilancio. La promessa di non appoggiare il governo finché l’articolo 155 sarebbe stato vigente viene così infranta. Una scelta “di responsabilità”, spiega il Pnv, nella convinzione che “la decisione contribuirà in maniera più efficace alla sospensione dell’articolo 155, che non solo riteniamo inevitabile ma anche imminente”. Il portavoce alla Camera, Aitor Esteban, dopo il voto ha uno scambio di sorrisi col ministro delle finanze, Cristóbal Montoro, dagli scranni dei popolari si leva un applauso. In conferenza stampa spiegherà che se non avessero appoggiato il bilancio Rajoy avrebbe convocato elezioni anticipate, portando “in un abisso la politica catalana e spagnola”, con riferimento al vento che soffia nelle vele del nazionalismo centralista del Pp e di Ciudadanos (C’s), già primo partito in Catalogna.
Rajoy ha incassato con sollievo il successo. Sa che una tempesta sta arrivando dai tribunali, la sentenza del caso Gürtel, ma ritiene di essere al sicuro. Il Psoe non sembra essere intenzionato a muovere all’attacco, l’accordo col Pnv sembra solido, il confronto con Ciudadanos, sempre sullo sfondo, avrà i tempi della legislatura e si misurerà nella prossima tornata elettorale. È stato preso tempo, la strategia è quella di sempre per Mariano Rajoy, aspettare.
Giovedì 24 viene resa nota la sentenza del caso Gürtel. È una trama estesissima che ha generato diversi processi. Questo filone disvela una trama corruttiva tesa all’accumulazione di fondi neri. La sentenza è devastante. Il Partido popular viene condannato come responsabile a scopo lucrativo. È la prima volta che viene condannato un partito, non un singolo dirigente o tesoriere. Il tesoriere del periodo sotto accusa, Luis Bárcenas, prende trentatré anni di carcere; il faccendiere Francisco Correa, ideatore della trama, cinquantuno. Con loro dirigenti del Pp madrileno come Alberto López Viejo e l’ex dirigente del partito e poi imprenditore, Pablo Crespo. La moglie di Bárcenas, Rosalía Iglesias, viene condannata a quindici anni ma esce dal carcere pagando ducento mila euro di cauzione. La sentenza scrive nero su bianco che Rajoy ha mentito quando ha deposto durante il procedimento.
Tutti i partiti chiedono conto al Pp della condanna. Ciudadanos minaccia di rompere col governo. Pablo Iglesias, il leader di Podemos – in un momento difficile per l’acquisto, assieme alla compagna Irene Montero, portavoce del gruppo al Congresso, di una villa da seicentomila euro che ha suscitato una rivolta nel partito, messa a tacere col discutibile sistema della convocazione di un referendum della base viola che ha rinnovato la fiducia alla leadership – chiede a Sánchez di presentare una mozione di sfiducia. Il Psoe non risponde ma Sánchez inizia febbrili consultazioni interne. In serata il quotidiano on-line Público svela che il segretario socialista ha deciso di presentarla.
La mattina di venerdì 25 la portavoce del Psoe al Congresso, Margarita Robles, registra la mozione. La commissione esecutiva non si è ancora riunita ma il segretario ha deciso di forzare la mano. Rajoy l’accusa di “opportunismo politico” e tenta di minimizzare la portata della sentenza. Non è certo che il Psoe arrivi fino in fondo, anzi si ritiene che, come altre volte, alla fine la mozione verrà ritirata. Il dibattito fra i socialisti è acceso. Pesa, soprattutto, l’idea dell’appoggio dei nazionalisti catalani e baschi. Si teme siano munizioni per Ciudadanos che guida lo scontro nazionalista nel fronte centralista. Altri spingono, “Adesso o mai più”.
In una conferenza stampa nella sede del Psoe, Sánchez dichiara:
Mi rivolgo ai trecento e cinquanta deputati della Camera, ai quali chiedo che agiscano con responsabilità e generosità per tirar fuori la Spagna dal pantano di corruzione del Pp.
È la prima manifestazione di disponibilità a diventare capo del governo coi voti dei nazionalisti.
La giornata si chiude col leader di Ciudadanos, Albert Rivera, che chiede al Pp di convocare elezioni anticipate. Uno scivolone, dato che i regolamenti non lo permettono nel caso sia stata presentata una mozione di sfiducia. la mozione verrà presentata e votata in aula il giovedì successivo, 31 maggio.
Sabato 26 inizia i socialisti, col numero tre del partito, José Luis Ábalos, sembrano aprire a C’s, proponendo un accordo per convocare le elezioni. Gli arancioni rispondono positivamente e propongono la nomina di un “candidato strumentale”, che non sia Rivera né Sánchez. Tocca a Carmen Calvo specificare che il Psoe non intende andare subito al voto ma intende governare con Sánchez, “impostare un’agenda sociale e di governo e andare al voto in tempi ragionevoli”. Il Psoe, chiarisce la responsabile di uguaglianza del partito, “non ha nessuna intenzione” di fare un patto privilegiato con Ciudadanos.
Nel frattempo il PDECat, il Partito democratico europeo di Catalogna, e il Pnv aprono spiragli alla mozione di sfiducia. Il Pnv pone come condizione esplicita che venga rispettata la legge di bilancio che ha contribuito a approvare, in cambio di numerose concessioni da parte di Madrid.
La domenica trascorre con Sánchez che manda un altro segnale ai partiti che possono appoggiare la mozione annunciando l’intenzione di annullare il veto che il governo Rajoy aveva posto a oltre sessanta proposte di legge presentate.
Lunedì 28 il Pp spara a palle incatenate contro il segretario socialista. Mentre Rivera annuncia la rottura col Pp che aveva promesso il giorno della sentenza. Ma si rivolge ancora a Rajoy, chiedendogli di patteggiare la fine della legislatura e convocare elezioni, altrimenti si accorderà coi socialisti per la mozione. Si riunisce il comitato federale del Psoe, massimo organo decisionale tra i congressi, che delibera totale appoggio al segretario nella presentazione della mozione, “a patto che non ci siano accordi né concessioni agli indipendentisti” in cambio del loro voto.
Martedì 29 i contatti tra i partiti sono febbrili. Podemos e Compromís, la coalizione di sinistra valenziana, sono già della partita. Tocca a Esquerra republicana de Catalunya (Erc) rompere gli indugi. Il Pnv nicchia, aspetta di capire cosa succede con gli altri partiti nazionalisti catalani. E la mossa arriva con la decisione del nuovo presidente catalano, Quim Torra, di nominare quattro consiglieri (“ministri” del governo autonomico) senza carichi pendenti con la giustizia. È il segnale che gli indipendentisti catalani scelgono di bloccare lo scontro con Madrid, costituendo i presupposti per interrompere l’applicazione del 155. Per mano di un altro governo, naturalmente.
Mercoledì 30 arriva anche il sì del PDECat. Iglesias e Sánchez hanno intensi incontri con i nazionalisti baschi. La richiesta del Pnv è che Sánchez dica esplicitamente nel discorso di presentazione della mozione che manterrà la legge di bilancio così com’è. La decisione avverrà solo dopo il discorso di Sánchez, previsto per il giorno seguente.
Giovedì 31 la mozione arriva in aula. Intervengono Rajoy e di Sánchez. Il capo del governo accusa il socialista di smodata ambizione, glissa sulla corruzione del Pp ed evoca quella dei socialisti, dedicandosi soprattutto a distruggere la figura del segretario socialista, accusato di arrivismo, strumentalità, mancanza di progetto per il paese. Un intervento debole, al quale manca l’asso che molti si immaginavano Rajoy avrebbe tirato fuori dalla manica.
Quando è il suo turno Sánchez fa appello a tutti i deputati per farla finita con la corruzione del Pp e dice quel che il Pnv voleva sentire: la legge di bilancio non verrà toccata. A questo punto i riflettori sono tutti sul portavoce del Pnv, che interverrà nel pomeriggio. La sessione riprende senza Mariano Rajoy. Nessuno sa dove sia e le ipotesi si accavallano. Iniziano gli interventi e poco prima delle cinque è il turno di Aitor Esteban. Parla diversi minuti, elenca i motivi per cui la decisione per il Pnv è difficile, affronta i temi che un nuovo governo dovrebbe affrontare e ne sottolinea le debolezze e le grandi difficoltà che si troverebbe davanti. Per, solo alla fine, annunciare il sì alla mozione di sfiducia.
La sentenza ha definito un prima e un dopo e chi non lo intende non capisce cosa sta succedendo nella società.
Per questo una decisione “etica, politica, per la responsabilità che ci spetta”. Il Psoe ha i voti per cacciare Mariano Rajoy che potrebbe anticipare i tempi dimettendosi. Ma nessuno sa dove sia.
Le voci continuano a moltiplicarsi. Alcuni giornalisti assicurano che sia alla Moncloa, la sede del governo, pronto alle dimissioni. Ma giunge la smentita della ministra della difesa Dolores de Cospedal: Rajoy non ha intenzione di dimettersi. A un certo punto si scopre che si è rifugiato in un ristorante non lontano dal Congresso. Una decisione criticata come segnale di disprezzo verso il Parlamento. Dalla tv, alle cinque del pomeriggio, apprende che, col Pnv favorevole, il Psoe ha i voti per cacciarlo. Resterà in tutto per oltre otto ore nel ristorante, fino a oltre le dieci di sera, dove sfileranno membri del governo e politici della sua cerchia più ristretta.
Venerdì primo giugno è il giorno del voto. Rajoy interviene nel suo ultimo discorso dalla tribuna del capo del governo. Evita gli attacchi agli avversari, fa un discorso dimesso e in un certo senso elegante – è toccato al portavoce, Rafael Hernando, insultare il segretario socialista, annunciare sciagure per il paese, evocare l’Eta e minacciare gli indipendentisti, i giudici e tutti i partiti, a cominciare dal “traditore” Rivera. Rajoy invece esprime
l’onore di esser stato presidente del governo e l’onore di aver lasciato una Spagna migliore di quella che ho trovato.
Rivendica di aver compiuto “il mandato politico di migliorare la vita degli spagnoli”. Accoglie la sconfitta come parte del gioco democratico, pur non condividendo la forma in cui è avvenuta. E conclude augurando “buona fortuna a tutti loro, per il bene della Spagna”.
Pedro Sánchez, l’uomo del quale si contavano le settimane prima della morte politica, è il nuovo capo del governo. Ha ottenuto centottanta voti, più di quelli con cui Rajoy venne eletto – Psoe, Unidos Podemos, Erc, Pnv, PDECat, Compromís, EH-Bildu e Nueva Canarias; cento e sessantanove contro – Pp, Ciudadanos, Upn y Foro (formazioni della Navarra) – e l’astensione di Coalición Canaria.
La Spagna volta pagina ma il futuro prossimo è ancora pieno di incognite.

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