Il governo del cambiamento? A Madrid

Molte donne, un’idea forte della pluralità che costituisce la nazione spagnola, un deciso europeismo e un forte ruolo pubblico per affrontare la questione sociale. Il nuovo esecutivo guidato da Pedro Sánchez
ETTORE SINISCALCHI
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l trionfo di Pedro Sánchez lo mette alla guida di un momento estremamente complicato ma apre per la Spagna una situazione completamente diversa da quella in cui il paese stagnava da tempo. La lista dei ministri del nuovo governo rispecchia la complessità del momento e dà un’idea di come il leader socialista intende affrontare il difficile compito.

Il voto di sfiducia ha sancito la separazione dei destini di due leader che, in fondo, avevano un’origine comune. Mariano Rajoy venne indicato a dito da José María Aznar e così avvenne per il socialista Pedro Sánchez, quando Susana Díaz lo scelse come parentesi in attesa della sua presa del potere nel partito. Entrambi, in questo, rappresentano la crisi di partiti che non riescono più a formare classi dirigenti, praticando prevalentemente la cooptazione. Rajoy è assegnato agli archivi della memoria, Sánchez è invece riuscito a fare uno scatto impensabile. Ma adesso?

Il nuovo capo del governo si trova ad affrontare un compito difficilissimo. I rapporti di forza parlamentari sono gli stessi, il Psoe controlla solo un quarto della Camera, presidenza, vice presidenza e tutti gli organi del Congresso restano quelli formati con l’accordo tra Pp e Ciudadanos. Inoltre, il Senato è saldamente nelle mani del Pp, la cui opposizione, anche per lo scatenarsi delle rese dei conti interne, si prevede durissima. Molto dipenderà dalla volontà di collaborazione degli altri partiti, e dalla capacità del capo del governo di stimolarla. Ma è anche vero che tenere le redini del governo dà ampi margini di manovra, che i governi di minoranza non sono un inedito e che la volontà di dialogo come metodo del leader socialista apre ai partiti strade che coi popolari erano chiuse. 

 

Sánchez ha davanti a sé un periodo breve, due anni al massimo, fino alla fine della legislatura. Il primo compito è stato la formazione del governo, oggi il primo Consiglio dei ministri, pochissimo tempo per farlo. Ma non è quello il terreno sul quale misurare la capacità di costruire rapporti solidi con le altre forze politiche. Il governo è infatti un monocolore socialista aperto a qualche indipendente di prestigio. Saranno invece le nomine del governo negli organi costituzionali (Tribunale Costituzionale e Consejo General del Poder Judicial) e non costituzionali (come la radiotelevisione pubblica Rtve, il cui Cda deve essere rinnovato) a segnare l’apertura del Psoe alle altre forze, a consolidare l’appoggio al governo. 

Sánchez ha tenuto un basso profilo. Dopo la nomina è scomparso dalla scena. Il debutto nell’incarico è avvenuto lunedì con la visita del presidente ucraino, Petro Poroshenko. Non c’è stata una conferenza stampa, consueta nelle visite internazionali di questo livello. L’attitudine ha corrisposto alla volontà di tener conto della singolarità della sua ascesa al potere, non attraverso un mandato elettorale, e alla particolare condizione, con pochissimo tempo per formare il governo.

Vediamo la lista dei ministri, per capire i temi che verranno affrontati dal nuovo esecutivo. Intanto, spicca evidente un segno inedito, la grande maggioranza di donne, undici rispetto a sei uomini, e le importanti caselle loro assegnate.

Josep Borrell, 71 anni, è il nuovo ministro degli esteri. Ex presidente dell’Europarlamento è uno dei pochi grandi vecchi del Psoe ad aver appoggiato Sánchez mentre il resto dei baroni lo attaccava per il suo no al governo Rajoy. Del resto anche Borrell è stato un segretario “anti apparato” ai suoi tempi, anche se andò malissimo. Dopo essere stato ministro in due governi di Felipe González (economia e lavori pubblici) è stato alfiere del rinnovamento del partito. Contro il candidato di González vinse le primarie nel ’98, per poi dimettersi per uno scandalo che coinvolse un suo collaboratore – che in giudizio fu assolto. 

Borrell è una carta su almeno due fronti fondamentali della sua azione. Il primo è l’Europa, della cui necessità e unità Borrell è sempre stato un alfiere. Conosciuto e stimato a Bruxelles rappresenta il sicuro ancoraggio della Spagna al disegno unitario e alla collocazione strategica della Spagna. 

Il secondo fronte è la Catalogna. Borrell è catalano ma ha criticato aspramente i partiti che hanno messo in scena l’indipendenza. È stato nelle manifestazioni della Società civile catalana, spesso strumentalizzate dalle destre, e per questo è stato fortemente criticato da sinistra. Rassicura i catalani non indipendentisti, che votavano socialista e sono andati a Ciudadanos, che si sentono esclusi dalla deriva nazionalista. 

Carmen Calvo è ministra dell’uguaglianza (da noi pari opportunità), dicastero recuperato e separato da quello della sanità e affari sociali, oltre che vicepresidente unica del governo. Calvo fu ministra della cultura nel primo governo Zapatero. Andalusa, femminista molto impegnata, appassionata di heavy metal, ha un carattere che non si risparmia le polemiche e neanche dichiarazioni discutibili e gaffe. Non è molto amata ma ha esperienza ed è stata una delle figure pesanti dell’ultimo Psoe sempre vicine a Sánchez. 

María Jesús Montero, 52 anni, sarà la ministra delle finanze. Medico, finora assessore alle finanze e alla pubblica amministrazione nella giunta andalusa – guidata dalla “nemica” di Sánchez, Susana Díaz – e prima agli affari sociali e al welfare, proviene dalle file della Gioventù comunista. Ha già iniziato a incrociare le lame col ministro uscente, l’anche lui andaluso Cristóbal Montoro.

Inaspettata è stata la nomina dell’indipendente Nadia Calviño a ministra dell’economía. Nata a A Coruña nel 1968, già giovanissima, negli anni ’90, lavorò nel ministero che ora guida. Lascia l’incarico di direttrice del Bilancio dell’Unione europea. Figlia di una figura storica del socialismo spagnolo, José María Calviño che diresse RTVE con Felipe González, è economista e avvocato e ha insegnato all’Università Complutense de Madrid. La sua internazionalmente riconosciuta e indiscutibile autorevolezza sarà centrale nei negoziati con Bruxelles, a partire da quello sulla stabilità di bilancio. È una delle caselle più importanti del governo.

Teresa Ribera, nata nel 1969 a Madrid, guiderà il ministero dell’energia, cambiamento climatico e ambiente. È giurista, docente universitaria e dal 2014 ha diretto l’Istituto di sviluppo sostenibile e relazioni internazionali di Parigi. È stata sottosegretaria con José Luis Rodríguez Zapatero e ha strettamente collaborato con Sánchez nella preparazione del programma per le politiche, nella parte che attiene ai nuovi modelli di produzione industriale sostenibile e alle questioni energetiche.

José Luis Ábalos, valenziano di 58 anni, sarà il nuovo ministro dello Sviluppo. Insegnante, deputato dal 2009, sempre vicino a Sánchez, ha guidato il Psoe valenziano nella costruzione del patto con le nuove formazioni di sinistra che ha conquistato una regione da sempre feudo delle destre. Esprime la capacità del Psoe di fare alleanze di governo con le sinistre e incarna il partito di Sánchez, di cui è segretario organizzativo.

Meritxell Batet, catalana di 45 anni, sarà la ministra delle Amministrazioni territoriali e della politica autonomica, in prima linea nella ricomposizione del conflitto catalano, a cominciare dal tema finanziario. Molto vicina al segretario dei socialisti catalani, Miquel Iceta, alle primarie appoggiò il basco Patxi López. Una federalista agli Affari territoriali, il contraltare della figura di Borrell nella gestione della vicenda catalana e il volto capace di rappresentare la nuova espressione dello storico caposaldo federalista del Psoe.

Carmen Montón, valenziana di 43 anni, sarà la ministra della sanità, consumo e benessere sociale. Lascia la guida dell’assessorato alla sanità della Comunità valenziana, dal quale ha compiuto una profonda riforma del sistema sanitario locale, ripubblicizzando le strutture e il sistema delle prestazioni che il governo delle destre aveva affidato ai privati. Un lavoro che continuerà dal ministero, rafforzando la sanità pubblica e contrastando i processi di privatizzazione che molte Autonomie portano avanti, agendo le proprie competenze in un quadro i cui obiettivi sono però dettati dal governo nazionale.

Dolores Delgado, alla giustizia, è un’altra indipendente di spessore. Per 25 anni pubblico ministero dell’Audiencia nacional è stata in prima linea nella lotta al narcotraffico e al terrorismo islamico e ha partecipato a diversi casi internazionali, come membro del Tribunale penale internazionale, per i crimini contro il diritto internazionale e i diritti umani, nei giudizi ai generali della dittatura argentina, come legale delle parti civili, fino al caso Pinochet, raggiunto nel ’98 a Londra da un mandato di cattura internazionale emesso da Baltasar Garzón. Militante della corrente progressista della magistratura, e amica personale di Garzón, ha aspramente criticato la gestione giudiziaria della sfida indipendentista catalana, in particolare le carcerazioni facili dei rappresentanti eletti. Rappresenta un’evidente inversione di marcia rispetto alla giudizializzazione della questione catalana promossa dal governo Rajoy.

Margarita Robles, alla Difesa, a soli 61 anni vanta esperienza e traiettoria eccezionali. Fu la quarta donna a entrare in magistratura a soli 25 anni, prima davanti a tutti in quell’infornata che nel 1981 rappresentò la nuova magistratura della democrazia, con figure come Baltasar Garzón e Manuela Carmena, l’attuale sindaca di Madrid. Nel ’91 fu la prima donna a guidare un Tribunale provinciale, l’Audiencia provincial di Barcellona, e dal suo scranno difese dagli attacchi di politica e stampa le inchieste che avrebbero poi disvelato il primo scandalo di Jordi Pujol, quello della Banca catalana. Fu segretaria di stato agli interni e giustizia nel governo di Felipe González tra il 1995 e il ’96, con Juan Alberto Belloch come ministro dell’interno. Le toccò un compito difficilissimo, intervenire sulle strutture occulte che si annidavano nell’apparato dello stato. Cancellò i meccanismi che avevano finanziato la guerra sporca all’Eta, 28 morti per mano del Gal (Grupos Antiterroristas de Liberación), e stimolò l’inchiesta sulla sparizione di due militanti baschi per il cui assassinio venne infine condannato il generale della Guardia Civil, Enrique Rodríguez Galindo. 

Fernando Grande-Marlaska, 55 anni, al ministero dell’interno, rappresenta forse la nomina più sorprendente. È un magistrato conservatore, membro del Csm spagnolo in quota Partido popular, che è stato per anni in prima fila nella lotta all’Eta. È stato spesso discusso, dalle file stesse della magistratura, per la sua durezza e per aver fatto archiviare circostanziate denunce di tortura. È, in questo, il contraltare di Robles. Ma la figura di Marlaska non è limitabile allo stereotipo del giudice conservatore spagnolo. Seppur sposato non ha nascosto la sua omosessualità, raccontando l’esclusione e le umiliazioni patite dalla famiglia, ed è impegnato pubblicamente per i diritti Lgbt. Una nomina da inserire nella gestione della fase finale dell’Eta, dopo la restituzione degli arsenali e il recente scioglimento, in grado di coprire verso settori più punitivi e reazionari le necessarie misure che dovranno accompagnare la gestione del processo, dall’avvicinamento dei carcerati in zone lontane dal Paese basco alle altre iniziative di “pacificazione” che saranno necessarie.

Isabel Celaá, la nuova ministra dell’educazione, di 69 anni, è un’altra figura strettamente legata a Patxi López col quale, quando era presidente dell’Autonomia basca, ricopriva lo stesso dicastero nel governo regionale. Laureata in filologia inglese, filosofia e diritto, è straordinariamente competente sul tema dell’educazione, coordinando le politiche del Psoe in materia per anni. Ha sempre difeso e lavorato per un sistema educativo pubblico di qualità e si è costruita una fama di dura ma dialogante nelle relazioni coi sindacati. Il suo grande compito sarò affrontare la Ley Orgánica para la Mejora de la Calidad Educativa (Lomce), imposta a maggioranza dal Pp e dall’allora ministro José Ignacio Wert – uno che durante le manifestazioni anti indipendentiste dimostrava il suo patriottismo democratico cantando l’inno della Legione. Sánchez non intende fare l’ennesima riforma di sistema, che sarebbe l’ottava della democrazia, ma derogarne alcune parti, le più discusse di quelle che restano dopo che molte si sono perse per strada e altre sono state bocciate dalla Corte costituzionale 

Magdalena Valerio, di 59 anni, è ministra del lavoro, delle migrazioni e della previdenza sociale. Altro dicastero chiave del governo, altra donna con un compito molto impegnativo. La questione sociale, le norme sul lavoro, la questione salariale, le politiche abitative, sono stati i temi dell’opposizione parlamentare del Psoe di Sánchez. Lunga la lista di compiti che il dicastero affronterà. Le modifiche alla riforma del mercato del lavoro del governo Rajoy; il contrasto alla povertà – Sánchez istituirà anche una Commissione sulla povertà infantile da lui diretta, la Spagna è il terzo paese Ue coi numeri più alti; la modifica delle leggi che regolano il mercato degli affitti, le politiche contro la speculazione immobiliare e la costruzione di un nuovo piano di edilizia pubblica; il miglioramento e il varo di strumenti di riduzione delle diseguaglianze e di inclusione, tra i quali l’aumento del salario minimo e l’istituzione di una rendita di garanzia. Messi insieme sono i capitoli di un programma sociale di governo che applica contundenti politiche socialdemocratiche contro la crisi e le diseguaglianze. Una visione politica la cui gestione è affidata a una ministra politica – già nel partito la responsabile della Segreteria esecutiva della previdenza sociale e del Patto di Toledo (dal nome dell’accordo del 1995 tra governo e sindacati che impegnava alla stabilità del sistema pensionistico). 

Luis Planas, andaluso di 66 anni, è un ministro dell’agricoltura con solida esperienza e una profonda conoscenza delle dinamiche europee internazionali europea in materie agricole e alimentari e della politica agraria comune (Pac). Ha iniziato come assessore all’agricoltura in Andalusia con Manuel Chavez (storico barone del Psoe) e col successore, José Antonio Griñán. È stato capo di gabinetto sia di Manuel Marín che di Pedro Solbes durante i mandati di commissari europei, è stato ambasciatore in Marocco e poi all’Unione europea ed era, ha presentato le dimissioni per diventare ministro, segretario del Comitato economico e sociale Europeo, un organo dell’Ue. Esperienze che potrà dedicare alla cura degli interessi agricoli della Spagna in Europa e nel Mediterraneo.

Pedro Duque, 55 anni, indipendente, astronauta, è il ministro della scienza, innovazione e università. È una figura popolarissima in Spagna, un Samantha Cristoforetti diventato personaggio pubblico da anni, e si dovrà occupare di rimettere in piedi il comparto della ricerca spagnola, falcidiato da tagli continui e da cattiva gestione che ha occasionato anche qualche inchiesta. Non inganni, non è solo un personaggio celebre. Ha lavorato con la Nasa e l’Esa, è stato direttore e Ceo di un’impresa che si occupa dello sfruttamento dei dati satellitari di osservazione terrestre, conosce a fondo il mondo della ricerca e ne ha dibattuto, e criticato, le politiche pubbliche. In quel settore che gli spagnoli chiamano I+D+i (Investigación, desarrollo e innovació, cioè Investigazione, sviluppo e innovazione). Rappresenterà anche alla perfezione lo stile moderno e indipendente del governo Sánchez. 

 Reyes Maroto, 45 anni, è la ministra di industria, commercio e turismo. È economista – professore associato del dipartimento di Economia della Università Carlo III di Madrid, dove è anche all’Istituto di Studi di genere – e politica – deputata e presidente della commissione bilancio all’Assemblea di Madrid. La terza donna a detenere portafogli economici chiave nel governo Sánchez è una esperta di leggi di bilancio e grande negoziatrice, essendo riuscita a concludere negli anni accordi con Il Pp, con Podemos e Ciudadanos. Forse misurerà queste capacità nella difficile navigazione della ricerca degli appoggi per la legge di Bilancio. Posto che Sánchez ha detto che non modificherà quella approvata dal governo Rajoy.

Chiude la lista dei ministri Màxim Huerta, valenziano di 46 anni, alla cultura. È il più “televisivo” dei ministri del governo Sánchez. È uno scrittore, sette titoli all’attivo, attivista Lgbt, ha lavorato anni a un programma pomeridiano di grande successo su Tele Cinco. Nella sua agenda, temi come la proprietà intellettuale, la legge sul mecenatismo, dialogare coi ministeri competenti per ottenere le riforme fiscali necessarie. È un’incognita. È il volto più conosciuto del governo ma è anche quello percepito come più debole.

Una lista dei ministri che dosa molti elementi. Prossimità a alcuni vecchi equilibri e innesti innovatori, capacità di fare accordi con altre forze politiche, rappresentanze territoriali – nel Psoe e nel paese – evocazione di cambiamento e figure garanzia per chi resiste alle innovazioni. Tante donne, molto competenti, in dicasteri chiave. Pochi ministri politici, che rappresentano lo stato delle alleanze attuali dietro al segretario. Indipendenti di livello, con un occhio al glamour. Temi chiari nel piatto, la ricomposizione politica del conflitto catalano, la lotta alla crisi, il cambiamento. Su alcune assi definite e chiare. Europa. Si tratta per cambiare in Europa, coi meccanismi europei. Un programma socialdemocratico, improntato allo sviluppo del welfare, che aggiunge quindi un posto al tavolo dei paesi che vogliono, quantomeno, aumentare la soglia di spesa esclusa dal patto di stabilità. In Europa la nuova guida spagnola cambia molto. La Germania perde un alleato sicuro, Gentiloni e Padoan rimpiangeranno di non aver avuto questo scenario. Chissà se Paolo Savona, nuovo ministro agli affari europei, ci vedrà qualcosa di interessante.

Il cambiamento è il primo segno identificativo del governo. Se la navigazione parlamentare andrà avanti, la rotta sarà pensare l’apertura di un tavolo per le riforme, istituzionali e territoriali. Non nell’immediato, dedicato alla necessaria e urgente necessità di ricondurre il conflitto catalano alla politica, ma, magari, col governo che uscirà dal prossimo voto. Che Sánchez potrebbe portare al giudizio di un prossimo voto come governo per le riforme. 

Nel giorno del varo del governo italiano guidato dal professor Conte, il senso del nuovo esecutivo spagnolo, per come era fino a quel momento conosciuto, è stato così riassunto, come meglio e più brevemente non si potrebbe, dall’ex direttore de La Vanguardia, Enric Juliana:

Una vicepresidente col titolo di uguaglianza. Un giacobino europeista agli esteri; una direttrice generale dell’Ue all’economia; una federalista catalana per negoziare con la Generalitat; una “controller” andalusa alle finanze… e un messaggio a Bruxelles: La Spagna non è l’Italia.

articolo aggiornato h 11.20, 8 giugno 2018

Il governo del cambiamento? A Madrid ultima modifica: 2018-06-06T08:52:20+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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