Non c’è molta “armonia”, né tra gli uomini, né tra questi e la natura, nel romanzo di Pier Francesco Ghetti. Un autore dal ricco curriculum accademico e titolare di un’ampia attività di studio e ricerca sui temi connessi all’ecologia, che per la prima volta si cimenta con la scrittura di un’opera di narrativa. E lo fa scegliendo un campo non semplice, la letteratura gialla, dove il ritmo e la trama non lasciano spazio a tentennamenti dovendo tenere il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Un campo in cui la concorrenza, soprattutto negli ultimi anni, è serrata e per cui, se stiamo alle parole di Willard Huntington Wright, meglio noto come S. S. Van Dine, valgono delle regole precise
Erano gli anni Venti del secolo scorso quando il creatore di Philo Vance le stendeva, codificando le modalità di scrittura di molti romanzi di genere dell’epoca, arrivati fino a noi come dei classici.
Nel giallo di oggi non tutte vengono rispettate, ma, se vogliamo seguire i consigli di un’autrice contemporanea di best seller come la svedese Camilla Lackberg, gli aspetti su cui uno scrittore di questa tipologia di opere dovrebbe concentrarsi sono, tra gli altri: un assortimento di personaggi interessanti, ciascuno con una propria voce, e un’ambientazione nota, da descrivere facendo ricorso a tutti e cinque i sensi. E qui Ghetti fa centro.
Con “Delitti in Armonia”, uscito per i tipi della casa editrice veneziana el squero un paio di mesi fa, l’autore dà alle stampe un libro godibile e originale, nel quale, traspaiono passioni, interessi e competenze frutto del lavoro e dell’impegno di una vita.
Le descrizioni degli ambienti, degli animali e degli eventi atmosferici ci parlano infatti della ricerca, non solo possibile, ma oggi sempre più necessaria, di un equilibrio tra uomo e natura, una natura che nelle sue più diverse manifestazioni è forse la principale protagonista del romanzo.
Un tipico paesaggio lagunare, con casoni e valli da pesca, è poi lo sfondo in cui si muove un insieme variegato di personaggi che, in un carosello incalzante di eventi imprevedibili, raccontano le tante differenze dell’animo umano. Il barone filantropo e un gruppo di “saggi” variamente composto si accompagnano alla concretezza del fattore Bepi Sgorlon e di sua moglie Ada, alla saggezza di Bruma che capisce la natura e parla solo per proverbi e massime legate alla saggezza contadina, alla solida ruvidezza di Nane il pescatore, all’impegno del maresciallo Cacace e del giovane carabiniere Alvise Vianello.
Ad essi si contrappongono personaggi senza scrupoli, ciascuno con i propri obiettivi: da un’ambiguo monsignore napoletano ad una setta indiana, da un generale portoghese ad un avido farabutto che si cela sotto molte identità, ma che risulterà meno furbo di quanto lui stesso si credeva. Tutto osserva e tutto sembra capire, infine, un gatto nero…
Siamo nel 1970, periodo storico in cui forti sono le spinte per la diffusione di principi di pace e ampie le azioni per l’affermazione dei diritti civili e della libertà di religione. Un progetto ambizioso, volto alla ricerca del bene comune, si scontra però con gli interessi di una società segreta, dal nome rassicurante, ma che nulla ha da invidiare alla Spectre nata dalla penna di Jan Fleming. L’oggetto del contendere sono delle antiche pergamene provenienti dall’Oriente, che, mentre i popoli continuano a scatenare guerre di religione, con il loro contenuto potrebbero far capire la natura unitaria e non conflittuale delle diverse fedi.
Furti, truffe e omicidi, con le “armi” più diverse e “naturali”, sembrano non avere fine. L’interesse a nascondere il loro segreto trova forza negli interessi di alcuni, nei pregiudizi di altri che hanno radici lontane e nei condizionamenti che, spesso, anche coloro che lavorano appunto per il bene comune della società subiscono. Per contro ci sono quanti, persone semplici, portano avanti le loro convizioni rispetto a ciò che è giusto, robusti e immobili come tronchi d’albero.
Trovare il vero colpevole in questo ginepraio costituisce un’impresa ardua, ma anche questa volta, pur mettendoci lo zampino, la colpa non è della natura matrigna ma di quello che viene definito homo sapiens.

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