“Assoli”, riunisce due componimenti che è difficile definire secondo i canoni classici della letteratura. Ermanno Fugagnoli che di “Assoli” è l’autore, li chiama racconti ed è forse perché, essendo musicista, li ha concepiti come narrazione musicale, cioè come racconti di una trama generata dal ritmo contrappuntistico.
Il protagonista di “Afa, una fuga per voce sola”, è un ricco conte veneziano che parla con un ascoltatore seduto silenzioso davanti a lui. La narrazione, pertanto, si sviluppa nella forma di dialogo, come “Il ventre della suocera”, il secondo componimento del libro, dove il protagonista riconoscibile come “marito della Giulietta”, parla a qualcuno che non fa parte della storia e potrebbe essere semplicemente il lettore.
Nel caso di “Afa, una fuga per voce sola”, l’identità del silenzioso ascoltatore viene rivelata solo alla fine, e si tratta di un intelligente artificio che svolge la funzione di confermare la personalità del conte. Insomma, l’interlocutore è una funzione necessaria di una struttura congegnata per diventare una trama nella quale il protagonista aristocratico coinvolge altri personaggi come il fratello Gregorio, la di lui moglie Carla e i quattro figli, e insieme la servitù che si esaurisce con la citazione dei nomi di Clelia e Giovanni, due vecchi servi che per una vicenda poco chiara vengono ricattati e ridotti a una semi schiavitù dalla quale non si ribellano.
Ma ad eccezione dell’ascoltatore, nessuno di loro appare sulla scena a stabilire un qualche dialogo diretto con il conte o a costruire una trama in cui lui, il protagonista, è l’unico a decidere il tema del “dialogo” con chi gli siede silenzioso davanti. Ci sono, insomma, elementi sufficienti per poter affermare che quelli che entrano nella narrazione e passano davanti al conte, sono i fantasmi della solitudine. E perciò l’interlocutore muto, o il fratello con moglie e figli che gli piomba in casa alterandogli i programmi e la servitù che, per avere dei nomi, potrebbero anche essere dei personaggi, possono perfettamente essere assimilati a tutti i temi che in qualche modo confermano la condizione del conte e la qualità della sua esistenza. La suddivisione del testo in paragrafi segue l’andamento di un percorso musicale in cui l’autore pone pause, conclude o avvia un altro motivo che accenna o anche interrompe bruscamente.
Ad ogni paragrafo entra in scena qualche personaggio/tema che amplia la dimensione della vita e nello stesso tempo della solitudine del personaggio che su di essa argomenta: il suicidio, la mercedes, la famiglia, i figli, la servitù l’abitudine, Vicenza, Conegliano e il Veneto con Venezia e i turisti, e il patrimonio familiare con i genitori morti e il fratello che ha bruciato l’eredità e sua moglie che è una sanguisuga e l’abitudine e i due quadri di Tiziano e Bacon che il conte ha in casa e scandiscono un andirivieni in solitudine da lui inteso come un paradiso. In realtà anche il mondo che i due artisti sembrano suggerire è una finzione, come tutto il resto, giacché “Ritratto di nobiluomo” di Tiziano e “L’uomo seduto” di Bacon, che fanno bella mostra nel palazzo ereditato dai genitori e che dovrebbero indicare un andare in godimento del conte dall’una all’altra figura, non sono altro che due facce di una solitudine che vive di se stessa. Ma proprio per questo essere una finzione, la narrazione riesce a mettere in rilievo come la parola sia capace di creare da sola lo spessore di una storia.
È questa la dimensione nella quale ci trascina Ermanno Fugagnoli, ricorrendo al sarcasmo, al rancore represso o alla tristezza del rimpianto o alla gioia dell’evasione, ma sempre usando un espediente che risuona – ma non suona – che fa capolino qua e là con espressioni e locuzioni ripetute ritmicamente come fossero momenti di un andare musicale: “un milione”, “diversificare”, “interdizione”, “ognuno per la propria strada” e soprattutto “disse il conte” che chiude ognuno dei 52 paragrafi – avevo pensato al ciclo azteca di 52 anni che rappresenta un’era, ma non c’è alcun rapporto – di un suggestivo viaggio nella solitudine narrato da uno scrittore, Ermanno Fugagnoli, appunto, che usa la parola pensandola con il ritmo della musica, una parola con cui costruisce la narrazione avendo in testa la fuga, l’assolo, cioè immettendosi in un percorso definito dalle regole della composizione musicale.
E se è vero che la letteratura, come le altre forme creative, ha la capacità di dilatare il tempo e lo spazio, queste due narrazioni che Ermanno Fugagnoli propone con “Assoli” hanno la forza necessaria per portare il lettore nella profondità di una solitudine dove si affolla una variopinta e drammatica popolazione di fantasmi, abitanti di una dimensione della mente e della parola che riesce a costruirla.
Di questa “popolazione” si occupa l’assolo, il quale, come lo stesso Fugagnoli spiega nella prefazione, non può esistere guardandosi allo specchio, ma all’interno di una situazione musicale nella quale è almeno necessario supporre il contrappunto che, se non appare compositivamente, obbliga comunque la composizione a piegarsi alle sue esigenze.
“Afa, una fuga per voce sola”, è costruita con una narrazione che ricorre ad una notevole ricchezza di linguaggio che si nota soprattutto nella capacità dell’autore di proporre variazioni descrittive e lessicali sullo stesso tema. Ed è un esercizio che lo scrittore sa realizzare con sapienza e maestria facendo uscire dalla stessa costruzione verbale i motivi che danno consistenza alla trama. A volte sembra che l’abbandono alla locuzione e alla parola diventi compiacimento, come accade con le ultime battute de “Il ventre della suocera”, ma si tratta di pause che il lettore amante della capacità generatrice della parola può perdonare.
Anche qui, è forte la cadenza musicale ritmata soprattutto dalla locuzione “steso sul letto e sotto le coperte”, che scandisce i sette paragrafi – anch’essi senza qualche rimandi cabalistico – di una storia costruita con arguzia sottile.
(Ermanno Fugagnoli,”Assoli”, Supernova, Venezia, 2018, pp.146, Euro 12)

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