Nomina sunt consequentia rerum. Così si legge nelle Institutiones (II, 7, 3) volute dall’imperatore romano Giustiniano nel VI secolo d. C. nella Roma d’Oriente, Costantinopoli (prima chiamata Bisanzio e poi Istanbul). E così Dante traduceva nella Vita nuova (XIII, 4) decretando: i nomi sono conseguenza delle cose.
In queste ore è arrivata la notizia che finalmente la Grecia ha firmato con la Macedonia del Nord l’accordo sulla denominazione dello stato: Atene accetta che la Macedonia si chiami “Repubblica di Macedonia”. Non è solo una questione di nomi, e non solo il nome pesa in questa notizia che arriva dopo 26 anni di rivendicazioni nazionalistiche contro la pretesa (a dire dei greci) di accampare diritti sulla definizione di “Macedonia”.
A molti di noi sembrerebbe una notizia ininfluente, irrilevante. Nel caos delle vicende interne ed estere sarà passata inosservata ai più. Per chi conosce e frequenta la Grecia (antica e moderna), invece, la questione ripresenta un problema irrisolto che riemerge in modo costante, provocando reazioni, attriti diplomatici e – in altri tempi – anche guerre e sangue.
Solo per andare indietro di poco più di un secolo, ricordo che la questione balcanica, nel 1911-2, alle origini della Prima guerra mondiale, aveva considerevoli addentellati macedoni. Ai confini con l’area della Macedonia greca, anche in tempi più recenti, vi sono stati morti e distruzioni, odio interetnico e gravi disagi per la popolazione civile, spesso coinvolta in modo attivo perché ideologicamente e culturalmente orientata. Ma cosa è successo? Perché la questione macedone ci riguarda e la decisione presa dalla Grecia di accettare la “Macedonia del nord” non è una “festa di battesimo”?
Il ministro degli esteri di Grecia Nikos Kotsias, e Nikola Dimitrov, ministro degli esteri del Fyrom (Former Yugoslavian Republic of Macedonia), stato sorto dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia, hanno appena firmato l’accordo. I nomi sono conseguenza delle cose. Lo stato potrà fregiarsi del nome “Macedonia” anche con il beneplacito di Atene. Sembrerebbe una questione di “lana caprina”, una minuzia di poco conto, ma non è proprio così. Per noi, la macedonia è essenzialmente un’insalata di frutta mista, un dessert. La questione si presta al massimo a spiritosaggini dozzinali, ma spero che i nuovi venuti al potere abbiano il buon senso di cercare consiglieri che sappiano un po’ di storia e geografia.
Non mi è noto da quando la Macedonia sia entrata nel lessico culinario, e chi l’abbia usata per la prima volta (pare proprio ai primi del Novecento per descrivere il miscuglio di lingue, religioni ed etnie dell’area, ma non è sicuro). Una questione come quella dell’origine e del nome del tiramisù… Ma se tiramisù o la parmigiana non determinano conflitti nazionali, la questione macedone, invece, non è uno scherzo, né un semplice miscuglio piacevole e fresco di frutta di ogni tipo.

Il primo ministro greco Alexis Tsipras e il suo omologo macedone Zoran Zaev sulla riva del lago Prespa, al confine tra i due paesi, domenica scorsa
Ricordo un’esperienza personale quando, tra i primi, l’Italia (con l’allora ministro Gianni De Michelis) accettò che lo Stato confinante con la Grecia, nato dall’indomani dello sfaldamento politico della Jugoslavia di Tito, portasse il nome di Macedonia. I greci temevano di essere sull’orlo di una guerra e furono presi dal panico: i supermercati si svuotarono di tutti i prodotti a lunga conservazione e si facevano file interminabili alle casse con carrelli stracolmi di carta igienica, carne in scatola, zucchero, caffè, saponi di ogni tipo. Montagne di prodotti per un futuro possibile di ristrettezze. Restavano sugli scaffali con etichette scritte a mano, con il pennarello, oppure a macchina in modo meno rudimentale, solo i prodotti italiani (allora ancora pochi), come pasta e qualche liquore.
Le etichette recitavano a lettere cubitali: IL PRODOTTO È ITALIANO LA MACEDONIA È GRECA. La popolazione greca reagiva così, con un embargo spontaneo, alla decisione di accettare il nome di Macedonia per l’area exterritoriale della Macedonia greca. Emergeva un nazionalismo popolare, alimentato dalla figura di Alessandro Magno, il condottiero allievo di Aristotele, morto a 33 anni (come Cristo), che aveva espanso i confini del mondo greco ad Oriente, creando un impero.
Già ai suoi tempi, però, i greci si erano interrogati se i Macedoni potessero esser considerati della loro stessa “razza”: la loro lingua, le loro abitudini, la loro percezione dello stato e della vita non erano assimilabili a quelle degli “altri greci”. Il retore Isocrate aveva lapidariamente cercato di risolvere la questione decretando che “SI CHIAMANO GRECI TUTTI QUELLI CHE PARTECIPANO DELLA NOSTRA CULTURA”. Una soluzione diplomatica che comunque lasciava il problema parzialmente in sospeso.
Alessandro è un mito che i greci, soprattutto nelle epoche più oscure della loro storia secolare di sottomissione, hanno continuato a ricordare, a celebrare e a santificare. Un lungo poema epico-cavalleresco su Alessandro, in greco volgare, venne pubblicato anche a Venezia nel 1526 e costituì un best-long seller delle tipografie veneziane, per secoli fino alla rivoluzione greca del 1821 (ma anche dopo): ricordare la grandiosità dell’impresa del giovane eroe, che aveva portato la lingua e la cultura dei greci fino a Gandhara (in Afghanistan) e fino all’India, risollevava lo spirito e dava speranza di rinascita a quanti di lingua e cultura greca vivevano sottomessi da Venezia o dal Sultano che aveva usurpato la città di Costantino.
Alessandro è, dunque, un eroe popolare, un mito che ancora oggi viene raccontato ai bambini, per farli crescere fieri e degni della loro storia. La Macedonia greca, con capitale Salonicco, seconda città del Paese per popolazione e importanza, è entrata a far parte della Grecia solo nel 1912: solo da poco più di cent’anni la città, che ha dato i natali a Kemal Ataturk (il padre della moderna Turchia), è parte della nuova realtà politica della Grecia indipendente.
Nel 2021 Atene festeggerà i duecento anni dalla rivoluzione greca, che hanno liberato gran parte del suo territorio dall’occupazione turco-ottomana. Sarà un’occasione per ricordare un pezzo di storia dei nazionalismi europei, e per studiare criticamente le rivoluzioni contro le grandi potenze imperiali che gestivano il territorio del Vecchio Continente e il Mediterraneo. Oggi, entrata in crisi l’idea stessa dell’Unione Europea, la questione macedone – al di là del nome – ci riguarda direttamente: il sì di Atene a Skopje, apre le porte per l’ingresso del Paese nella Nato e in Europa. Questo non lascia insensibile Mosca e il suo zar perché potrebbe costituire un freno a ulteriori sbocchi sull’Adriatico e sul Mediterraneo.
I nomi sono conseguenza delle cose, ma determinano anche il futuro delle persone e delle cose.

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