L’Italia alla Trump è a rischio esistenziale

Salvini è un clone politico del presidente americano. E, come negli Usa, la lotta alla diversità demografica, vero motore di crescita e di progresso, rischia di portare il nostro paese in un tetro declino
GUIDO MOLTEDO
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Controbattere con cifre, dati e argomenti – con la razionalità – all’offensiva di Salvini è inutile. E, invece di contrastarle, rischia d’alimentare proprio le paure che spingono una larga parte dell’opinione pubblica al suo fianco.

Prendiamo il dato demografico. Nella sua incontrovertibile verità, dovrebbe portarci ad accogliere a braccia aperte i nuovi arrivati. La popolazione italiana invecchia e diminuisce considerevolmente.  Ben vengano gli immigrati, dunque, direbbe il buon senso: per i lavori che sempre meno italiani potranno fare, ma anche per controbilanciare il deficit di natalità. Ma proprio questo “buon senso”, il combinato disposto di una popolazione che perde forza e forze mentre arrivano giovani gagliardi, bambini, donne incinte, persone piene di energia e vitalità, nuovi e freschi talenti, alimenta la sensazione sempre più diffusa di un’ineluttabile trasformazione demografica, che comporta il declino della propria “razza”,  i bianchi che finora hanno dominato il mondo, sostituiti da africani, mediorientali e asiatici; alimenta l’idea che a casa nostra stessa questa trasformazione stia avvenendo. Un pensiero insopportabile, anche se per molti inconscio, se porta addirittura ad applaudire le bravate d’un cinico capopopolo senza principi morali.

Inutile, inoltre,  aggiungere che la miscela di etnie, culture, provenienze è ed è sempre stato il segreto del successo delle civiltà più floride e delle potenze che hanno segnato la storia dell’umanità. Basti pensare ai romani. Agli ottomani. Alla Serenissima. Per arrivare agli stessi Stati Uniti. Che oggi mettono in discussione proprio la “chimica” del loro successo, che è il loro essere nello stesso dna una società “multi” e plurale. “America First“, uno slogan “bianco” che è il ripudio del meeting pot, condensa l’opposto di quanto vuol affermare e profetizza, se non sarà efficacemente contrastato, la crisi finale della storia di successo americana.

Se Obama – con il suo stesso essere arrivato fin alla Casa bianca – aveva valorizzato al massimo la forza della diversity americana – come motore della prosperità degli Usa e del loro progresso anche in questo nuovo mondo multipolare, di cui l’America doveva essere specchio virtuoso – il suo successore ha rovesciato il paradigma. Trump ha puntato tutte le sue carte, per ottenere la presidenza e poi per mantenerla, sul timore della popolazione bianca di diventare minoranza, cosa peraltro già avvenuta in parti importanti del paese. Lo straordinario  crogiolo americano è diventato così una minaccia per una delle sue componenti, finora la principale e la più forte.

È riuscito, Trump, nell’operazione connettendo la crescita demografica dei non bianchi – alimentata dalla più alta natalità ma anche dai flussi d’immigrazione – con l’impoverimento di aree un tempo prospere e sviluppate del paese a maggioranza bianca.

La connessione, del tutto inconsistente, da ogni punto di vista, ha fatto presa, favorita anche dalla latitanza del Partito democratico e dalla debolezza del sindacato in quelle aree.

Così Trump, con la minoranza dei voti popolari ma con la maggioranza dei voti in aree bianche cruciali per il conteggio dei delegati, ha conseguito una vittoria che nessuno, un paio d’anni fa, avrebbe pronosticato. E adesso c’è il serio rischio che superi anche lo scoglio delle elezioni di medio termine e che, con maggiore determinazione, possa correre per un secondo mandato.

Se questo avviene e avverrà è perché Trump ha rovesciato un altro paradigma finora intoccabile. Non ha mai neppure tentato di diventare il presidente di tutti gli americani, non ha mai cercato la conciliazione con quelli che non l’hanno votato, la luna di miele, forse anche consapevole che difficilmente sarebbe successo quello che perfino successe al contestatissimo George Bush jr dopo l’11 settembre, sostenuto anche dagli elettori democratici che avevano considerato una truffa la sua elezione.

Non solo Trump non ha cercato di tendere la mano agli avversari, ma ha continuato a fare il duro, da presidente, con l’establishment politico, anche repubblicano, con il grosso dei media e con le cancellerie alleate, dedicando le sue energie e attenzioni alla base che l’ha eletto, divenuta sempre più militante al fianco del “suo” presidente. È riuscito anche ad allargarla, questa base, ma mai con lusinghe verso chi non l’aveva e non l’avrebbe mai votato, ma intensificando il suo essere Trump.

Quando si parla, a proposito di Trump, di campagna elettorale permanente (straordinaria invenzione linguistica del mitico Sidney Blumenthal), bisogna pensare al suo rapporto speciale con una parte specifica dell’elettorato, nell’idea che l’ampliamento della platea possa avvenire non con la mediazione e la moderazione dei toni, ma, al contrario, con l’innalzamento dei toni, fino all’abbattimento di convenzioni condivise e anche di tabù. Un far west politico.

Si è spesso detto e scritto che, per com’è fatto e come agisce, Trump è davvero unico, irripetibile e inimitabile. Difficile immaginarlo come “modello”. In America, effettivamente non si ha ancora notizia di nuovi Trump locali o in nuce.

Eppure da questa parte dell’oceano ne è spuntato uno, un trumplike: Matteo Salvini. Le differenze tra i due sono tante ed evidenti, a partire dal fatto, imperdonabile per The Donald (come per Silvio), che Salvini non abbia mai lavorato. È un deprecabile professionista della politica.

Di Trump ha la stessa amoralità, la stessa assenza di inibizioni e il gusto d’infrangere i tabù, con la medesima ostentata soddisfazione infantile di scandalizzare la sinistra. Ma soprattutto condivide la stessa furia nei confronti del paradigma della società plurale. E come Trump, è interessato soprattuto alla sua base, tenendola costantemente attiva e militante al suo fianco con messaggi incendiari, e cercando di allargare il consenso non con la moderazione dei messaggi, ma, al contrario, incrementando la postura minacciosa e guerresca. Metodo che, dicono i sondaggi, sta già dando copiosi frutti.

La vicenda di Trump aveva fatto pensare agli inizi che, dopo un po’, lui non ce l’avrebbe fatta a tenere il ritmo infernale delle sue esternazioni ossessive e minacciose, e che il pubblico si sarebbe stancato di seguirlo sulle montagne russe dei suoi tweet. In qualche modo il Partito democratico, stordito dalla sconfitta del novembre 2016, e incapace di riprendersi, sperava che il presidente si sarebbe fatto male da solo e che sarebbe finito nel tritacarne dei giudici. Ha sottovalutato l’incredibile energia negativa che è in grado di sprigionare un personaggio come Trump.

Salvini, già ci si chiede come potrà proseguire con il ritmo delle prime tre settimane al Viminale (dove peraltro non c’è mai). Ma sarebbe miope puntare sul venir meno della sua verve e sull’affievolirsi della tifoseria che segue i suoi torvi annunci, o su un conflitto nel governo, per via della sua scorrettezza politica.

Controbattere colpo su colpo a ogni sua uscita (come fanno i dem con Trump) è una reazione necessaria, inevitabile, quanto ovvia. Sapendo però che, come con Trump, chi gioca di rimessa con personaggi di questa risma, finisce per dare nuovo carburante alla loro politica sovversiva.

 

In mancanza di reazione, la questione demografica prenderà una piega minacciosa per la nostra comunità, trasformandosi, da opportunità storica per costruire un futuro per il nostro paese, in terreno di conflitto permanente, oggi con gli immigrati e i rom, domani anche tra gli “italiani” stessi, colmi di rabbia e risentimento gli uni verso gli altri, sempre più armati con licenza di sparare. Un’Italia incapace di rigenerarsi, vecchia e malandata, una nazione che, proprio per colpa loro, rischia di essere condannata al tramonto.

È mortificante il cinismo cerchiobottista del primo giornale italiano che arriva a mettere sullo stesso piano il “buonismo” (della sinistra) e il “cattivismo” (di Salvini) come due facce della stessa medaglia. Atteggiamenti come quelli del Corriere possono avere buon gioco, e quindi alimentare la spinta di Salvini, se non sono contrastati dal coraggio, a sinistra, di costruire una storia che scavalli questo dualismo e, con tutte le alleanze necessarie, proponga un futuro di crescita democratica grazie a precise, e oggi audaci, scelte demografiche inclusive.

Se c’è un Partito democratico, è bene che s’organizzi e risponda come forza politica e non alla spicciolata, com’è avvenuto finora, ognuno dando l’impressione di una gara a chi è più indignato e non quella che si stia finalmente lavorando tutti a una reazione politica di alto livello, capace soprattutto di imporre un altro campo di gioco.

Come si diceva all’inizio è perfino controproducente, nell’immediato, contrastare l’ondata xenofoba con richiami alla ragione basati su fatti e dati. Eppure, evitando i toni aridi e professorali, che troppo spesso le sono congeniali, la politica di sinistra dovrebbe iniziare a costruire quel discorso che finora è mancato, o è apparso secondario rispetto al terreno, pur sacrosanto, dell’accoglienza emergenziale e dell’indignazione. È il discorso della NECESSITÀ ESISTENZIALE per il nostro paese, nel presente e soprattutto nel prossimo futuro, di un innesto di consistenti energie nuove, talenti, idee, lavoro che non possono non arrivare da fuori. È CONVENIENTE per tutti, perché il paese non crepi sotto la pressione del suo egoismo, avendo l’opportunità di riprendere a costruire un futuro migliore con i nostri nuovi cittadini.

 

 

L’Italia alla Trump è a rischio esistenziale ultima modifica: 2018-06-20T19:35:09+02:00 da GUIDO MOLTEDO
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2 commenti

Torquil 21 Giugno 2018 a 18:57

Caro Guido,
credo che una parte del sostegno a Salvini venga da chi teme l’Islam. Una forte precentuale di coloro che arrivano con i barconi è di religione islamica. Ora, a parte il terrorismo di matrice islamica, un significativo aumento nella popolazione italiana di chi crede che:
– le donne sono inferiori agli uomini;
– chi lascia la fede deve essere ucciso;
ed altri precetti della legge islamica, è una legittima fonte di inquietudine per molte persone. La sinistra dovrebbe affrontare questa questione. Il silenzio delle femministe sull’oppressione delle donne, spesso giustiifcata in nome della fede islamica (ad es. delitti d’onore), è particolarmente sorprendente.

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GUIDO MOLTEDO 21 Giugno 2018 a 22:48

Caro Torquil,
Lo stesso fenomeno lo vediamo in atto negli Usa, dove il grosso dell’immigrazione è composto da persone cattolicissime. A me sembra che tu connetti tra loro temi molto diversi, solo per rimarcare certi aspetti di un certo islam. Credo piuttosto che ci sia una buona dose di razzismo verso persone africane, solo alcune delle quali sono musulmane. Inoltre, di fronte a fenomeni trasformativi di questa entità, non vedo cosa possa fare la politica così come l’abbiamo conosciuta nel 900.
cordialmente come sempre Guido

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