Rispondendo a MicroMega, che ha dedicato un proprio numero alla “falsa riforma di Francesco”, il coordinatore di “Noi siamo Chiesa”, Vittorio Bellavite, ha parlato di pregiudizio ideologico-culturale, “conseguenza di un laicismo sterile.” Pur stimando molto Vittorio Bellavite da tanti anni, consapevole delle sofferenze provocate al suo movimento dalle gerarchie ecclesiali , mi permetto di dissentire.
MicroMega, sostenendo che le riforme di Francesco sono false, dà voce ad una cultura che spera che la Chiesa si dimostri irriformabile, pre-conciliare nella sua sostanza stessa, autoritaria e centralista. Questo desiderio, non pregiudizio, non è sterile. Mette il laicismo al fianco dei restauratori, delle tante bocche di fuoco contro Bergoglio, nella speranza che la “controriforma” presto si realizzi, vada in porto, porti all’attesissimo Pio XIII, per poter dire: “visto? La Chiesa è quella, non era che una vana speranza pensare che potesse essere un’altra.”
Prendiamo l’esempio, molto citato nel numero di MicroMega, della pedofilia. Piaga per la Chiesa paragonabile a quella della corruzione per i partiti. Ebbene, Bergoglio dopo aver detto che le accuse di insabbiamento in Cile erano calunnie, ha accettato il suggerimento di inviare lì il “super commissario” vaticano, monsignor Scicluna. Risultato? Un’intera conferenza episcopale dimissionaria, il papa che ha già accolto due dimissioni e annunciato che altre potrebbero essere accolte nei prossimi giorni. Tutto normale? No: ancor meno normale è che, chiedendo scusa ai fedeli e alle vittime che ha ricevuto individualmente e collettivamente in Vaticano per tre giorni, scusa per essere stato anche lui parte del problema, il papa abbia scritto a tutti fedeli cileni.
La sua lettera, che non è stata ripresa né tradotta dai media ufficiali vaticani, è molto lunga. Dopo aver spiegato che veri unti del Signor sono loro, i fedeli, non altri, il papa scrive:
È impossibile immaginare il futuro senza questa unzione operante in ciascuno di voi che certamente reclama e richiede rinnovate forme di partecipazione.
Ora, si dirà, la sua riforma è fatta di annunci. Non mi sembra: la sua è una riforma che intanto si basa sui decreti legislativi. In cinque anni di pontificato questo papa ha firmato un numero di motu proprio, i decreti varati dal papa, che già raggiunge quello dei motu proprio firmati da Giovanni Paolo II nel suo lunghissimo pontificato. Ecco così, ad esempio, che non è più Roma a scrivere i testi delle liturgie in tutte le lingue del mondo, ma le varie conferenze episcopali, con Roma che deve solo verificare. Per MicroMega la liturgia conterà poco, per la Chiesa no.
Ma la più grande riforma di Francesco si chiama “Amoris Laetitia”, che stabilisce la centralità del discernimento, anche davanti ai divorziati risposati. La sua riforma, dunque, è soprattutto una riforma della mentalità, prima che delle strutture. La riforma di papa Bergoglio non è basata sui criteri dell’”amico del popolo”, la rivista giacobina che annunciava le prossime decapitazioni, accetta il conflitto, ma cerca di risolverlo portandolo su un altro piano; e cambia. Cambia ad esempio la figura del papa, che non è più il Pastor Angelicus, ma un uomo che sbaglia davanti al caso cileno e chiede perdono, consapevole che la morale cristiana non è non sbagliare mai, ma rialzarsi sempre. Allora diventa chiaro che l’accusa, mossagli non da MicroMega ma dai settori a lui più avversi della curia, di essere un luterano travestito da cattolico, prende centralità.
Bergoglio con il dialogo con le altre realtà cristiane porta avanti la riforma più importante per questo tempo. Che un papa celebri il cinquecentenario della Riforma per MicroMega non sarà una riforma, per me sì. Il viaggio a Lund, per me il più importante del pontificato, dice che la globalizzazione si salva così, riconoscendo il valore della diversità nell’unità, archiviando i sogni di uniformità, quelli che fingono che il secondo dopoguerra sia stato l’epoca liberale, quello che ci ha portato alla bancarotta dei populismi con la teoria della fine della storia, dell’ordine unipolare.
Il viaggio di Bergoglio a Lund è una riforma epocale per il mondo: parla all’Islam, parla a tutti i cristiani, parla a Davos, parla al sud del mondo, parla a chiunque di noi capisca che sovranismo e globalismo finanziarizzato sono il bivio che porta allo stesso esito, la ghigliottina. È esattamente questo ciò che il papa è andato a dire e fare, proprio in queste ore, a Ginevra. Insomma, qui vediamo come la religione faccia cultura e possa “evangelizzare la cultura.”
In definitiva direi che, a mio avviso, la riforma di Francesco, una riforma dal basso e non dall’alto, ma che muta la geografia del Collegio cardinalizio, portandovi le Isole Tonga o il Myanmar, preoccupa i laicisti perché è basata su una teologia pastorale. È nella pastoralità la vera teologia, molto più che nella dogmatica. Questa teologia pastorale, così forte in America Latina e così marcata in Bergoglio, dà identità a una cultura post-ideologica che i laicisti non hanno, perché loro sanno vedere il diritto all’autodeterminazione della donna anche davanti al dramma dell’aborto – che vedo anch’io – ma non sanno, non sappiamo starle accanto dopo che l’esercizio di quel diritto le ha squassato l’anima. Ora chi abbia abortito può essere assolto senza passare dal Vaticano, non sta più ai vescovi, sentiti i pastori che le hanno seguite, decidere. Ma quell’ipotetica assoluzione non è un certificato di “buona condotta”, è una mano tesa per aiutare a rialzarsi chi sente di essere caduto. Per questo la riforma di Bergoglio, che ha tante difficoltà, tanti inciampi e tante manchevolezze, fa paura, anche fuori dalla Chiesa.

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