Ce la farà finalmente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) il primo luglio a sostituire l’orrido Enrique Peña Nieto alla residenza presidenziale de Los Pinos? Sembrerebbe proprio di sì, stando a tutti i sondaggi di vari istituti che lo danno saldamente al primo posto nelle intenzioni di voto dei messicani.
L’ultimo, condotto da Oraculus il 26 giugno, vede “el Peje” – come viene anche chiamato AMLO dai suoi detrattori per i suoi natali nello stato di Tabasco, patria del “pejelagarto”, il pesce lucertola – oscillante tra un 45 e un 53 per cento delle intenzioni di voto, a grande distanza dagli inseguitori Ricardo Anaya (23-31) e José Antonio Meade (18-24).
In Messico vige un sistema di voto a turno unico, in cui i giochi negli schieramenti politici devono essere fatti necessariamente prima dell’apertura delle urne. Esclusi colpi di scena dell’ultima ora, sempre possibili nelle turbolenze del paese nordamericano che ha vissuto una campagna elettorale sporca e all’insegna della violenza politica, per Andrés Manuel questa volta, la terza che si presenta alle presidenziali, sembrerebbe fatta.
Il che gli permetterebbe di coronare un sogno a lungo costruito fin dagli esordi politici nel Tabasco, suo stato natale, e inseguito attraverso le tappe di sindaco di Città del Messico, la presidenza del Partido de la Revolución Democrática (PRD) e la prima candidatura alla presidenza. Fino alla svolta della nascita del Movimiento de Regeneración Nacional (Morena), quattro anni fa, e la sconfitta di misura, grazie a presunti brogli, da parte di Peña Nieto.

Andrés Manuel López Obrador al termine della campagna elettorale.
Domenica prossima, giorno in cui il paese eleggerà 1612 sindaci, nove governatori, cinquecento deputati e 128 senatori, si presenta alla testa di Juntos Haremos Historia, una coalizione la cui spina dorsale è rappresentata da Morena, alla quale si sono aggiunti il Partido del Trabajo e la formazione evangelica Encuentro Social, che più di qualche critica ha in passato sollevato per le sue posizioni conservatrici in fatto di aborto e diritti degli omosessuali.
Del resto, queste alleanze che vedono presentarsi assieme esponenti della sinistra e formazioni conservatrici non devono creare stupore in un paese dove anche il massimo contendente di López Obrador, il trentanovenne Ricardo Anaya, corre per Por México al Frente, una coalizione formata dalla destra di Acción Nacional (PAN), la sinistra del Partido de la Revolución Democrática, (PRD), da cui per altro proviene AMLO, e il Movimiento Ciudadano (MC). Un’alleanza che pare stia in piedi in virtù del pragmatismo che ha portato allo scambio per cui il PRD, che appoggia Anaya, avrebbe ottenuto il sostegno per Alejandra Barrales, candidata alla carica di governatrice di Città del Messico.
Originario di Querétaro, Anaya ha condotto una campagna elettorale all’insegna del trumpismo, accusando violentemente i suoi avversari, con particolare predilezione per López Obrador. Proveniente dal PAN, al cui interno è cresciuto politicamente, è stato accusato di corruzione e di aver lavato denaro sporco, reati per i quali è indagato dalla Procuraduría General de la República. Una vicenda su cui esistono anche due video che sono stati fatti circolare prima del terzo e ultimo confronto televisivo tra i candidati svoltosi a Mérida.

Ricardo Anaya ha condotto una campagna elettorale all’insegna del trumpismo.
In una campagna in cui hanno dominato i temi della corruzione, della violenza (dal suo inizio nell’ottobre del 2017, le vittime tra politici, candidati e sindaci sono 112) e della povertà, condizione in cui versano ben cinquantaquattro milioni di messicani, Anaya, figura di rottura e caratterialmente poco disposto alla conciliazione, si è battuto contro la violenza che intossica il paese e la corruzione, di cui per altro è accusato, non senza una qualche scimmiottatura di The Donald laddove s’è proposto di ricuperare il ruolo del Messico nel mondo. Il suo discorso si è rivolto in primo luogo alla classe media, ma senza intercettare il grande pubblico, per di più rischiando di apparire come un personaggio poco simpatico da “primo della classe”.
Secondo tutti i sondaggi, Ricardo Anaya sta a molta distanza da Andrés Manuel López Obrador, grazie al quale il Messico potrebbe risvegliarsi il 2 luglio prossimo con il primo presidente di sinistra della sua storia. Poche o nulle le speranze per José Antonio Meade, invischiato nello scandalo Odebrecht, a capo di Todos por México, composto dal Partido Revolucionario Institucional (PRI), Verde Ecologista (PVEM), partito di destra in Messico, e Nueva Alianza, che i sondaggi danno al ventidue per cento. Lo stesso vale per l’indipendente Jaime Rodríguez, dato al quattro per cento.

Un sondaggio del 30 maggio.
Se il Messico domenica virerà a sinistra eleggerà un presidente di sessantacinque anni che proviene da una famiglia di commercianti del Tabasco, che si è formato in scienze politiche e amministrazione pubblica all’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), che tra il 1977 e il 1982 ha vissuto nelle comunità maya dei chontales, che vive in una delle regioni più arretrate economicamente del paese.
In “Este soy”, il documentario che fece fare su se stesso, López Obrador fa coincidere quegli anni della sua vita in cui lavorò presso i chontales, concedendo crediti senza garanzia affinché gli indigeni potessero sostituire le capanne dove vivevano con case, come una tappa fondamentale della sua vita. Esperienza che gli ha permesso di sviluppare l’idea che il paese necessiti di qualcuno che lo tragga in salvo.
Visto e descritto in passato come un pericolo per il Messico dai suoi detrattori, che l’hanno accostato a Chávez e Maduro, AMLO come suo punto di forza ha l’essersi battuto da sempre contro inefficienza e corruzione. Sindaco di Città del Messico, ha fatto approvare la pensione sociale per gli anziani, il sostegno alle madri nubili, la consegna gratuita di materiale scolastico alla scuola di primo grado e l’assistenza medica alla popolazione più povera. Facendo di “Por el bien de todos, primero los pobres” lo slogan della sua prima, sfortunata, campagna elettorale alla presidenza.
Per certi aspetti un po’ grillino, non esente da un approccio populista quando parla di un popolo buono che si oppone all’élite corrotta, il male contro cui si esercita la sua azione politica, AMLO ha spinto molto sul tema dell’austerità, su cui ha ruotato la sua campagna attuale, e su cui ha dato prova di non scherzare quando ha tagliato spese e salari degli alti funzionari della municipalità. Una linea di condotta più morale che politica, alla quale ha informato pure la sua vita privata di cui, fino a poco fa, si sapeva poco o niente. Ispirandosi a quell’austerità repubblicana che fu il faro della vita di Benito Juárez, il presidente più amato dai messicani.

In uno degli ultimi tweet, AMLO si fa fotografare mentre fa colazione con delle “gorditas”, un piatto tipico messicano.
Laico, ha portato a casa l’alleanza con la formazione evangelica del Partido Encuentro Social (PES) forse anche grazie alle accuse che gli sono state mosse già al tempo della sua carica di sindaco, durante la quale poco o nulla ha fatto per la legalizzazione dell’aborto, tema che vede contraria la formazione alleata. Da qui anche i suoi buoni rapporti con il mondo cattolico ed evangelico, dal quale viene visto come un conservatore in tema di diritti degli omosessuali e delle donne.
Il suo messaggio, spesso venato da sfumature messianiche, ha raggiunto un target vasto, urbano e rurale, fatto di nuovi elettori e di delusi che prima la politica non mobilitava, contadini, imprenditori, studenti universitari e appartenenti alle professioni liberali, stufi della violenza e della corruzione che regnano nel paese, e che vedono in López Obrador il leader carismatico che può portare il riscatto.
La sua leadership pesca tra gli undici milioni di giovani, di cui quelli tra i diciotto e i ventuno anni di età sono quasi cinque milioni, e presso i quali la sua immagine è positiva, che gli aspetti demagogici del suo populismo hanno buon gioco a consolidare. Politico di ormai lungo corso, dopo quasi vent’anni di presenza sulle scene porta una ventata di novità, speranza e freschezza in un paese stremato da povertà, corruzione, violenza e narcotraffico. E alla quale tutto fa pensare che il Messico, domenica prossima, sia pronto a dare credito.

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