Vista dall’Italia la vittoria di Andrés Manuel López Obrador, per tutti AMLO, il primo progressista a riuscire a vincere le elezioni presidenziali messicane da quando sono contendibili (1988), potrebbe apparire l’ultima conferma della fine di un ciclo nato negli anni Ottanta del secolo scorso che gli storici, forse, faranno concludere nel 2016 con il voto sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump. Con un certo grado di semplificazione, quarant’anni all’insegna del libero mercato, un mondo “piatto” nel quale la storia aveva poco da raccontare se non il lento affermarsi del modello economico, sociale e culturale occidentale.
Tutto ebbe inizio con Margaret Thatcher e Ronald Reagan contrastati debolmente da una sinistra a livello globale alla ricerca affannosa di una terza via spesso e volentieri incapace di essere alternativa al pensiero conservatore. Il risultato complessivo lo abbiamo sotto gli occhi: oggi le stelle del firmamento politico mondiale sono Putin, Erdogan, Trump, Salvini, Orbán; gli strumenti di governance globale che tanto lavoro avevano richiesto sono in profonda crisi, dalla Nato al Wto, per non parlare dell’Unione Europea. Gli stessi Usa, dove tutto ebbe inizio, sembrano aver voltato pagina.
E il Messico è stato per le politiche neoliberiste un campo di prova fondamentale, all’accordo di libero scambio con Usa e Canada del 1994 ne sono seguiti decine, tanto che è il paese al mondo che più ne ha firmati. La vittoria di AMLO racconta di un paese che desidera forti correzioni al modello vigente perché questo genere di accordi hanno sì garantito una crescita economia al paese, ma il prezzo è stato elevatissimo. Le diseguaglianze sono enormi il quaranta per cento della popolazione vive sotto il livello di povertà, il venti per cento nella miseria assoluta. Per non parlare di problemi quali la corruzione, una violenza dilagante – oltre 130 i candidati a diversi incarichi uccisi durante la campagna elettorale – e la piaga del narcotraffico.
Ma quali le ricette di AMLO? La storia politica del neopresidente è saldamente ancorata nella sinistra istituzionale messicana da quando nasce nel 1988 il Partito delle Rivoluzione Democratica (Prd) partito che ha l’ambizione di contrastare il Partito Rivoluzionario Istituzionale al potere dai tempi della rivoluzione messicana e accusato di essere sempre più legato al pensiero neoliberale e di conseguenza aver tradito le aspirazioni sociali e solidaristiche, se non egualitarie, alla base della rivoluzione messicana iniziata nel 1910. Proprio con il Prd per ben due volte AMLO si era candidato alla massima carica messicana senza successo, seppur nel 2006 i sospetti di brogli erano stati altissimi. Ma il Prd oggi non appoggia AMLO e si è alleato con il Partito d’Azione Nazionale, un po’ come se in Italia il Pd si fosse alleato a Fratelli d’Italia. Anche nella compagine politica che appoggia AMLO le ambiguità non mancano, infatti durante la campagna elettorale Obrador ha utilizzato retoriche che in Italia definiremmo populiste, come non sono mancati alcuni ammiccamenti a movimenti prettamente conservatori. Ma alla base di Morena (Movimiento Regeneración Nacional), il movimento di cui è presidente AMLO, ci sono istanze civiche di chiara estrazione progressista e tra i partiti a sostegno di AMLO non manca il Partito del Lavoro.
AMLO segna quindi l’inizio della riscossa della sinistra messicana? O rappresenta una sinistra che si è fatta anch’essa sovranista e populista per poter vincere? Altrimenti detto, AMLO è portatore di un’alternativa progressista o siamo di fronte a una quarta via culturalmente subalterna al sovranismo dilagante?
Il dato certo è il consenso enorme raccolto da AMLO, il 53 per cento dei consensi, e la coalizione che lo appoggia è maggioritaria in entrambi i rami del parlamento. Come se non bastasse, Morena a livello locale ha vinto nella capitale, in cinque stati (il Messico è una repubblica federale), in nove capitali, ovvero governa un totale di 56 milioni di messicani pari al 47 per cento della popolazione. Un risultato straordinario per un movimento nato nel 2012, un potere enorme per AMLO, forse nessuno come lui ha avuto tante leve nelle sue mani in Messico.
“Non vogliamo costruire una dittatura né esplicita né occulta”, questa è stata la sua prima dichiarazione dopo il voto a conferma che AMLO è un politico di razza, con importanti esperienze di governo nel suo curriculum, è stato sindaco di Città del Messico per cinque anni, al pari di molti dirigenti di Morena tutt’altro che dilettanti allo sbaraglio. Di certo i prossimi sei anni, tanto dura il mandato presidenziale che non prevede la rieleggibilità, si preannunciano densi di speranze per la sinistra messicana e capiremo se avrà la forza e la capacità di dispiegare una politica progressista in un clima internazionale alimentato da un linguaggio e scelte politiche che fanno dell’intolleranza e del protezionismo i pilastri del loro consenso, uno scenario nel quale a oggi le sinistre – e anche le destre – che abbiamo conosciuto nel secondo Novecento risultano sempre più minoritarie e subalterne.

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