Come scrive Nino Bertoloni Meli sul Messaggero, sui rapporti con i Cinque Stelle è già rissa all’interno del Pd. Da una parte Zingaretti, Franceschini, Veltroni, Orlando, Cuperlo ed Emiliano, fautori del dialogo, dell’apertura e in prospettiva dell’alleanza. Dall’altra Renzi, i renziani, Orfini, Calenda, sembra, questi ultimi, sul presupposto che i grillini sono peggio e più pericolosi della Lega, sono destra populista. Sempre Bertoloni Meli aggiunge – relata refert – che Orfini avrebbe detto “se Salvini è Saddam, o Erdogan, Il M5S è l’Isis”.
Ciò che colpisce in questa impostazione del conflitto è la beata incoscienza con la quale questo partito guarda al proprio futuro e prima ancora alla propria natura e sostanza. La stessa incoscienza con la quale si rischia di affrontare il congresso, di cui non a caso si dice che dovrà essere un “vero” congresso: svelando così la prospettiva più probabile, che sia soltanto una conta delle forze in campo e, come ha detto Giachetti all’assemblea, che lo si faccia soltanto quando sarà ormai chiaro chi lo vince.
Che cosa sono i Cinque Stelle è questione che viene dopo – in termini di importanza – rispetto alla domanda principale: che cos’è il Pd oggi, quali sono le sue idee-forza, che progetto offre agli italiani e all’Europa insieme, in un mondo che cambia a grande velocità, e non in termini favorevoli per la vecchia Europa e in particolare per l’Italia. Possibile che i dirigenti del Pd non si rendano conto che un partito in cui non si sa ancora se il jobs act è di destra o di sinistra, se la buona scuola è reazionaria o no, se la riforma costituzionale renziana era autoritaria o no, e così continuando per tutti i temi principali, deve prima di tutto ricostruire se stesso, con un duro lavoro di conoscenze, cervello e passione. Il governo con i Cinque Stelle non saprebbe su che basi farlo (a tacer d’altro).
Certo, i dirigenti fautori del piano “Governo con il M5S” sono convinti di sapere bene su che basi e su che temi lo farebbero, quel governo. Così come Renzi pensava che la sua azione di governo sarebbe stata sufficiente a “formare” la base del partito. Non è così, non può essere così, e infatti non è stato così con la segreteria Renzi.
Il problema è questo, ora, per il Partito democratico, che non sa neppure se continuerà ad esistere e con che nome: ricostruire se stesso. Non quanto di sinistra sia il Movimento Cinque Stelle.
Credo anch’io che il Movimento Cinque Stelle non vada demonizzato. Al suo interno c’è di tutto, anche della sinistra, nel senso che c’è molto vetero comunismo. Degli obiettivi condivisibili, e relativi strumenti inadeguati e controproducenti. C’è indifferenza o condivisione per obiettivi e metodi di destra, insieme con temi classici della sinistra. O di forze che siamo abituati a collocare a sinistra. In comune gli uni e gli altri hanno una quasi totale ignoranza o indifferenza per la democrazia, la confusione delle funzioni pubbliche, la volontà di superamento del sistema rappresentativo, il giustizialismo, l’autoritarismo, di cui solo vagamente si rendono conto; la disponibilità al populismo per superare gli scogli, l’utilizzazione della contrapposizione popolo/élites.
Tenuto conto di tutto questo, sì, sono pericolosi. Ma non significa che non si debba dialogare, non significa che non si possa dichiarare di essere d’accordo su qualche proposta (lo ha fatto anche Calenda). Il confronto è anzi indispensabile. Ma lavorare per andare al governo insieme, a breve (un anno, un anno e mezzo è niente per un partito che non sa ancora che cos’è), sarebbe una disfatta. Se la dirigenza non si è occupata del partito, né sull’organizzazione né sui contenuti, quando governava con relativa tranquillità, che cosa sarebbe in grado di fare stando al governo con questa nuova, inesperta ma callida generazione?

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