Oggi avrebbe cent’anni, Nelson Rolihlahla Mandela (Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013). Lo ricordiamo rievocando una giornata particolare trascorsa dal leader sudafricano a Venezia. Ripubblichiamo un articolo apparso su Europa in quell’occasione.
Incontrare personalmente Nelson Mandela. Ed essere testimone di una conversazione informale con lui. Poi la foto ricordo. Un indescrivibile privilegio. Ancor più se inaspettato. Accade il 25 settembre 2001. A Venezia. Allora lavoro al Comune, come direttore della comunicazione, sindaco Paolo Costa, una parentesi professionale preziosa. Non più presidente, Mandela è a Venezia in visita privata con Graça Simbine Machel, la terza moglie che ha sposato a ottant’anni, vedova di Samora Machel, il presidente del vicino e alleato Mozambico, un’altra icona della lotta di liberazione africana, morto in un incidente aereo sedici anni prima. Veniamo a sapere del suo arrivo. La città dei dogi, la città che ha sempre incluso genti d’ogni provenienza e che si è sempre mescolata col mondo, l’aspetta da tempo, dal 30 marzo 1987, il giorno in cui gli ha conferito la cittadinanza onoraria. Ma allora il leader sudafricano scontava ancora in carcere la condanna all’ergastolo a Robben Island, un isolotto piatto di fronte a Città del Capo tra le alte onde e i forti venti dell’Atlantico, che sarebbe diventato uno dei simboli più eloquenti della ferocia segregazionista di tre secoli di storia sudafricana.
Il conferimento della cittadinanza onoraria da parte della città di Venezia non fu un atto puramente simbolico, ma fu anzi un fatto politico “pesante” – insieme ad altri dello stesso genere – di pressione efficace contro il regime dell’apartheid. Ed ecco giunto il momento di consegnargli personalmente la cittadinanza veneziana. Al sindaco Costa che, con la presidente del consiglio comunale Mara Rumiz, gli porge l’onoreficenza, Mandela dice:
Il fatto che tante città e tante istituzioni, in tutto il mondo, ci abbiano conferito onorificenze è stata una formidabile pressione contro l’apartheid, l’esperienza molto dolorosa che allora vivevamo.
Poche ore dopo la sua liberazione, il 12 febbraio del 1990, il consiglio comunale di Venezia aveva invitato Mandela per consegnargli la cittadinanza onoraria. Ora che quell’appuntamento finalmente si realizza, il leader sudafricano dice:
Era tanto tempo che desideravo venire a Venezia e mi è dispiaciuto non poterlo far prima.
L’ex presidente sudafricano ringrazia il sindaco dicendosi
particolarmente grato di ricevere la cittadinanza di Venezia, e sono onorato di riceverla da una personalità come lei, che tanto ha fatto nel mondo accademico,
alludendo al suo passato di professore di economia e di rettore di Ca’ Foscari.
L’incontro non avviene nella cornice istituzionale di Ca’ Farsetti-Ca’ Loredan, i due bei palazzi veneziani sede del comune. Nelson Mandela ha allora ottantadue anni. La sua salute è cagionevole, la vita di carcere duro si fa sentire, non può consentirsi faticose cerimonie. Eppure il suo aspetto è quello di un uomo ben eretto e non privo di vigore nel suo metro e novantaquattro d’altezza, un fisico asciutto portato con eleganza naturale, un volto affabile, pronto al sorriso, accogliente, capace di mettere tutti a proprio agio. Sarà pure che l’abbiamo sentito dire chissà quante volte, ma è vero: siamo di fronte a una personalità con un incredibile magnetismo.
Indossa uno dei suoi camicioni colorati, quando ci riceve nella suite dell’albergo in cui risiede. I suoi problemi respiratori non consentono la presenza di troppe persone nella stanza. Con il sindaco e con la presidente Rumiz faccio parte della delegazione, a cui si aggiunge il fotografo del comune che immortalerà l’evento. Il clima è disteso, per niente formale. C’è buon umore. Quando Costa gli consegna le chiavi dorate della città, gli dice: «Tutte le volte che vorrà venire potrà usarle». E Mandela, con un sorriso: «Deve sapere, professore, che mia moglie e io siamo molto poveri: potremo essere tentati di venderle».
È il momento di Mara Rumiz: “Adesso lei è veneziano”, gli dice porgendogli in dono un cofanetto con due volumi in inglese sull’arte e sull’architettura di Venezia. Chissà se si parla anche di Shylock, il mercante di Venezia del dramma di Shakespeare, chiede Mandela.
Non solo parole di circostanza. Si parla anche di politica. Sono passate due settimane dall’attentato alle Torri gemelle. Costa coglie le possibili conseguenze, quando afferma di temere che la Casa Bianca non reagisca con la dovuta ponderazione:
Spero che l’America usi l’arma della pazienza per individuare davvero il nemico da colpire, altrimenti c’è il rischio di una spirale incontrollabile,
dice il sindaco. Mandela appare invece più ottimista:
Ho notato che gli Stati Uniti stanno aspettando a lungo, questo è un buon segno, che mi ha incoraggiato, significa che vogliono valutare attentamente la situazione prima di agire.
Più lungimirante è invece sulla prospettiva di un’ondata anti-islamica, come effetto dell’11 settembre:
Occorre guardare con attenzione al mondo arabo per evitare una catena di reazioni che potrebbe durare anche anni», dice, e trova il sindaco sulla sua lunghezza d’onda. «Bisogna evitare precipitose reazioni emotive, occorre evitare che il mondo arabo viva la reazione occidentale come una crociata.
È il momento delle foto. E dell’addio.

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