Il destino di Venezia in mano ai giudici amministrativi (non più alla Consulta)

In vista della pronuncia del Tar del Veneto sul frazionamento della città lagunare è utile richiamare l'attenzione sulla questione, anche per denunciare che il nuovo governo ha impedito alla corte costituzionale di pronunciarsi
ADRIANA VIGNERI
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Per quattro volte è stato indetto un referendum per separare Venezia da Mestre, per creare un comune della sola Venezia insulare. E per lasciare al nuovo comune di Mestre tutta la terraferma, porti e aeroporto compresi. Per quattro volte la popolazione ha respinto questa scelta.

Ora dovrebbe svolgersi il quinto referendum, essendo stata ripresentata la proposta di legge regionale per l’istituzione del comune di Mestre. Nel frattempo il comune di Venezia è diventato il capoluogo della città metropolitana di Venezia. Il sindaco di Venezia è anche sindaco metropolitano, in forza dell’entità della popolazione e del territorio di Venezia, e in forza del ruolo svolto nei confronti del territorio circostante. L’interrogativo che ci si pone quindi è se applicare al comune di Venezia l’ordinaria legge regionale, che regola la creazione di nuovi comuni in qualsiasi parte del territorio regionale, sia compatibile con la sopravvenuta disciplina introdotta per le città metropolitane, Venezia compresa.

La scelta del legislatore nazionale di prevedere che il sindaco di Venezia sia di diritto sindaco metropolitano si fonda sul fatto che si tratta del sindaco più rappresentativo perché eletto direttamente dal maggior numero di cittadini facenti parte del territorio metropolitano. Così facendo si è evitata la concorrenza di rappresentatività tra sindaco del comune capoluogo e sindaco metropolitano. Ne deriva che la consistenza demografica del comune capoluogo non può essere modificata. Mentre deve essere modificata se si sceglie l’elezione diretta del sindaco metropolitano, per eliminare la preminenza del capoluogo.

Se il comune di Venezia venisse smembrato in due o più parti questi presupposti verrebbero meno e una parte della legge statale, frutto di competenza esclusiva dello Stato, diverrebbe inapplicabile.

Il palazzo Podestarile, sede della municipalità di Mestre

D’altro canto i difensori della posizione regionale sostengono che la disciplina relativa alla città metropolitana, che prevede per frazionare il comune capoluogo una speciale procedura, collegata ad una particolare finalità (l’elezione diretta del sindaco metropolitano), coesiste con quella regionale relativa alla formazione di nuovi comuni. Sarebbe possibile applicarle entrambe.

Si comprende quindi che a questo punto si pone una questione di legittimità della decisione regionale di far progredire la procedura che può portare al frazionamento di Venezia (questione per cui è competente il Tar del Veneto, che si pronuncerà tra pochi giorni); ma nasce anche un conflitto tra Stato e Regione, per cui è competente la corte costituzionale. Ed infatti il governo aveva presentato un ricorso avanti la Corte appunto per sostenere che la Regione aveva usato una competenza (un’attribuzione, in termine tecnico) che non le apparteneva.

Una pronuncia della corte costituzionale, autorevole e decisiva, sarebbe stata utile per chiarire la situazione. Una chiarezza definitiva, e a portata di mano perché l’udienza avanti la Corte era già stata fissata per il 18 luglio appena trascorso. Ma quella pronuncia non ci sarà perché il nuovo governo (la sua componente grillina, si dice) ha ritirato il ricorso, e la Corte può decidere soltanto sulle domande che le vengono sottoposte. Niente domanda, niente risposta.

Ma perché niente domanda? Perché porre quella domanda avrebbe potuto portare ad una decisione capace di impedire il progredire della procedura regionale e quindi lo svolgimento del referendum separatista. Il referendum, un referendum qualsivoglia, deve prevalere sopra ogni cosa. Sopra ogni altra considerazione. Mentre la costituzione è stata assai cauta nel prevedere il ricorso a strumenti di democrazia diretta, privilegiando l’assunzione di responsabilità da parte di chi è stato chiamato a svolgere le funzioni pubbliche.

La nostra costituzione richiede che si svolga un referendum delle popolazioni interessate per qualsiasi modificazione territoriale delle regioni, delle province e dei comuni. Ma i presupposti di quei referendum debbono corrispondere alle previsioni legislative. Non un qualsiasi referendum, purché indetto da un’autorità pubblica, deve per ciò stesso essere svolto. Si tratta del rispetto delle regole, ancor più se di rilevanza costituzionale. E’ un peccato che alla corte costituzionale sia stato impedito di esprimersi.

 

Il destino di Venezia in mano ai giudici amministrativi (non più alla Consulta) ultima modifica: 2018-07-23T18:38:39+02:00 da ADRIANA VIGNERI
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