Il Re è (quasi) nudo

Emmanuel Macron è alle prese con l'erosione del proprio consenso. I francesi cominciano a comprendere che questo giovane politico che prometteva di purificare i costumi politici del paese non è per nulla diverso dagli altri.
PATRICK GUINAND
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Dal 7 maggio 2017, giorno dell’elezione del presidente Macron, quindi, la Francia è sembrata congelata nella siderazione. Sembra che questo stato di beatitudine stia svanendo. La Francia si muove impercettibilmente. L’affare Benalla, in pieno mese di luglio, è stato come un rivelatore. Il rivelatore che qualcosa comincia a marcire nel Regno di Francia. La vernice, dopo qualche mese di lucentezza macroniana, si crepa.

Che il signor Benalla, la guardia del corpo personale del Presidente, incoronato del titolo di assistente al capo di gabinetto dell’Eliseo, fuori da ogni gerarchia poliziesca strettamente regolamentata in materia di sicurezza presidenziale, si autorizzi senza esservi comandato ad andare a osservare una manifestazione del primo maggio in Piazza della Contrescarpe a Parigi, molto lontano dunque dall’Eliseo, dove ovviamente il Presidente non doveva fare alcun atto di presenza, e grazie alla sua impulsività naturale si metta a maltrattare qualche manifestante, fa scattare, non appena le immagini testimonianze sono state rivelate dalla stampa, un quasi affare di stato, con tempesta mediatica e paralisi dell’azione di governo e politica per quindici giorni, la dice lunga sul clima che sottende attualmente la società francese. Ma cosa diavolo c’è andato a fare su quella galera! Avrebbe detto il nostro Jean-Baptiste Poquelin nazionale.

Dopo quindici giorni di mutismo, il Presidente, come lo si è conosciuto dalla sua elezione, abitudinario delle grandi parole, dichiara la Repubblica “inalterabile”, e si dice personalmente responsabile. Davanti ai francesi. Altrimenti dice, io sono il Re eletto, io punisco se necessario, e giriamo pagina, ci fu un tempo in cui un altro sovrano affermava “lo Stato sono io”, e credeva il regime inossidabile. Si sa quel che ne è seguito.

Perché i francesi cominciano a comprendere che questo giovane Presidente, che prometteva di purificare i costumi politici esagonali, non è per nulla differente dagli altri. E che al posto di purificazione, vi è uno spossessamento progressivo delle istanze democratiche tradizionali che è in atto, uno smantellamento finemente elaborato dei poteri intermedi, a beneficio di una cerchia ristretta di fedeli che circondano il Presidente, e finisce per prendere tutte le decisioni maggiori, al di là dei corpi costituiti. Una piccola corte, insomma.

Il Signor Macron ha un debole per la figura del Re, e la megalomania operativa comincia a sostituirsi all’eleganza letteraria della metafora reale. Come osservava più crudamente un editorialista del giornale L’Orient-le-Jour, riguardo l’affaire Benalla, uno “tsunami di ego” sta travolgendo la presidenza.

Qualche aneddoto giunge anche ad alimentare il cattivo umore dell’ambiente.

Una delle prime misure dell’era Marcon, ovvero la soppressione dell’imposta sulla ricchezza, che ha  esonerato il patrimonio finanziario dei nostri super ricchi mantendo nel paniere della tassa solo i beni immobili, è stata una perdita per lo stato valutata tra i tre e i cinque miliardi di euro. Il tutto fatto in nome del rilancio economico e della scommessa sulla buona volontà dei possessori di capitali di reinvestire i loro guadagni esonerati nell’economia, ciò che ben inteso non è ancora provato, con la conseguenza che il governo ha dovuto far fronte a una tempesta di proteste.

E al fine di cancellare questa immagine di “Presidente dei ricchi” che comincia a consolidarsi durevolmente, un correttivo è stato apportato come rinforzo della comunicazione mediatica, grazie alla creazione di una nuova tassa sui “segni esteriori di ricchezza”, con la misura faro dell’imposizione riguardante i proprietari di yacht. Precisiamo che si tratta comunque di yacht di più di trenta metri. Ora un’informazione molto discreta è appena filtrata da qualche giorno dal ministero delle finanze: dal 1 gennaio, data di entrata in vigore di questa imposta, un solo proprietario ha fatto una dichiarazione, il che ha portato allo stato la reale somma di 7500 euro. Ovviamente la pubblicità a quest’informazione è stata delle più ridotte.

Emmanuel Macron con la presidente della Croazia, Kolinda Grabar-Kitarovic

I partigiani di un’Europa aperta all’immigrazione non sono per nulla soddisfatti. In pieno affaire dell’Aquarius infatti, il presidente Macron ha avuto parole sovrane per celebrare nuovamente la tradizione di accoglienza della Francia, e nello stesso slancio, sapendo in maniera pertinente che la società francese è già supersaturata dalla presenza migratoria, ha riaffermato che le porte francesi resteranno chiuse a ogni nave che trasporti immigrati, ong o meno. E senza dirlo invia i suoi poliziotti a Ventimiglia per chiudere a chiave la frontiera con l’Italia.

Le parole appartengono alla tradizione dei Lumi, gli atti sono identici alla politica di chiusura applicata dal ministro italiano Salvini. Il Re Macron, certo illuminato, si rìvela campione del doppio linguaggio. Mancanza di potere a trovare una soluzione perenne alla questione migratoria. Ma finalmente, grazie in parte al potere delle parole, Macron  è risparmiato, e Salvini è mandato alla gogna. Linguaggio fiorito, immagine glamour da una parte, linguaggio crudo, immagine brutale dall’altra, ma identiche strategie.

Di certo nessun paese potrà far fronte da solo a questa novella portata dalla geopolitica mondiale, e particolarmente europea. Una realtà che si annuncia come uno degli affari dei decenni a venire. Il molto sperimentato Hubert Védrine, ex consigliere del Presidente Mitterrand e ministro degli Esteri della Francia dal 1997 al 2002, la cui pertinenza delle analisi continua a renderlo autorità, anche se la sua chiaroveggennza spesso da fastidio, l’ha chiaramente riaffermato in una opera recente: Comptes à rebours.

L’evoluzione della demografia africana non lascia alcuna possibilità all’Europa di continuare a chiudere gli occhi o adottare misure unicamente nazionali in materia di immigrazione. Le chiusure allleviano a breve termine, ma sul lungo è una questione di civilizzazione. E non sono gli accordi di Dublino, di un’ipocrisia innominabile, per quanto rivisti, che porteranno l’elisir dell’immunità. Si richiede ai nostri responsabili europei un po’ meno di cecità egocentrica, e un po’ di grandezza visionaria. E per il momento, Macron, pur restando Re, non è migliore degli altri. Nemmeno più grande degli altri.

Gli uomini e donne di cultura cominciano pure essi a cambiare tono. In una tribuna recente pubblicata da Le Monde, il popolarissimo Robin Renucci, attore di numerosi film di successo e fondatore di un festival di teatro in Haute-Corse largamente ispirato agli ideali dei pionieri della decentralizzazione drammatica del dopo guerra, esemplare della creazione e diffusione a vocazione popolare nella regione, ha appena affermato con forza, sostenuto da numerosi colleghi: 

La politica presidenziale rende deliberatamente più debole il ministero della cultura, che sembra essere destinato a giocare un ruolo secondario, eseguendo una politica pensata da una piccola cerchia di collaboratori presidenziali che non credono più nell’interesse della presenza dello stato e della sua azione nelle regioni…. che lavorano allo smantellamento di un’amministrazione culturale di cui disprezzano il lavoro e sottostimano la necessità.

Altrimenti detto, la Corte decide, il ministero della cultura è svuotato dei suoi mezzi e del suo senso, e lo snobismo parigino trionfa.

Il Presidente ama citare i filosofi, tra gli altri il suo maestro Paul Ricoeur, ma alla fine egli agisce da reuccio o signorotto di provincia, come se la responsabilità individuale e la condivisione del sapere, così cari ai filosofi, fossero valori obsoleti, l’onniscienza provenendo evidentemente dall’alto. Dunque dai cortigiani. La cultura anche lei, sarebbe dunque vittima della megalomania.

Emmanuel Macron con la presidente della Croazia, Kolinda Grabar-Kitarovic

Se a ciò si aggiunge, secondo l’affermazione di Le Monde, che il Parlamento e la sua maggioranza macroniana hanno approfittato del torpore estivo, questo primo di agosto, ultimo giorno della sessione parlamentare, per “svuotare definitivamente della sua sostanza” la riforma dell’assicurazione sulla disoccupazione come “diritto universale”, una promessa faro del candidato Macron, a danno ben inteso dei più deboli, che la riforma costituzionale, asse centrale delle visioni macroniane, ha dovuto essere rinviata al rientro dalle ferie in seguito dei blocchi causati dall’affaire Benalla, e che alcuni prossimi collaboratori del presidente cominciano a essere messi sulla graticola della giustizia per delle questioni di conflitto d’interesse, come il suo braccio destro, incaricato del posto strategico di segretario generale dell’Eliseo, per i suoi legami con l’armatore italiano Msc, si comprenderà che l’elettore francese di base rischia di uscire a breve dalla sua ipnosi post elezione presidenziale. La stessa maggioranza macroniana comincia a porsi delle domande e si sentono qui e là alcune voci dissidenti. La Corte sempre più si indispone.

L’erosione del consenso è dunque all’opera. Il disamore si installa. E il Re, ornato fino a qui dell’unzione novatrice e riformatrice, progressivamente si ritrova svestito. Il Re non è ancora nudo, lontano da lì, ma lo spogliamento si accelera, e l’eliocentrismo dell’Eliseo perde ogni giorno della sua luminosità.

Il Re non è nudo. Egli è quasi nudo.

[traduzione di Claudio Madricardo]

Versione originale in francese

Il Re è (quasi) nudo ultima modifica: 2018-08-13T11:50:39+02:00 da PATRICK GUINAND
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