Amália Rodrigues nell’estate di Lisbona

La Fundação Amália Rodrigues accoglie la casa museo della cantante morta nel 1999. Un luogo che trasporta il visitatore nella vita e nell’arte di una delle più grandi artiste del ventesimo secolo.
MASSIMILIANO CORTIVO
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[LISBONA]

No, non erano portoghesi. Francesi, sì, ancora francesi. Ma figurati se la gente di Lisbona viene da queste parti…

La signora sbuffa, si innervosisce un attimo, poi sospira, quasi rassegnata. Arriviamo nella tarda mattinata di una domenica d’agosto, quando il cielo è sempre il solito cielo azzurro ma il vento rinfresca già l’aria spazzando via le prime foglie secche dai marciapiedi. Non c’è nessuno in quella che per cinquant’anni è stata la casa di Amália Rodrigues, una delle voci e delle icone canore del Novecento assieme a Callas e Piaf.

A mettere la testa dentro alla Fundação Amália Rodrigues al 193 di rua de São Bento ci siamo solo noi. Ci accolgono, nella penombra, alcune vecchie locandine, un lieve profumo di rose e viole, una donna di mezza età dietro un bancone e un’altra che di anni, a occhio, ne ha più di settanta. Questa signora dai capelli bianchi che indossa un abito arancione ciabatta, parlotta, maledice bonariamente i suoi connazionali sempre più lontani da questo luogo mitico, e lancia un rapido sguardo verso di noi, quasi timorosi di aver sbagliato indirizzo: “Prego, prego, avanti”.

Amália Rodrigues (1964)

Non lo sapevamo, quando abbiamo fatto i primi passi sui tappeti persiani, ma a farci da guida, tra arazzi, quadri, divani e gioielli ci sarebbe stata proprio lei: Estrela Carvas, 76 anni e per quaranta segretaria personale, manager, amica e confidente di Amália. Il figlio e la figlia se ne sono andati di casa da decenni, il marito è finito in Brasile ormai da un pezzo (“storie di giovani donne” ci confiderà poi, senza alcuna gelosia) e lei, dopo la scomparsa della signora che lei continua a chiamare semplicemente Amália, trascorre buona parte delle sue giornate qui. A raccontare la vita della più celebre fadista di tutti i tempi.

Una volta capito chi avevamo accanto, abbiamo voluto sapere tutto sulle vite di entrambe: di Amália, certo, ma soprattutto di Estrela. Che con la cantante ha conosciuto le persone più incredibili e vissuto vicende che potrebbero riempire le sceneggiature di molti film. Due donne sempre assieme in questa casa di tre piani ma soprattutto in giro per il mondo. Davvero una storia pazzesca, quella della senhora Carvas. Iniziata nel 1960 quando, appena diciottenne, un bel giorno arrivò a Lisbona da Luanda, capitale dell’Angola dove viveva assieme alla famiglia. Fino a Lisbona a fare che?

Come a fare che? A conoscere Amália! Da quando avevo undici anni ero una sua fan sfegatata, ascoltavo tutte le sue canzoni, leggevo, mi informavo. Era un mito per me. E a un certo punto ho detto: ora basta, devo andare a conoscerla. Così, non senza sacrifici economici, sono partita e mi sono piazzata qui sotto – ci racconta dal primo piano dell’appartamento, come fosse un episodio accaduto la settimana scorsa – Io, ragazzina per la prima volta a Lisbona senza conoscere nessuno e con una voglia immensa di conoscere lei.

Una missione complicata quasi come quella di un ragazzino, oggi, alle prese con un autografo di Cristiano Ronaldo o di una teenager italiana alla ricerca di un selfie con Sfera Ebbasta e Ghali assieme. Estrela però è una ragazza testarda e da sotto le finestre di rua de São Bento non si scolla. Non riescono a farla desistere i vigili che ogni tanto passano di là e le dicono: “Sei ancora qua ad aspettare Amália? Ti abbiamo detto prima che non c’è, è in tournée, vattene via”. Non ci riescono i vicini di casa: “Amália? Non abita più qui da tempo”. Fino a che, però, a un certo punto dal balcone, incuriosita di vederla seduta sul marciapiede opposto da un paio di giorni, si affaccia Filipina, la colf della signora Rodrigues. Che Estrela conosce per aver letto di lei su qualche rivista e per il fatto di avere qualche amico alla lontana in comune.

Amália Rodrigues

Non potevo perdere l’occasione – dice Estrela. – Quando mi ha chiesto chi ero e che cosa volessi, le ho subito risposto: io so tutto di te, tu sei quella che così e così, amica di tizio e caio, nata qui eccetera eccetera, avanti con informazioni sempre più dettagliate.

Tanto dettagliate che ad un certo punto, con un rapido gesto della testa, la donna le fece cenno di salire. A questo punto, ancora oggi, a quasi sessant’anni di distanza, Estrela inciampa sul racconto che prende toni epici.

Erano le cinque del pomeriggio. Prima ho sentito la sua voce dalle scale, poi l’ho vista, lei qui e io qui – ci indica. – Quindi ci siamo sedute, Amália qui e io dove si trova lei adesso – precisa mostrandoci il punto esatto in cui ci trovavamo – e poi abbiamo chiacchierato. Quando ho guardato per la prima volta l’orologio erano le quattro del mattino, quando me ne andai albeggiava.

Tornò anche il giorno dopo, questa volta le aprì senza alcuna attesa. Ad attenderla, seduto sul divano c’era anche il marito della cantante, e i tre rimasero altre ore a parlare fino a che Amália, ancora una volta a notte fonda, disse al consorte: “Vai in albergo e prendi le sue valigie, la ragazza d’ora in poi vivrà con noi”. Estrela aveva già una famiglia a Luanda, un marito e due figli avuti in giovane età. Così non rifiutò l’offerta di collaborare (figuriamoci, chi l’avrebbe fatto) ma si divise tra Lisbona e la capitale Angolana. Questo per dieci anni, fino a che i figli crebbero un po’e il marito preferì il Brasile a lei. “Ora non hai più scuse”, disse Amália, “ora vivrai con noi in rua de São Bento”. E così fu. Anche se in quella abitazione a tre piani non ci rimaneva spesso, Estrela:

Partivamo per tournée lunghissime in giro per il mondo, qui ci restava solo Filipina. Un giorno eravamo a New York, poi ci chiamavano da Tokyo, e poi a Rio de Janeiro. Amália non diceva di no a nessuno, e io con lei. Capitava – ricorda – che si partisse per un breve tour europeo e poi ci si ritrovava lontani da Lisbona per dei mesi.

Amália, si sa, cantava, ma lei?

Io facevo tutto il resto. Quando sono arrivata non aveva un manager, non aveva nessuno, solo Filipina che sapeva a malapena leggere e scrivere. Il marito? Lei non si intrometteva nei suoi affari e non voleva che lui mettesse becco sulla sua vita di artista. Dovetti prendere in mano la situazione e cercare di fare un po’ di ordine. Qui regnava il caos, soldi sotto i cuscini del divano – ci confida alzandone uno e indicando col dito –, fatture pagate tre volte… ma lo sa che non aveva nemmeno un conto in banca? Cantava assieme a Edith Piaf eppure per organizzare un concerto dovevi passare direttamente da lei, sempre che Filipina decidesse di allungarle la cornetta di casa. Un inferno.

Una volta arrivata Estrela, donna rigorosa, la vita di Amália cambiò, e figuriamoci quella della signora che ci sta accanto:

Beh, sì, ovviamente all’inizio vivevo in un sogno, poi mi abituai. Venga a vedere il tavolo dove si pranzava: lei si sedeva a capotavola, il marito alla sua destra e io a sinistra, poi gli ospiti che non mancavano mai – e qui inizia a far di conto con le dita. – Sono passate un sacco di personalità, da Grace Kelly a Carlo d’Inghilterra, tutti i presidenti della repubblica portoghese, Mitterrand, grande amico, un’infinità di musicisti brasiliani, politici, attori, tutti se capitavano a Lisbona venivano qui. Che cosa preferiva mangiare? Quello era un problema – sorride –, lei avrebbe vissuto solo di tè, pane e formaggio. Si concedeva qualche sardinha assada, un po’ di bacalhau ma poca cosa. Amava andare in tournée in Francia perché, diceva, “hanno formaggi buoni quasi come i nostri portoghesi” e in Italia dove poteva mangiare le sue adorate penne all’arrabbiata come primo, secondo e pure come dolce.

Si dice amasse anche il vino…

Lo dicono i portoghesi, ma non è vero, dicono anche che avesse avuto mille amanti ma fu fedele a suo marito che morì qualche anno prima di lei. Io mi arrabbiavo quando leggevo certe cose sui giornali, lei mi invitava a non badarci: lascia che dicano, Estrela, lascia che dicano…

Amália Rodrigues (1964)

La sua morte arrivò il 9 ottobre del 1999, un martedì.

Cadde all’improvviso, mentre era in bagno: quella porta, laggiù in fondo, è l’unica che rimane e rimarrà chiusa per sempre.

“Quando morirò, voglio che la gente pianga per me” diceva spesso negli ultimi anni. Un paese intero pianse l’artista, la regina, il simbolo. Estrela pianse il suo mito di ragazzina e la sua amica di una vita. Ora ricordandola e passeggiando per quelle stesse stanze tra abiti di scena e scarpe (“ne comprava quasi un paio al giorno, erano la sua ossessione, forse perché da bimba non ne aveva ed era costretta a camminare scalza”) Estrela ne parla come se abitasse ancora qui con lei. Sempre sorridente, tranne in un momento. Quando, prima di congedarci, le chiediamo la possibilità di farle una foto, ed estraendo lo smartphone si accorge subito della cover dello Sporting, la seconda squadra di Lisbona e rivale acerrimo del Benfica. Allora fa un gesto, molto teatrale, come a coprirsi gli occhi. E in quell’attimo ritroviamo in lei la stessa postura vezzosa dell’amica artista: “Va bene, una foto la facciamo, ma per carità, metta via l’immagine di quel leone!”.

Amália Rodrigues nell’estate di Lisbona ultima modifica: 2018-08-20T08:46:59+02:00 da MASSIMILIANO CORTIVO
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1 commento

Madeira63 7 Ottobre 2018 a 9:18

Buongiorno, e grazie del suo prezioso contributo per Amala Rodrigues.
Saluti. Edgar

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