L’ arresto e il pestaggio del fotogiornalista, filmmaker e autore Shahidul Alam segnano probabilmente il punto di non ritorno della trasformazione del Bangladesh da una zoppicante democrazia ad un regime dittatoriale a partito unico. Alam, che ha sessantatré anni, è stato prelevato dagli agenti nella sua abitazione di Dacca il 5 agosto. Sei giorni dopo, quando è stato portato in tribunale, mostrava evidenti segni di tortura fisica e psicologica.
La sua amica pakistana Beena Sarwar, anche lei giornalista e autrice di libri e documentari, afferma di essere inorridita quando ha visto Alam portato in tribunale che “a malapena si reggeva in piedi”. Sarwar ricorda che
[…] pochi giorni prima (Alam) aveva dato una coraggiosa intervista ad Al Jazeera, spiegando il contesto della protesta degli studenti in Bangaldesh innescata dalla morte di due giovani in un incidente stradale. Invece di occuparsi della sicurezza delle strade e di cercare i colpevoli, il governo ha scatenato la polizia, che ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti.
Per la prima volta, accanto agli agenti delle forze dell’ordine sono comparsi a Dacca dei personaggi in borghese, armati di bastoni e di altri oggetti contundenti, che hanno preso parte ai pestaggi e che si sospetta siano squadristi del partito di governo, l’Awami League, guidato dal primo ministro Sheik Hasina.
A chi non conosce il Bangladesh, e in particolare la sua capitale Dacca, può sembrare strano che un movimento giovanile di protesta nasca da un incidente stradale. In realtà il caos del traffico di Dacca, una metropoli di oltre sette milioni di abitanti perennemente bloccata da mostruosi ingorghi nei quali camion, risciò, macchine, moto, biciclette e vari mezzi a trazione animale si mischiano in una ridda di suoni e di odori indefinibili è solo un indice del malgoverno e della corruzione che regnano nelle alte sfere del paese.
I mezzi di trasporto pubblico sono quasi inesistenti. Gli autobus carichi fino all’inverosimile, i traghetti che affondano nel fiume Buriganga, che attraversa la metropoli, sono diventati tragicamente proverbiali nel sud dell’Asia e nel resto del mondo.
Negli ultimi anni l’economia del paese è cresciuta a ritmi sostenuti, alimentata soprattutto da due fonti: le rimesse dei sempre più numerosi emigrati e il trasferimento dalla Cina di una serie di produzioni ad alto contenuto di lavoro, in primo luogo relative all’industria tessile.
Eliminata di fatto l’opposizione, Sheik Hasina guardava con relativa tranquillità alle prossime elezioni parlamentari, che si dovrebbero tenere tra ottobre e dicembre di quest’anno. L’esplosione della protesta studentesca, che rischia di innescare un processo non dissimile da quello delle primavere arabe, ha fatto traballare le certezze del premier e del suo partito.
Le ultime elezioni si sono tenute nel 2014 e sono state boicottate dall’opposizione, che ha accusato il governo di non aver messo in piedi un meccanismo credibile per controllare lo svolgimento della consultazione. Negli anni seguenti la leader del principale partito di opposizione, Khaleda Zia, è stata arrestata e condannata a cinque anni di prigione per truffa e non può partecipare alle elezioni. Con lei sono stati condannati a pene fino a dieci anni di detenzione altri cinque dirigenti del Bangladesh National Party (Bnp), tra cui il suo figlio maggiore ed erede politico Tarique Rahman.
Le due signore, Hasina e Khaleda, hanno dominato per due decenni la politica del Bangladesh, fino al colpo di stato soft del 2007, quando l’esercito è intervenuto nel tentativo di risolvere una volte per tutte il dualismo. L’una e l’altra sono esponenti di dinastie politiche: Hasina è figlia di Sheik Mujibur Rahman, che guidò la lotta per l’indipendenza e che in seguito fu assassinato dai militari, Khaleda è la vedova di Ziaur Rahman, un generale golpista che governò il paese dal 1975 – subito dopo l’assassino di Mujibur – al 1981, quando fu vittima di un contro-golpe di un gruppo rivale di militari.
Negli anni successivi all’intervento militare, cioè a partire dal 2008 fino ad oggi, la Awami League di Sheik Hasina è emersa come la forza politica dominante del paese, appoggiata anche dall’ esercito dato che Khaleda e il BNP avevano lasciato un vasto spazio agli estremisti legati all’internazionale islamica del terrore, che in questi anni hanno subito pesanti colpi e hanno visto fallire il loro progetto di fare del Bangladesh un retroterra per gli integralisti islamici attivi in tutta la regione.
Secondo l’indiano South Asia Terrorism Portal (Satp), un sito che si occupa con competenza del terrorismo nell’Asia Meridionale
[…] il Bangladesh ha fatto passi da gigante per sradicare il terrorismo dal paese dopo il terribile attacco terrorista del primo luglio 2016 (nel quale persero la vita cinque terroristi, due poliziotti e 22 civili tra cui nove italiani).
Nonostante questo e anche a causa della crisi dei profughi di etnia Rohingyas dal vicino Myanmar, aggiunge il Satp, “è improbabile che in Bangladesh la guerra al terrore finisca presto”. Ora sembra che la Awami League voglia liberarsi di tutte le opposizioni, compresa quelle democratica della quale Shahidul Alam fa parte a pieno titolo.
Ha scritto ancora Beena Sarwar:
[…] vedendo Shahidul trascinato via ho pensato alla sua significativa mostra di foto del 2012 intitolata ‘Crossfire’, che evocava le minacce delle detenzioni illegali e delle esecuzioni extra-giudiziali. Quest’anno ha già visto un aumento preoccupante delle esecuzioni extra-giudiziali e delle morti in custodia che secondo gli analisti sono parte di una campagna di intimidazioni in vista delle elezioni. Per decenni Shahidul ha denunciato questi abusi, compresa la mancanza di processi regolari contro i criminali comuni e i sospetti di terrorismo. Ora anche lui ne è una vittima.
Conclude l’autrice pakistana:
Mentre il governo sembra determinato a fare di Shahidul un esempio, il primo ministro Sheik Hasina farebbe bene a trovare una via d’uscita e a lasciarlo libero. La storia ci insegna che sopprimere con la forza le aspirazioni democratiche non funziona sul lungo periodo.
Nella foto di copertina Shahidul Alam, il fotogiornalista e scrittore arrestato.

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