Cile. Guai a chi tocca il parallelepipedo

Il Museo de la Memoria di Santiago è "una messa in scena… un uso svergognato e falso di una tragedia nazionale", afferma il ministro della cultura del governo di destra. Licenziato
CLAUDIO MADRICARDO
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A Santiago, il Museo de la Memoria y los Derechos Humanos, l’enorme parallelepipedo di vetro sostenuto da due basi di cemento che sorge in una vasta area circostante la Calle Matucana, segna profondamente l’animo dei molti che lo visitano, e risveglia ricordi di orrori che non si possono dimenticare.

Inaugurato nel 2010 dall’ex presidente Michelle Bachelet, lo spazio offre un doloroso percorso attraverso oggetti, documenti e archivi di diversi supporti e formati, dai quali si può conoscere la storia della repressione, della resistenza, dell’esilio e della solidarietà internazionale.

Denuncia le violazioni dei diritti umani commessi dal governo di Augusto Pinochet, dal colpo di stato del martedì 11 settembre 1973 al 1990, facendo riflettere sui valori del rispetto e della tolleranza calpestati per lunghi anni in Cile. 

Entrando a pianoterra, si viene dapprima portati a rivivere il giorno del golpe dal palazzo presidenziale della Moneda, che si risveglia circondato di militari e carri armati che sostano in Plaza de la Constitución, mentre gli elicotteri sorvolano la zona. 

Attraverso testimonianze sonore originali in cui fa ghiacciare il sangue il rumore delle armi, bombardando il visitatore di foto e video, si scorre dalla richiesta di resa al presidente eletto Salvador Allende, alle prime cannonate dei carri armati contro la sede presidenziale e alla resistenza degli assediati, all’incendio dell’ala nord della Moneda, fino all’ingresso dei golpisti. Nemmeno un giorno dopo la nuova Junta Militar controlla tutto il paese, con un bilancio di 598 morti, 274 detenuti scomparsi, 19.083 prigionieri politici e torturati. 

Il tutto è accuratamente documentato dal Museo attraverso il patrimonio dei suoi archivi che comprendono innumerevoli testimonianze orali e scritte, documenti giudiziari, lettere, racconti, ritagli di giornale, materiale audiovisivo, fotografie e lungometraggi. 

Il percorso prosegue tra i numerosi dossier che riguardano le vittime, tra le tante vicende di persone che hanno avuto il solo torto di aver militato a sinistra. E ci s’imbatte, tra i molti, in quello dedicato al musicista Jorge Peña Hen al quale il Cile odierno intitola università e inaugura monumenti, per la sua opera di pioniere delle orchestre giovanili che aveva promosso. E che la stampa del regime di Pinochet, senza tema del ridicolo, aveva accusato di trasportare armi nascoste nelle custodie dei violini dei suoi giovani allievi in tournée. 

Foto panoramica dell’explanada del Museo de la Memoria il 15 agosto scorso

È un viaggio nell’incubo la visita del Museo della Memoria, che ha il suo culmine davanti alla grande parete in cui sono riprodotte le foto delle vittime dove si arriva col cuore gonfio, annichiliti da tanta violenza. 

Forse è per questa ragione che, Sebastián Piñera, l’attuale presidente cileno eletto dalla destra, non ha retto alle affermazioni del suo nuovo ministro della cultura Mauricio Rojas riguardo al Museo, e l’ha mandato a casa.

Di certo Piñera non può essere accusato di nostalgie pinochettiste, pur contando tra i suoi sostenitori la destra più impresentabile che non a caso la notte delle elezioni è scesa nelle strade di Santiago a festeggiare. Appartenendo egli piuttosto a quella destra degli affari per la quale le ragioni dell’ideologia lasciano il tempo che trovano. 

Lo scandalo l’ha invece suscitato il suo ministro della cultura Rojas che era stato nominato solo giovedì scorso in sostituzione di Alejandra Pérez. Di lui si è scoperto che aveva scritto che

il Museo è una messa in scena il cui proposito … è colpire lo spettatore, lasciarlo attonito, impedirgli di ragionare, è una manipolazione della storia. È un uso svergognato e falso di una tragedia nazionale che a molti è toccata così duramente e direttamente.

La vicenda è emersa dopo che Andrés Gómez Bravo, riportando su La Tercera una sua conversazione con Rojas, aveva segnalato il neo ministro come un detrattore del Museo, trascrivendo i giudizi da lui espressi in Diálogo de Conversos del 2015. Se al suo apparire tre anni fa il libro è passato inosservato, non così è stato dopo che le sue opinioni sono state rese pubbliche dal popolare giornale. Tanto più che a nessuno sfuggiva che ad averle dette era chi rivestiva un’importante carica governativa. 

In breve, quella che a molti è apparsa una situazione scandalosa ha percorso come un’onda di tsunami i social media dei cileni, che hanno chiesto a gran voce le dimissioni di Rojas. Poco è servito che il ministro abbia dichiarato attraverso twitter che quelle opinioni “non riflettono la mia posizione attuale”. 

A Piñera restava solo la strada di accettare le sue dimissioni da ministro della cultura, cosa che ha fatto, non scordandosi di prendere bene le distanze da Rojas,

le cui opinioni e dichiarazioni rispetto al senso e alla missione del Museo della Memoria non condividiamo,

ha precisato.  

Se quella di Piñera è apparsa una scelta obbligata, essa segna anche il fallimento di un’operazione che proprio sul personaggio di Rojas aveva fatto perno, partendo dalla storia personale dell’ex ministro che è nato nel 1950. Il quale, come valore aggiunto agli occhi del presidente, poteva contare sul non aver mai fatto parte di quella destra che può essere tacciata di nostalgie pinochettiste.

Il giovane Rojas, infatti, studente di diritto nel 1972 all’Università del Cile, vantava simpatie trozkiste. E all’indomani del golpe del ’73, prende la via dell’esilio partendo per la Svezia dove entra in contatto con gli altri fuoriusciti. 

E intraprende un percorso personale che lo porta a lasciare lentamente le sue posizioni di sinistra, fino ad approdare agli ambienti del Partito Liberale svedese, per il quale viene anche eletto per due volte in parlamento. 

Forse per aggiungere fascino all’aureola con cui è stato presentato, di lui si è anche parlato di una breve militanza nel MIR (Movimiento Izquierda Revolucionaria), ma la cosa è stata prontamente smentita in questi giorni da Andrés Pascual Allende, che ne è stato segretario, il quale nega di averlo mai conosciuto. 

Così, col passare del tempo, le sue idee, pare a causa dell’analisi dell’esperienza del socialismo reale dei paesi dell’Est, cambiano fino a farlo approdare a posizioni liberali, e lo portano ad abbandonare quegli insegnamenti che dalla madre, una professoressa socialista e sostenitrice di Allende, gli erano stati impartiti. 

Da lì ad avvicinarsi alla destra politica e economica il passo è breve, fino a entrare a far parte del direttivo della Fundación Internacional para la Libertad dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, altro noto transfuga della sinistra. 

Per quanto egli ancor oggi continui a rappresentare qualcosa di diverso dalle posizioni tradizionali della destra cilena, soprattutto in tema di religione e diritti degli omosessuali, e si dichiari agnostico e a favore del matrimonio gay. 

Posizioni lontanissime, quindi, da quelle tradizionalmente sostenute dalla destra becera del suo paese. Questo era di fondo il motivo per cui era stato nominato da Sebastián Piñera, al quale un’operazione di maquillage politico che lo svincolasse dall’abbraccio della destra più impresentabile era di sicuro utile. 

Il torto di Mauricio Rojas è stato quello di spingere le sue provocazioni fino a un limite intollerabile. Un conto che l’abbia fatto in un libro che nessuno ha letto. Altra cosa che appartenga al curriculum di un ministro della cultura. E all’indomani delle sue dimissioni una folla festante è accorsa al Museo, mentre Sebastián Piñera ha avanzato l’idea di aprire un museo della democrazia necessario, a suo dire, perché troppe volte il Cile nella sua storia recente ha vissuto in dittatura. Proposta forse fatta per calmare gli animi e rimediare alla figuraccia, che sarà interessante vedere se avrà un seguito.

In un paese come il Cile, in cui la memoria del passato, oltre a essere onorata e conservata in un Museo a lei dedicata, è pane masticato quotidianamente da un’infinità di suoi cittadini che ne sono state vittime, un ministro come Mauricio Rojas non poteva essere tollerato. 

Cile. Guai a chi tocca il parallelepipedo ultima modifica: 2018-08-25T19:12:49+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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1 commento

MaríaFedora Peña 26 Agosto 2018 a 3:20

Excelente reportaje, clara visión de lo que ha acontecido y me impactó el dramatismo y la realidad en la narración del recorrido por el Museo. Creo es lo que el periodista experimentó cuando lo visitó. Gracias Claudio por recordar a mi padre. Un abrazo

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