McCain e Trump agli antipodi. Anzi no

La morte del senatore dell'Arizona alimenta la narrativa negativa sul presidente, il primo considerato un modello di politico rigoroso e rispettabile, l'opposto del secondo. Eppure tra i due c'è molta più sintonia e continuità di quanto non appaia
GUIDO MOLTEDO
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Il lungo addio di John McCain inizia un anno fa, quando il senatore fa sapere di essere stato colpito da un tumore al cervello, un aggressivo e incurabile glioblastoma. Dovrebbe morire in poco tempo, è la diagnosi, ma non è così, e nei dodici mesi d’andirivieni tra Washington e l’ospedale della marina che l’ha in cura, l’ottantenne senatore dell’Arizona ha il tempo e l’energia per attaccare in diverse occasioni Donald Trump, che detesta. Gli nega il suo voto decisivo sul tentativo di annullare l’Obamacare. Fino ad annunciare che la presenza del presidente non sarà gradita ai suoi funerali. Che vedranno invece protagonisti due ex-presidenti. Due suoi avversari in due sfortunate corse presidenziali, George W Bush, che lo sconfisse nelle primarie repubblicane del 2000, e Barack Obama, che lo battè nelle presidenziali del 2008.

John McCain e Donald Trump. Due Americhe. Due versioni antitetiche del conservatorismo. Dopo la morte del senatore repubblicano, sabato scorso, ancor più di quanto non sia successo dopo l’annuncio della sua malattia fatale, s’intensificherà e s’arricchirà la narrativa che vede in McCain l’esempio positivo dell’integrità, del rigore, della serietà, dell’etica, della politica come servizio al paese. Qualità che mancano del tutto all’attuale presidente, personaggio agli antipodi di McCain, uomo senza principi, pronto a tutto, inaffidabile, un pericolo per la democrazia americana.

I funerali di McCain saranno il momento culminante di questa narrativa di personaggi emblematici in conflitto e in contrapposizione.

A ben vedere è una narrativa che può essere in buona misura rovesciata. Anzi, nel suo rovescio ci sono più verità che in quella dominante.

McCain e Trump, infatti, hanno in comune diversi tratti. Il senatore si definiva, e per molti aspetti lo era davvero, un maverick. Repubblicano sì, ma non faceva parte della mandria, era, appunto, “un vitello senza marchio” (maverick). Nelle sei legislature da senatore McCain vota sovente in dissenso rispetto al suo partito. Pratica volentieri il trasversalismo su temi di politica internazionale e interna con esponenti democratici, di cui diventa amico personale, come Russ Feingold e Joe Biden. Gli piace avere le mani libere.

Pure Trump non ha un marchio impresso sulla pelle, è un outsider, i vecchi repubblicani lo detestano tanto quanto lo detesta McCain. Figlio di un miliardario, imprenditore edile come lui, arriva alla politica portandosi il piglio arrogante del riccone, lo stile che non piace ai politici, che pure si fanno finanziare da questi miliardari. McCain è figlio di un ammiraglio, John. S, e nipote di un ammiraglio, John S. Anche lui in marina (da aviatore della marina finirà prigioniero dei vietnamiti, cinque anni di detenzione dura nell’“Hanoi Hilton”). Entrambi, insomma, non vengono dal nulla, hanno una solida storia di famiglia alle spalle. E poi il motto della campagna presidenziale di McCain: “Country First”[Il Paese prima di tutto], non così diverso da “America First” di Trump.

Ma c’è qualcosa di più corposo e significativo che collega i due personaggi. McCain, proprio per via della sua eccentricità, è il repubblicano che rompe gli schemi sempre seguiti dall’establishment, quando, sfidante di Obama nel 2008, lascia di stucco la vecchia guarda del Grand Old Party e sceglie come sua “vice” nel ticket  presidenziale Sarah Palin, eroina del tea party, portabandiera del nuovo estremismo conservatore destinato ad avere la meglio su quello tradizionale.

La governatrice dell’Alaska fa una campagna che ha moltissimo del Trump che sconfiggerà Clinton e del Trump presidente. C’è l’antiobamismo apertamente razzista, il rancore verso i media, tratti evidenti di suprematismo bianco, c’è insomma tutto il repertorio che diventerà il bagaglio elettorale del tycoon newyorkese.

Si pentirà, McCain, di aver scelto Palin, prima per il suo evidente dilettantismo, mentre l’America entrava nella crisi nera della recessione, poi per gli effetti devastanti sulla fibra del Partito repubblicano, da quel momento in poi preda del tea party, avvitato dentro una metamorfosi che avrebbe consentito e favorito l’arrivo di un candidato come Trump.

McCain e Trump agli antipodi. Anzi no ultima modifica: 2018-08-26T21:31:37+02:00 da GUIDO MOLTEDO
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