Facciamo due conti sul caso Salvini. Due giorni fa il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha ravvisato alcune ipotesi di reato a carico del ministro dell’interno e del suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Si tratta di reati gravi che sarebbero stati commessi a danno dei migranti a bordo del pattugliatore Diciotti: sequestro di persona, abuso di ufficio e arresto illegale, che insieme prevedono una pena fino a diciassette anni di carcere.
Come vuole la legge (l. Costituzionale n. 1 del 1989), trattandosi di reati commessi da un ministro nell’esercizio delle sue funzioni, il procuratore Patronaggio, compiuti alcuni atti istruttori e interrogatori al Viminale, ha trasmesso l’incartamento al procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, Roberto Scarpinato, che ha quindici giorni di tempo per trasmettere, “senza compiere alcuna indagine” dice la legge, una sua relazione al cosiddetto tribunale dei ministri di Palermo.
Si tratta di un collegio speciale composto da tre giudici istituito presso ogni distretto di corte d’appello che deve giudicare dei reati ministeriali.
Ma attenzione, non subito. Prima deve richiedere l’autorizzazione a procedere alla Camera di appartenenza del ministro (nel caso di Salvini il Senato) e ha novanta giorni di tempo in cui può fare le sue indagini, sentire gli indagati e i testimoni. Entro quella data deve decidere, inappellabilmente, se archiviare o se inoltrare la richiesta al presidente della camera interessata. Da quel momento scattano sessanta giorni entro i quali l’assemblea del Senato dovrà prendere, a maggioranza assoluta, una decisione sulla base dell’esame preliminare e proposta della Giunta delle immunità. Se l’autorizzazione viene concessa le carte tornano alla procura generale che le trasmette di nuovo al tribunale dei ministri e a questo punto può iniziare il processo, di primo grado.
Quanto tempo ci vorrà allora? Dunque, quindici giorni per la procura generale, tre mesi per il tribunale dei ministri, due mesi per il Senato, totale cinque messi e mezzo. Entro metà febbraio quindi il ministro Salvini dovrebbe essere rinviato a giudizio per i reati a lui ascritti. A meno che… il tribunale dei ministri non decida di archiviare (improbabile dato che i reati sono stati commessi sotto gli occhi di tutti), e che al Senato i 5s votino a favore del ministro del loro alleato (molto probabile). E tuttavia è anche possibile che i pentastellati abbiano un sussulto di dignità in coerenza con i loro passati proclami (via gli indagati dalle istituzioni! No ai privilegi della casta!) e decidano invece di votare a favore dell’autorizzazione.
A quel punto, se ci si arriverà, sarà crisi di governo ed è nell’indole avventuristica e spregiudicata di Matteo Salvini che da crisi di governo si passi a crisi istituzionale con conseguente impossibilità di dare vita ad un nuovo governo giallo-verde e scioglimento delle camere. Giusto in tempo per andare a votare, nella forchetta 45-70 giorni, il 26 maggio 2019, il giorno delle elezioni europee.
P. S. Ieri il ministro Salvini ha proclamato ai quattro venti che intende rinunciare all’immunità parlamentare. Come sa qualunque studente di legge, l’istituto dell’immunità esiste a tutela dell’integrità dell’organo (il Senato) e non del singolo parlamentare e quindi Salvini non può rinunciarvi (i precedenti non mancano). È facile immaginare che i senatori della Lega, pensosi del bene supremo del Senato, loderanno la disponibilità del loro ministro e negheranno l’autorizzazione. E così si torna al punto di partenza: avranno i senatori 5s un sussulto di dignità? Se sì, ci sarà la crisi e la corsa verso le elezioni. Se no, inizierà il loro inarrestabile declino. E non è escluso che entrambi gli esiti piacciano al ministro indagato.

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