“Trump e McCain, due Americhe”. Parla Massimo Teodori

“L’attuale presidente ha rotto con la tradizione internazionalista, incarnata anche dall’ex candidato alla Casa Bianca. Questo è un punto di svolta molto radicale”, sostiene il professore e storico.
MATTEO ANGELI
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Con la morte di John McCain, se ne va uno dei grandi protagonisti della politica americana degli ultimi decenni, che nei mesi scorsi si era distinto per la ferma opposizione al presidente Donald Trump. Un’antitesi, quella tra McCain e Trump, sulla quale tanto si è scritto e detto negli ultimi giorni, con i due protagonisti dipinti rispettivamente come “eroe” e “antieroe”. Quanto e in cosa differivano veramente i due pesi massimi del partito repubblicano? Lo abbiamo chiesto a Massimo Teodori, storico, professore e giornalista esperto di questioni americane.

[Teodori parteciperà sabato prossimo a un dibattito – sui temi affrontati in questa conversazione – con Guido Moltedo e l’ambasciatore Gianpaolo Scarante, nell’ambito del Festival della Politica a Mestre] 

Massimo Teodori

Professor Teodori, quali sono gli elementi principali dell’eredità politica di John McCain?
McCain è stato un conservatore a tutto campo. La sua figura si inserisce nella tradizione del Grand Old Party che rispetta i valori di fondo della democrazia americana, che sono poi quelle regole istituzionali che sono state alterate da Donald Trump.

Può elencarci alcuni dei principi di cui parla?
Il riferimento è ai principi riguardanti la divisione dei poteri, il rispetto dell’autonomia dell’azione giudiziaria, i diritti dell’individuo e tutti gli altri diritti di libertà sanciti nel Bill of Rights. E ancora si possono citare il ruolo importante di controllo della minoranza nelle assemblee elettive, il rispetto da parte del Presidente delle agenzie indipendenti, oltre che della magistratura. Insomma tutti quei canoni che caratterizzano nella liberal-democrazia l’equilibrio dei Checks and Balances.
Non a caso, nell’ultimo periodo, McCain ha criticato Trump per l’invadenza sul sistema giudiziario e, nei primi anni Duemila, ha condannato le violazioni dei diritti umani nelle prigioni di Abu Ghraib, tema sul quale era molto sensibile, anche per storia personale.

In un certo senso, però, McCain, preparò il terreno per l’ascesa di Trump, scegliendo nel 2018 come suo vice per la corsa alla presidenza Sarah Palin, eroina del tea party. Da qual momento la retorica del tea party ha preso piede nel partito, favorendo il successo di Trump. Qual è la sua valutazione a riguardo?
L’osservazione è motivata perché la scelta della Palin come candidata vicepresidente fu contraddittoria proprio con i valori storici del repubblicanesimo classico, cioè il rispetto delle libertà e dei diritti individuali.
Quella scelta fu sicuramente strumentale ad accattivarsi la porzione dell’elettorato che già da allora tendeva verso una linea fondamentalista e integralista, proprio sui problemi delle libertà individuali. Una fetta di elettorato che era rappresentata allora dal Tea Party e che poi sarebbe stata esaltata dalla corrente nativista-sovranista impostasi con Trump nelle ultime elezioni.

Dal punto di vista ideologico, McCain e Trump incarnano due visioni opposte di conservatorismo. Dal punto di vista di quelle che sono le politiche messe in atto da Trump, invece, pensa che tra i due ci siano stati dei punti di contatto?
Non mi risulta che da parte di McCain ci siano state particolari adesioni alla politica di Trump.
C’è invece una linea di divisione che non si può dimenticare. È la linea che separa la visione internazionalista, multilaterale, del ruolo dell’America nel mondo, e la visione sovranista.
La prima viene di volta in volta declinata con l’uso della forza o con l’esaltazione della diplomazia e del soft power. La forza, nell’ambito dell’internazionalismo americano è stata usata da Ronald Reagan e sarebbe stata probabilmente attuata anche dalla presidenza McCain. Trump ha rotto con la tradizione internazionalista di tutti i tipi che finora aveva accomunato repubblicani e democratici.

Perché?
Perché la visione di Trump è anti-internazionalista. È di tipo sovranista e nazionalista: nel suo discorso fondamentale di politica estera alle Nazioni Unite Trump ha affermato: “Voglio solo avere rapporti bilaterali con stati forti e sovrani”. Ed è chiaro che cosa ha sostenuto per i rapporti con l’Unione europea, per l’Alleanza atlantica, per i trattati multilaterali, per esempio quello nucleare con l’Iran o l’accordo sul clima. Perciò è evidente la linea di divisione tra un vecchio internazionalismo, che poteva essere fondato sul diritto, sugli organismi internazionali, sui trattati multilaterali o sulla forza, e dall’altra parte il sovranismo nazionalista. Questo è una svolta molto radicale.

In questo momento una parte dei conservatori, e non solo, sta esaltando la figura di McCain, anche in contrapposizione a quella del presidente Trump. Non pensa che il fatto che McCain abbia votato a favore di tutte le recenti guerre degli Stati Uniti e soprattutto abbia partecipato alla guerra in Vietnam metta in discussione l’etichetta di eroe che gli si vuole attribuire?
McCain va considerato come un personaggio con una sua fisionomia personale, molto individuale che non a caso gli ha valso la denominazione di Maverick. Perciò non si può parlare di una sua eredità generale, al di là del repubblicanesimo conservatore.
Ciò detto, alla luce della storia dell’ultimo mezzo secolo, mi pare che non si possa fare l’esame del sangue con la condanna o l’esaltazione di quello che fecero i cinque milioni di americani che andarono con la leva in Vietnam, a fronte delle centinaia di migliaia di giovani che scelsero la resistenza alla leva fuggendo in Canada o in Svezia, e non si possano usare le categorie a posteriori di eroi e antieroi che non rispondono ad alcuna seria analisi di carattere storico.

Qui potete trovare il programma completo.

“Trump e McCain, due Americhe”. Parla Massimo Teodori ultima modifica: 2018-09-03T22:41:10+02:00 da MATTEO ANGELI
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