Un successo che fa molta sensazione, quello di Ayanna Pressley nelle primarie democratiche per la scelta del candidato del Settimo distretto del Massachusetts (che comprende zone diverse della città metropolitana di Boston) in corsa per le elezioni del prossimo novembre per il Congresso di Washington. In quel distretto, che un tempo eleggeva John Kennedy, regnava indisturbato da 22 anni Mike Capuano, un esponente liberal molto rispettato. Doppia dunque l’importanza della vittoria di Ayanna: batte un politico di lungo corso, rompendo la tradizione/tabù di sfidare un “incumbent” importante; e batte, contro ogni pronostico, un politico progressista di spicco. Ma è importante, anche, la sua vittoria perché va ad aggiungersi ad altri successi della sinistra, nelle diverse elezioni primarie in corso negli Usa dallo scorso luglio, una serie aperta dalla vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez, e più recentemente confermata da quella in Florida di Andrew Gillum, il sindaco di Tallahassee, il primo nero a vincere primarie di partito per l’elezione del governatore dello stato.
Lo scorso 2 agosto ytali.com aveva incontrato Ayanna Pressley in un’iniziativa di partito a Boston. Riproponiamo ai nostri elettori il resoconto di quell’incontro.
[BOSTON]
Nella luminosa sala della sede municipale di Roxbury, quartiere periferico di Boston, Ayanna Pressley spicca elegante e solitaria dietro il tavolo degli oratori. Il suo rivale, Mike Capuano, ha dato forfait. E così Ayanna ha tutta per sé l’attenzione del pubblico nel “dibattito” che chiude un lungo pomeriggio di confronti a due o a tre tra i candidati nelle primarie democratiche fissate per il 4 settembre.
I dibattiti sono tutti nel segno della civiltà e del rispetto, con maniacale attenzione ai tempi (valgono anche per Ayanna), nessun segno di nervosismo anche se la posta in gioco è particolarmente alta, questa volta. Il tratto che unisce tutti i confronti, da quello per l’elezione al senato del Massachusetts a quello per la camera dei rappresentati a Washington, è il confronto/scontro generazionale.
La città della dinastia Kennedy, il luogo più emblematico del liberalism, esprime da sempre rappresentanti politici progressisti. Difficilmente un repubblicano può sperare di farcela, con l’eccezione notevole della carica di governatore dello stato, attualmente, e non è la prima volta, occupata da un repubblicano, naturalmente della specie agli antipodi di Trump. L’attuale governatore, Charlie Baker, ha preso clamorosamente le distanze dal presidente, rifiutandosi d’inviare la guardia nazionale del Massachusetts alla frontiera con il Messico per partecipare all’attività di contrasto all’immigrazione clandestina. Si dice che l’alternanza, in quella carica, sia un antidoto a che il Partito democratico locale non si trasformi in partito-stato, chiuso all’innovazione e al ricambio.
Già, il ricambio.
In un ambiente politico così è difficile emergere contrastando i politici già affermati con posizioni “più” di sinistra. Certo, si può fare sempre meglio e le lagnanze non mancano mai. Per esempio, Roxbury è il “cuore della Black culture” di Boston, è una comunità a basso reddito, prevalentemente neri, latinos e mediorientali, è un quartiere molto più civile di tante nostre periferie, ma è evidentemente un altro mondo rispetto a quartieri e a municipalità come Cambridge e come le zone del centro, in una città tra le più benestanti e più care d’America. E a Roxbury, com’è già avvenuto in altri quartieri bostoniani della classe lavoratrice e delle minoranze, è in corso un processo di “gentrification” che ovviamente gli abitanti temono. “Bene che ripuliscano un po’ il nostro quartiere, purché non lo ripuliscano anche della nostra presenza”, ci dice una signora africano americana che risiede qui da sempre.
La questione degli affitti “sociali” è sentito in questo forum, così come quello del trasporto pubblico, peraltro già molto buono, poi l’istruzione pubblica, già molto migliorata negli ultimi vent’anni a detta di tutti, oltre alle questioni nazionali più sentite in questo momento in America, come l’accesso gratuito agli studi universitari, l’assistenza sanitaria universale e la tutela degli immigrati presi di mira dall’attuale amministrazione. Ma bisogna andare davvero nei dettagli per individuare vere differenze tra un candidato e l’altro.
In passato un “incumbent”, cioè un candidato alla rielezione, deputato federale o statale, o senatore, raramente sarebbe stato messo in discussione. Non sembrava ci fosse ragione per sostituire con un esordiente un politico navigato, che conosce gli elettori uno per uno, sa come muoversi nei palazzi del potere, che insomma è una personalità rispettata e anche amata per l’attività che svolge per il suo elettorato e per il paese.
È il caso di Mike Capuano, 66 anni, dieci legislature alle spalle, democratico di peso nazionale, un curriculum politico e legislativo di tutto rispetto. Tant’è che la sua campagna per la rielezione a novembre è ben finanziata dai donor. E ha l’appoggio della macchina del partito e di personalità di spicco, come l’ex governatore dello stato Deval Patrick e il sindaco di Boston Marty Walsh.
I sondaggi lo danno comodamente in testa. Eppure Capuano è il primo a non dare per scontata la sua vittoria e si sta impegnando come fosse la prima volta per battere Ayanna. Non intende ripetere l’errore di sottovalutazione dell’avversaria compiuto dal suo omologo newyorkese Joe Crowley, anche lui un veterano del Congresso, inaspettatamente e sonoramente battuto nelle primarie democratiche da una novizia della politica, la ventottenne latina Alexandria Ocasio-Cortez.
“Alex” è il paradigma di questa nuova stagione della politica democratica, segnata dal trumpismo senza freni ma anche dal successo che persiste di Bernie Sanders. Una fase politica segnata dal #metoo e dall’indignazione e dalla reazione alle feroci politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze e degli immigrati. La vittoria di Ocasio-Cortez è stata “un terremoto”, come scrive Politico, che sta provocando un movimento sismico in gran parte dei diciannove stati dove si devono temere le primarie democratiche in vista del voto di medio termine a novembre. Tra cui, appunto, il Massachusetts.
Nessuno oserebbe usare qui parole come rottamazione, per descrivere il terremoto in corso. Ma di questo si tratta. Complice l’avvento di Trump, che anima come non mai l’attivismo e la militanza d’opposizione, e ancora con l’amaro in bocca per la mancata nomination di Bernie Sanders, considerato l’unico candidato in grado di battere Trump, quella che un tempo era la sinistra minoritaria del Partito democratico si candida adesso a guidarlo. C’è la diffusa convinzione che solo con un ricambio di rappresentanza – più giovani, più donne, più minoranze – e con l’affermazione senza complessi di idee un tempo considerate estremistiche e non spendibili (come l’assistenza sanitaria universale e la gratuità dell’educazione universitaria), unita a un’opposizione senza compromessi a Trump, sia possibile conquistare la maggioranza alle prossime elezioni di mid-term.
Alexandria Ocasio-Cortez, ormai assurta a star dei democrats, è stata la prima a dare il suo sostegno a Ayanna, 44 anni, consigliera municipale da otto anni, con l’effetto immediato di un grande balzo nella raccolta dei fondi. E sulla sua scia sono arrivati altri endorsement di peso, ultimo quello del ministro di giustizia del Massachusetts, Maura Healey, personalità qui molto nota e influente, in grado di spostare blocchi di voti.
Il ricambio delle facce è considerato un rischio – e molti lo ripetono a proposito del duello di Boston – in un mondo politico che apprezza l’esperienza tra le virtù principali per un eletto, garanzia per gli elettori. Ma se tanta esperienza porta alla sconfitta (è il rimprovero principale rivolto a Hillary, che ha sempre usato questo argomento sia nel confronto con Obama sia in quello con Trump), non è forse il caso di cambiare? Basta con la consuetudine diventata regola “aspetta il tuo turno” in virtù della quale bisognava fare una lunga gavetta e aspettare che un posto si liberasse. Il partito si apra alla competizione di idee e di persone.
“Le mie lenti” sono diverse, sostiene Ayanna, rivendicando il diritto di sfidare il vecchio Mike, e con lui sfidare soprattutto l’establishment, lo status quo, i poteri che si sono organizzati intorno a lui e che arrivano ad accusarla di tradimento per aver osato candidarsi alle primarie.
Ayanna è donna. Di colore. Viene da una famiglia povera. È “movimentista”. Ma, diversamente da Alexandria, ha una certa esperienza politica e amministrativa, anche se solo a livello cittadino.
Al di là delle vicende locali, dove Capuano non può essere ragionevolmente criticato, al di là anche di molti temi nazionali di cui si è occupato impeccabilmente come congressman, il rinnovamento evocato da Ayanna, in sintonia con “Alex” e con i tanti candidati e candidate dello stesso stampo, riguarda il partito nel suo complesso, nella sua capacità di riconquistare la maggioranza, proponendo un’agenda innovativa rispetto al centrismo clintoniano finora dominante, e rinnovata anche nelle persone che la dovranno portare avanti.
In contrasto rispetto a quanto è accaduto a New York, Ayanna ha un percorso molto più in salita di quello che ha portato Ocasio-Cortez al successo. La demografia del collegio elettorale può esserle favorevole, essendo un distretto “majority-minority”, nel quale cioè la maggioranza è costituita da una o più minoranze. Collegio che comprende anche quartieri alti, come Cambridge. Una battaglia difficile, ma non impossibile. Una battaglia considerata, comunque andrà a finire, insieme alle altre in corso in altri stati, come un punto di non ritorno rispetto alla consolidata politica democratica, legata alle reti di interessi e lobby e allergica ai movimenti dal basso, che ha sempre tenuto fuori i tentativi di rinnovamento reale. Un modo di far politica che è stata tra le cause della crisi del Partito democratico, e perfino una delle ragioni del successo di Trump.

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